Schede
Meglio di ogni altro scultore del suo tempo, Giacomo De Maria incarna quella continuità stilistica e istituzionale, quella tenace compattezza corporativa che permise agli artisti bolognesi di passare indenni attraverso i traumatici rivolgimenti politici che si susseguirono a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Il sepolcro Vogli è uno dei primi monumenti realizzati da De Maria, a distanza di dieci anni dall’apertura del Cimitero Comunale (in precedenza aveva realizzato il busto di Gaetano Gandolfi, posto in opera nel 1804, nel momento in cui in Certosa ancora avevano prevalenza le decorazioni pittoriche).
In seguito, De Maria sarà ininterrottamente operoso in Certosa per oltre due decenni, realizzando circa venti sepolcri. Giuseppe Vogli era nato il 9 novembre 1733, e aveva presto intrapreso una brillante carriera negli studi. Ordinato sacerdote, aveva ottenuto l’insegnamento di Filosofia presso lo Studio bolognese, pur essendo molto attivo anche nel campo delle scienze naturali. Nel 1767 era stato aggregato al Collegio dei Teologi, e nominato Canonico della Basilica di San Petronio, carica che ricoprì fino al 1781, quando assunse l’incarico di Priore di San Petronio. Colpito da ischemia nel 1808, morì il 22 gennaio 1811. L’epigrafe sul sarcofago fu dettata da Filippo Schiassi, che diede alle stampe anche un elogio funebre dal quale si apprende che i fondi per erigere il sepolcro furono raccolti dagli amici e dagli allievi, e che “la Municipalità diede gratuitamente il luogo per innalzare il monumento” (F. Schiassi, Commentario della vita del priore Giuseppe Vogli tradotto dal latino in italiano, Bologna, 1812). Possiamo immaginare che in questa decisione abbia avuto un ruolo il potentissimo Segretario di Stato del Regno d’Italia, Antonio Aldini, legato al Vogli da amicizia personale, come ricorda ancora lo Schiassi: “molti a dir vero sortirono di sua scuola [...] fra questi S.E. il Conte Antonio Aldini”.
Non a caso il progetto della tomba si deve a Gaspare Nadi, che in quegli stessi anni stava dirigendo anche l’ambizioso cantiere di villa Aldini sul colle dell’Osservanza; il progetto non fu mai portato a termine (le fortune di Aldini precipitarono insieme a quelle di Napoleone), ma De Maria fece in tempo ad eseguire il grande fregio sul timpano con l’Olimpo, tra il 1812 e il 1813. Anche per la ristrutturazione del suo palazzo di Strada Maggiore (ora sede del Museo della Musica), Aldini si servì di De Maria nel fregio e nei bassorilievi delle finestre sotto il portico. Se davvero, come sembra probabile, vi fu un interessamento dell’Aldini, la raccolta dei fondi dovette essere alquanto breve, e possiamo dunque immaginare che i lavori siano partiti poco dopo la morte del Vogli. La tomba, che con le quattro statue a figura intera ed il ritratto in marmo è una delle più grandi e complesse tra quelle eseguite da De Maria, era infatti già terminata e posta in opera nel 1813, quando fu incisa e pubblicata da Raffaele Terry. Vogli era un uomo di Chiesa, e fu dunque seppellito nel Recinto dei Sacerdoti, adiacente al Chiostro della Cappella. Ancora oggi la posizione del monumento è molto suggestiva, poiché nel Recinto non sono nel frattempo sorte altre tombe monumentali, e la sua collocazione silenziosa e periferica, fuori dal pianificato percorso monumentale che andava prendendo forma, ne aumenta la suggestione. In un manoscritto del 1826 De Maria ricorda la tomba per due volte: sotto i lavori eseguiti in marmo cita il ritratto del “Prior Vogli nel suo Deposito nel Cimitero comunale”, e sotto i lavori in stucco e gesso “N. 2 statue di due puttini ed un Urna coperta del peplo nel deposito del Prior Vogli nel Cimitero Comunale” (G. De Maria, Lavori di scultura fatti in diverse materie da Giacomo De Maria, Bologna, B.C.A., ms. B3985, [1826], cc. 3, 12). Nel ritratto corpulento del Vogli all’interno del clipeo sembra di rivedere la descrizione dello Schiassi: “di statura mediocre, di corpo grasso, di testa grande, di occhi azzurri, e vivaci, di fisso guardo, di naso aquilino”. Le due figure ai lati della grande urna rappresentano la Carità e la Storia, e soffrono purtroppo qualche problema di conservazione, specialmente nel putto ai piedi della Carità. In queste due figure De Maria mostra attenzione per i modi di Giovanni Putti, che diverrà, dopo il rientro da Milano (1814), l’artista più attivo in Certosa, ancor più prolifico dello stesso De Maria. La figura della Storia si ispira in maniera scoperta alle due Piangenti collocate dal Putti nel 1809 sui pilastri dell’ingresso monumentale progettato da Ercole Gasparini, che incontrarono grande successo. Lo stesso Putti d’altro canto riprese più volte una altrettanto fortunata invenzione di De Maria, l’Eternità della tomba Caprara, rappresentata virtuosisticamente come una donna coperta da un sottile velo. In questi anni il dialogo tra i due artisti sembra particolarmente stretto, tanto che le guide della Certosa redatte da Corrado Ricci (1906), Lino Sighinolfi (1926), Ricci e Guido Zucchini (1930) attribuivano il monumento Vogli allo stesso Putti. Con simmetrico errore, Ricci e Zucchini riferivano invece a De Maria le Piangenti di Putti sui pilastri dell’ingresso.
Nella Collezione scelta edita da Natale Salvardi a Bologna nel 1825, il monumento viene descritto come 'invenzione dell'Architetto Giuseppe Nadi; opera poi non men lodata del De Maria furono la medaglia e le due statue. (...) La iscrizione semplice ad un tempo dignitosa è una delle più eleganti, che uscite siano della penna del ch. Schiassi.' Il monumento viene così descritto nella Collezione dei Monumenti Sepolcrali del Cimitero di Bologna, edito tra 1825 e 1827: Monumento di Giuseppe Vogli, canonico priore della basilica collegiata di S. Petronio. Professore di filosofia, elettore del collegio de' dotti, e cavaliere della corona di ferro. Visse esempio di virtù e di dottrina, maestro di ottime discipline: Morto il giorno 22. Gennaio 1811. negli anni settantasette dell'età sua. I suoi discepoli gl'innalzarono questo monumento, invenzione del bravo Ingegnere Architetto Giuseppe Nadi già rapito da immatura morte alle speranze della patria: la scoltura è del professor Giacomo Demaria.
Michele Danieli
Luglio 2012. Bibliografia: A. Mampieri, In tema di scultura funeraria neoclassica: Giacomo De Maria alla Certosa di Bologna, in “Arte a Bologna. Bollettino dei Musei Civici d'Arte Antica”, 1, 1990; S. Zamboni, Giacomo De Maria: contributi e materiali inediti, in “Accademia Clementina. Atti e Memorie”, 27, 1990; G.Pesci (a cura di), La Certosa di Bologna. Immortalità della memoria, a cura di G. Pesci, Bologna. Testo tratto da: R. Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra, Tipografia Moderna, Bologna, 2009.