Schede
Il palazzo, situato al numero civico 38 di via d’Azeglio, fu edificato alla fine del ‘500 sulla costruzione trecentesca della famiglia Carbonesi, acquistata nel 1379 da Giovanni da Legnano, giurista di fama europea e Vicario generale di Bologna dal 1377. Nel 1506 i Legnani furono investiti della dignità senatoria dal pontefice Giulio II, carica che avrebbero mantenuto pressoché ininterrottamente fino alla soppressione del Senato bolognese nel 1797.
Fu Alessandro Legnani a incaricare nel 1587 gli architetti bolognesi Francesco Terribilia e Francesco Guerra della costruzione della facciata del palazzo senatorio, che si configurava così come un blocco severo, isolato dagli edifici adiacenti e privo di portico, secondo il modello dell’edilizia civile tosco-romana. La struttura, articolata in un triplice ordine di finestre e in cortili interni delimitati da agili colonne ornate di ricchissimi capitelli, sarebbe rimasta sostanzialmente immutata fino al XIX secolo. Dallo scalone d’onore, progettato dall’architetto Gabriele Chellini sicuramente prima del 1676 – probabilmente uno dei primi realizzati all’interno dei palazzi senatori della città – si accedeva al salone di rappresentanza, dove i Legnani celebravano le proprie glorie attraverso i ritratti degli antenati illustri (due dei quali dipinti da Bartolomeo Passerotti e oggi conservati presso il museo di Chambéry), il ciclo di affreschi decorativi di Antonio Burrini e gli ornamenti di Giuseppe Mazza. Il momento di grande splendore di cui godette la famiglia sino agli inizi del XVIII secolo è testimoniato da un inventario del 1695, in cui, oltre alla ricca quadreria, si descrivevano gli arredi e le suppellettili presenti nella dimora, tra cui arazzi, baldacchini dorati, sedie francesi, centinaia di libri, armi, studioli e damaschi. Alla morte del senatore Filippo Legnani nel 1757, che determinò l’estinzione del ramo senatorio della famiglia, la dimora pervenne a Girolamo del ramo collaterale dei Legnani Ferri e si arricchì dello sfondato prospettico di Antonio Galli Bibiena, oggi perduto. Negli stessi anni i fratelli Petronio e Francesco Tadolini abbellirono i cortili del palazzo con statue e decorazioni, tra le quali ricordiamo la colossale statua di Ercole e le copie dei due famosi Centauri romani. Fu proprio Girolamo Legnani Ferri, Gonfaloniere in carica nel 1796, a sottoscrivere il decreto con cui venivano aboliti i titoli nobiliari e a determinare, rassegnato il mandato l’anno successivo, la conclusione della storia del Senato bolognese. In una stima del 1805, anno della sua morte, veniva descritta minuziosamente la quadreria, ora probabilmente smembrata, che Girolamo si premurò di arricchire nel corso della sua vita: figuravano opere di Pontormo, Paolo Veronese, Correggio, Denys Calvaert, Annibale e Agostino Carracci, Guido Reni, Prospero Fontana, Bartolomeo Cesi, Bartolomeo Passerotti, Domenichino, Elisabetta Sirani, Nicolò dell’Abate, Donato Creti.
Il palazzo, di proprietà tra il 1805 e il 1835 di Teresa, figlia di Girolamo e moglie di Camillo IV Malvezzi Locatelli Leoni, e poi appartenuto al figlio Pietro, venne infine venduto nel 1839 dai fratelli Emilio e Carlo Malvezzi Campeggi al marchese Camillo Pizzardi. Nel 1854 lo stabile pervenne al nipote di Camillo, Luigi Pizzardi, nominato da Luigi Carlo Farini “primo sindaco di Bologna libera” (6 aprile 1860 – 29 ottobre 1861) e Senatore del Regno d’Italia; negli stessi anni, in conseguenza dei lavori urbanistici che interessarono la zona, l’ingegnere Antonio Zannoni avviò la ristrutturazione dell’edificio con la costruzione del prospetto porticato sulla nuova via Farini. Le parallele ristrutturazioni interne portarono alla scomparsa di quasi tutte le decorazioni del XVII e XVIII secolo, sostituite da cicli decorativi ottocenteschi, in gran parte ancora visibili, di soggetto paesaggistico e con ornamentazioni della tradizione greco-romana. Il grande salone d’onore della famiglia Legnani fu adibito a Salone del Risorgimento italiano, in cui vennero collocati, tra gli altri, Carlo alberto a Oporto di Antonio Puccinelli, Pier Capponi che lacera i patti imposti da Carlo VIII di Alessandro Guardassoni, Cavour e Minghetti di Luigi Busi, Napoleone III di Gaetano Belvederi, donati nel 1920 da Carlo Alberto Pizzardi al Museo Civico del Risorgimento di Bologna. Enrico Bottrigari nella sua 'Cronaca di Bologna' (Zanichelli, Bologna, 1962) ricorda come "la grande sala del suo Palazzo, un tempo dè Legnani, volle dedicata a ricordare i principali fatti antichi e moderni che contribuirono a rialzare l'Italia e a renderla Nazione, con pitture de' migliori artisti della città; mostrando per tal guisa l'amore che, oltre alla Patria, portava alle Belle Arti". Per volontà di Camillo Pizzardi fu la sede delle prime esibizioni musicali della Società del Quartetto. L’ultimo proprietario del palazzo di via d’Azeglio fu Cesare Pizzardi, fratello di Luigi, che lo vendette nel 1885 alla Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali. Durante la seconda Guerra Mondiale i locali dell’edificio ospitarono le famiglie sfollate dai paesi vicini e furono sede del Comitato di Liberazione Nazionale e di comandi militari alleati. Successivamente ha ospitato uffici del Gruppo Ferrovie dello Stato. Dal 2009 è sede di uffici giudiziari.
Mara Casale