Schede
Nell’ottocento la progettazione di una scultura in marmo si basava soprattutto su modelli in gesso derivati dall’argilla. Partendo da un’idea che tenesse conto del materiale con il quale l’opera sarebbe stata realizzata, si procedeva, nella prima parte di percorso, come per l’esecuzione di una scultura in terracotta o in gesso. L’opposto approccio alla materia che contrappone il modellare aggiungendo e togliendo dell’argilla, al solo togliere del marmo senza possibilità di errore, era parzialmente attenuato dall’esecuzione in entrambi i casi, di un modello in argilla.
Il modello era infatti progettato ed eseguito con la precisione tipica della lavorazione della creta, trasformato poi, tramite un calco a forma perduta, in gesso e da qui in una sorta di retino per la realizzazione della scultura in marmo. Se per la realizzazione di grandi affreschi si partiva da un preciso progetto, realizzato su un foglio poi quadrettato allo scopo di poterlo ingrandire a piacimento, per la scultura in marmo il modello in gesso aveva analoga funzione. Sul gesso venivano inseriti dei riferimenti metallici nelle sue parti più sporgenti detti capipunto, allo scopo di fissare le linee principali per il taglio del blocco di marmo. I capipunto davano infatti con precisione millimetrica la distanza e l’inclinazione tra le varie zone, riportate poi sul blocco di marmo con l’ausilio di compassi e altri strumenti di misurazione, fornendo così l’indicazione esatta di quanto marmo togliere senza sbagliare. Venivano inoltre fissati tanti piccoli punti evidenziati da crocette su tutto il modellato in gesso. I punti, più numerosi nelle zone più complesse, indicavano la profondità alla quale arrivare partendo da una retta tra due capipunto, questa operazione veniva eseguita con il trapano e se ben calcolata riduceva moltissimo il margine d’errore. In questo modo lo scultore arrivava ad una sbozzatura molto avanzata e vicina al risultato finale. Ovviamente disponendo di una “mappa” così precisa, era “facile” cambiare le proporzioni dell’opera in marmo da realizzare ma, a differenza del retino nelle pitture murali, qui era possibile rimpicciolire o ingrandire in base alle esigenze, bastava variare tutte le misure nella stessa percentuale. Alla Certosa di Bologna sono presenti varie qualità di marmo, in base ai periodi di realizzazione delle opere. Nel III Chiostro si trova soprattutto il bianco di Carrara tipo statuario (di colore bianco tendente all’avorio) per le figure più complesse, mentre per le architetture era più usato il tipo semi-statuario (più bianco leggermente venato di violetto). Questo marmo era ed è particolarmente apprezzato dagli scultori per le sue caratteristiche di lavorabilità e resistenza, la struttura a cristallo compatto lo rende adatto alla lucidatura, che gli conferisce la tipica trasparenza e morbidezza.
William Lambertini