Schede
Il monumento, firmato e datato 1894, è collocato in uno degli spazi più suggestivi che si possano osservare visitando il cimitero monumentale: la Galleria degli Angeli. È questa una tra le architetture più amate dai visitatori, uno spazio caratteristico, identificativo e peculiare della Certosa. È innegabile che questo sia reso possibile anche dal fatto che molti dei monumenti della Galleria, in primo luogo i tre che occupano lo spazio centrale, Bisteghi, Cavazza, Borghi Mamo, appartengano al progetto di un solo artista: Enrico Barberi.
La figura di questo scultore, però, deve ancora essere degnamente ricostruita. Negli ultimi anni gli studi hanno conosciuto nuovo fervore e passione nei confronti degli sviluppi artistici della seconda metà dell’Ottocento a Bologna. Allo studio del nostro scultore manca questa occasione, il poter finalmente valutare un corpus documentario ricco e organico che purtroppo non è ancora giunto all’attenzione degli studiosi e che, peggio, rischia di venire disperso in migliaia di frammenti attraverso il mercato antiquario. Nella Certosa bolognese vi è rappresentato al meglio l’evolversi della sua attività che, a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, si sviluppa fino alla fase più felice dell’ultimo decennio del secolo, quando matura uno stile peculiare, espressione del passaggio dalla stagione realista a quella simbolista attraverso la fascinazione del linguaggio tardo romantico legato al realismo storico-letterario, ben rappresentata proprio nella Galleria degli Angeli. Qui si trova il monumento realizzato per volontà di Erminia Borghi Mamo (Parigi, 1855 - Bologna, 1941). Figlia d’arte, nata dalla mezzosoprano bolognese Adelaide Borghi e dal tenore spagnolo Michele Mamo, è lei stessa cantante, soprano stimato e dalla carriera internazionale, di cui rimangono varie testimonianze fotografiche al Museo della Musica di Bologna.
Nel 1883 acquista un pozzo sepolcrale al Cimitero della Certosa, nel centro della metà a levante della Galleria, con l’impegno di erigervi un monumento in marmo di Carrara entro due anni. Nei documenti relativi alla Certosa, conservati presso l’Archivio Storico Comunale, si trovano gli atti che testimoniano l’immediato interessamento per la realizzazione dell’opera: è del 30 maggio 1883 la richiesta di autorizzazione del Barberi per la posa delle fondamenta, il che fa capire che la commissione scultorea era avvenuta pressoché in concomitanza all’acquisto dell’area sepolcrale. Il monumento però è ultimato solo nel 1894 ed i bozzetti GAM di Bologna documentano un’elaborazione piuttosto lunga, visto che alcuni recano la data del 1888. Lo studio dell’opera di Barberi evidenzia l’impegno appassionato, preciso, meticoloso, profuso nella realizzazione dei suoi monumenti, come testimoniano i numerosi disegni e bozzetti, a volte variati in minimi dettagli, di cui rimane ampia memoria nel materiale ancora inedito posseduto dagli eredi, da cui pervengono anche le terrecotte entrate nel 1983 in GAM attraverso la donazione di Mario Barberi, nipote dello scultore, fedele e disponibile tutore delle carte e dei materiali appartenuti all’artista. Tra questi, una serie di tavole fotografiche conservano le immagini dei suoi lavori probabilmente ritenuti più significativi, con la documentazione anche grafica dell’elaborazione dei monumenti.
Così tra le fotografie dei disegni è possibile constatare come l’invenzione prevedesse inizialmente una croce latina piuttosto imponente e lineare, che nei bozzetti in gesso acquisisce forme più elaborate grazie ad un motivo ornamentale che corre lungo i bracci, mantenuto nella soluzione finale della croce greca notevolmente ridimensionata al di sopra del pilastro centrale alla composizione. Ai lati del pilastro due figure allegoriche: sulla destra la Fede stringe tra le braccia il salterio, antico strumento musicale utilizzato per l’accompagnamento della lettura dei salmi, e sulla sinistra, seduta in atto dolente ai piedi della croce, l’Arte, così come viene esplicitato dai disegni, che nel basamento prevedevano la scritta ARTE E FEDE. Nei bozzetti della GAM è possibile constatare una versione dell’Arte come “velata”, debitrice di tutta una tradizione radicata al Cimitero della Certosa di cui eccelsi portavoce erano stati Giacomo De Maria e Giovanni Putti, ma con esiti di grande sintesi formale: non le pieghe fitte e sottili del tessuto dall’effetto bagnato, aderente la figura, utilizzato dai due predecessori e rimasto in De Maria anche nel caso dell’Eternità del famoso monumento Caprara, ma qualcosa di più coprente, pesante, e per certi aspetti realistico nel vero senso del termine, non puro esercizio di stile.
La scelta definitiva però predilige qualcosa di più espressivo e teatrale, meno simbolico e di maggior enfasi per lo spettatore: l’Arte ha l’espressione composta del dolore e della rassegnazione per la perdita del padre e della madre artisti, a cui solo la Fede può ridare speranza. Anche in questo caso, come visto per i monumenti schedati in precedenza, vi è la collaborazione con Alfredo Tartarini. Nel Fondo Tartarini della GAM si trovano infatti alcuni fogli che riportano il dettaglio della croce con lo studio della decorazione fitomorfa, l’annotazione di alcune misure e una visione “allargata” che comprende anche la figura di un angelo, riconoscibile nella Fede di questo monumento e che ci riporta inequivocabilmente alla composizione in oggetto. Come è evidenziato anche per il monumento Bisteghi, la collaborazione fra i due si scopre ripetuta, prassi consolidata che in questo caso si limita all’invenzione del motivo ornamentale, ma si spinge ben oltre nella Tomba Cavazza, dove il lavoro fu proprio diviso a metà: al Tartarini spetta la parte del basamento e del sarcofago splendidamente decorato con l’invenzione del tappeto marmoreo e al Barberi il Crocifisso sovrastante. La famiglia Cavazza era committente fedele per Alfredo Tartarini, il quale doveva avere un rapporto di stima e amicizia con il conte Francesco, anch’egli protagonista assieme ad Alfonso Rubbiani delle iniziative promosse dalla società Aemilia ars. E non è un semplice basamento quello ideato per la tomba Cavazza ma un vero e proprio scrigno: è logico pensare ad una doppia commissione più che ad una semplice collaborazione e quindi, in questo caso specifico, ad una scelta del committente.
Ma nel fondo della GAM si trovano tracce più o meno evidenti della collaborazione anche per le tombe Trombetti, Veratti, Agostini, Rivani, nonché per il monumento dedicato a Pietro Panzeri all’Istituto Rizzoli (1902) e per il basamento del Marcello Malpighi di Crevalcore (1897), che gli studi dovranno ulteriormente approfondire. Una foto del monumento Borghi Mamo è presente nel fondo Luigi Serra sezione Carte Enrico Guizzardi della Biblioteca dell’Archiginnasio, a testimonianza della stima e dell’amicizia tra il nostro Enrico e il commerciante appassionato d’arte. E chissà se fa riferimento a questo lavoro la lettera del Guizzardi inviata a Barberi da Roma il 26 aprile 1883, in cui gli offre la sua opinione in merito ad alcune soluzioni compositive per una figura o un monumento di cui aveva ricevuto i disegni esplicativi. Tra quelle righe si trova un appassionato apprezzamento per l’impegno meticoloso che caratterizzava lo scultore: “Eseguiscila con la coscienza tua solita, perché hai un bel dire che lavori per mangiare, sì sarà vero, ma però metti sempre in tutto quel certo amore che gli altri per Dio non pensano nemmeno. Sia fatti coraggio, io non sono qui per farti la corte, non vengo per ingraziarti, studia pure, studia perché studiare vuol dire avere intelligenza, stima di se stesso, e amore e rispetto all’arte”.
Barbara Secci
Estratto da: B. Buscaroli, R. Martorelli (a cura di), Luce sulle tenebre - Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna, catalogo della mostra, Bologna, Bononia University Press, 2010.