Schede
Fu il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597) che istituì intorno al 1566 la festa degli Addobbi, così chiamata per i drappi appesi alle finestre nell’occasione. In realtà, questa ricorrenza si ispira all’antica festa legata alla processione del Corpus Domini, voluta da papa Urbano IV nel 1264 e resa solenne a Bologna dal cardinale Ottaviano Ubaldini. Ogni parrocchia la effettua ogni dieci anni. L’epoca in cui si ricorda con maggiore enfasi la festa è sicuramente il Settecento. In questo secolo, infatti, l’occasione per celebrare l’avvenimento divenne anche una gara cittadina di restauri e abbellimenti e, come ricorda Athos Vianelli nel suo libro Bologna tradizionale, “uno sfoggio di arte prospettica, una esposizione di quadri sotto i portici e nei loggiati delle abitazioni, una occasione per gare poetiche, una lieta festa di colori e di suoni”. Tanto che persino il più famoso stampatore cittadino, Lelio dalla Volpe, ne volle conservare testimonianza pubblicandone la puntuale descrizione, non priva di retorica, ma sicuramente ispirata anche e soprattutto alla fede profonda e al culto per l’arte dei Bolognesi.
Fu la soppressa parrocchia di San Matteo delle Pescherie nel 1776 e nel 1796 ad offrire un apparato scenografico impressionante, tanto che –per quest’ultima occasione- le truppe francesi che precedevano l’arrivo di Napoleone, entrate in città al comando del generale Augerau, pensarono ad un’accoglienza trionfale loro riservata. Ahimè, così non era e, in ogni modo, il Bonaparte abolì poi la festa e si dovette attendere il 1818 per rivederne la celebrazione. Da allora, la tradizione riprese, anche se in maniera molto più misurata e sobria. Nel 1826 nelle parrocchie di Santa Maria Maggiore ed in San Giuliano si tennero le prime feste postnapoleoniche. Su quest'ultima festa vi è il ricordo di Giacomo Leopardi, che la descrive come "una cosa bella e degna di essere veduta, specialmente la sera, quando tutta una lunga contrada, illuminata a giorno, con lumiere di cristallo e specchi, apparata superbamente, ornata di quadri, piena di centinaia di sedie tutte occupate da persone vestite signorilmente, par trasformata in una vera sala di conversazione." Rispetto al passato rimasero inalterate l’esposizione dei drappi (o zendali) tesi da casa a casa nelle strade della parrocchia interessata, le processioni (durante le quali vengono esposti i tappeti e i fiori alle finestre) e le tradizioni gastronomiche (la famosa e gustosissima torta di riso). Un omaggio all’Eucarestia attraverso una sana e genuina festosità popolare.
Queste feste così vengono descritte da Abdon Altobelli nel giornale periodico dedicato all'Esposizione Emiliana 1888 di Bologna: "La festa del Corpus Domini, istituita nel 1264 da Urbano IV, e confermata, nel 1311, al concilio di Vienna nel Delfinato da Clemente V, diè principio, a poco a poco in tutta la cristianità, alle solenni processioni del S.S. Sacramento, col concorso di tutto il clero, delle fraterie e delle confraternite spirituali. In Bologna, allora, il vescovo Ottaviano Ubaldini, coadiuvato dalla repubblica, potè dare alla nuova istituzione il decoro e lo sfarzo di una solennità, non inferiore a quelle di Pasqua e Natale. Ciò parve sufficiente alla fede di tre secoli, fino a quando, cioè, l'attività libera del popolo si trovò d'improvviso impastoiata nelle sante catene papali; nel qual tempo, per accorgimento o istinto politico, preti e frati cominciarono ad irrigimentare in frequenti processioni e a distrarre in gazzarre religiose i discendenti degli eroi di Fossalta. Allora il primo arcivescovo di Bologna, il cardinale Gabriele Paleotti, l'anno primo del suo governo, 1566, istituì le feste degli addobbi, che durano tuttavia, sebbene decadute dall'antico splendore. L'attuale distribuzione decennale delle parrocchie, cominciò solo più tardi, ed ebbe l'ultimo e presente ordinamento dal cardinale Opizzoni. Dapprima – e qui mi valgo delle parole del Masini, buon intenditore in simili faccende – il venerdì successivo al Corpus Domini, 'la mattina con l'intervento d'alcune confraternite si fa la processione del S.S. Sagramento ad una chiesa parrocchiale con grandissima solennità, e sontuosi addobbi per le strade, per le quali dopo il Vespro si fa corso di Nobiltà, massime quando vi corre il palio, e si fanno altri onorati trattenimenti. Simile processione si fa il seguente Lunedì, Martedì, Mercoledì e Giovedì ad altre Parrocchiali; si cominciò dal 1566, e si faceva a due Chiese ogi mattina, durante l'Ottava della suddetta solennità'. ...L'epoca d'oro degli addobbi fu il secolo scorso, nel quale divennero una gara cittadina di restauri e abbellimenti edilizii; uno sfoggio di arte prospettica; una esposizione di quadri, sotto le loggie e negli androni delle case; una occasione a giostre poetiche; una lieta festa di colori e di suoni. Di tutte le quali cose sono ricca testimonianza parecchi opuscoli, editi da Lelio della Volpe nelle religiose ricorrenze decennali: descrizioni di restauri, apparati e processioni; cataloghi di quadri; florilegi di poesie; tutta una letteratura degli addobbi, un po' gonfia, un po' vuota, un po' falsa; ma ispirata sempre alla fede ed al culto dell'arte. Notevole, tra tanti sonetti ed inni, è un poemetto del barnabita padre Luigi Maria Sambuceti, che lo stampò due volte col titolo 'Gli addobbi'; la prima, per la solennità decennale di S. Tommaso del Mercato, nel 1756; e la seconda, nel 1777, per quella di S. Maria Maggiore. Sono ventuna stanze, in endecasillabi sdruccioli, che sdrucciolano spesso nella prosa, quando non tentano gonfiarsi come la rana della favola. Basti, per saggio, l'introduzione: Canto pompe leggiadre, e i sacri onori, / Dove ben altro, che in Tornei, o Giostre / Intesa a corteggiar in terra un Nume / Splende più che regal magnificenza. / M'oda la terra, e il mar, m'oda ogni gente, / E ogni gente da te Felsina impari / Qual si debba d'augusto onor sovrano / erger trionfo, ove trionfa un Dio.
Di tutti gli addobbi del settecento, il più famoso era quello di S. Matteo degli Accarisi detto delle Pescarie, nella cui parrocchia la via degli Orefici sfoggiava, come nessun'altra sapeva e poteva. Fu straordinario quello del 1776. Tutta la strada era trasformata in una grande galleria d'ordine jonico, con ventiquattro archi laterali e ventidue riquadri, adorni di bassirilievi e pitture allegoriche. Le pareti, tanto degli archi che degli architravi, erano riccamente apparate di damaschi cremisi trinati d'oro; e, sopra questi, tra quadro e quadro di eccellenti pittori, erano appesi trofei di gioielli d'oro, d'argento e di pietre preziose, riscintillanti, la notte, alla luce di trentanove lampadari di cristallo con candele di cera. Il medesimo e cospicuo addobbo si ripetè il 19 giugno del 1796, coll'aggiunta, negli intercolonnii, di eleganti fontane, che versavano vini bianchi e rossi, proprio come nel favoloso paese di cuccagna. Quel giorno è memorando nei fasti cittadini, perchè entrarono, quasi d'improvviso, i francesi di Augerau, precedenti di poche ore il generale Bonaparte. I Sansculottes, giunti in via Orefici, rimasero abbagliati da tanto spettacolo, e si dice facessero come quella principessa, loro compatriota, che, mezzo secolo innanzi viaggiando per il modenese, si sentiva commossa alla vista dei festoni delle viti, credendo fossero stati appesi agli olmi in onore di lei. Essi dunque, ritenendo l'addobbo di S. Matteo degli Accarisi un'accoglienza trionfale, preparata a loro gloria e consolazione, si dettero a corteggiare le fontanelle di vino, in sì fatto modo, che, la sera, fraternizzarono allegramente col popolo, nell'ubriacatura.
Ma dopo quel memorando addobbo, Bologna più non ne vide che nel 1818, quando il cardinale Oppizzoni li ripristinò con ordinamento del 22 giugno dell'anno innanzi. Ma i risorti furono assai diversi dagli antecedenti. La tradizione era spezzata. Si tentò, nel 1826, di resuscitarla, sempre in via Orefici; ma si rifece, allora, in carta dipinta, ciò che prima erasi fatto in legno, velluti, damaschi, bassorilievi ed ori e pietre preziose; cotalchè non fu che una brutta copia, contro cui parve sdegnarsi persino il cielo, che vi rovesciò sopra così dirotta pioggia, da mettere a nudo in pochi istanti tutti i fusti degli archi e delle colonne, i quali, quasi simboli della fede scossa nei cuori, parevano tanti scheletri imploranti sepoltura".
In collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.