Schede
Già da fine 1800 stazione sanitaria, l’isola dell’Asinara, in Sardegna, nel dicembre 1915 cominciò ad accogliere i prigionieri Austro-Ungarici, provenienti dall’Albania, al seguito dell’esercito serbo in ritirata. La durezza della marcia, che in tre settimane portò i prigionieri sulle coste dell’Albania, la carenza di cibo, la mancanza di una qualsiasi forma di igiene, favorirono lo sviluppo di svariate malattie, fra cui il colera. In questa marcia persero la vita circa 40.000 Austro-Ungarici.
Destinati in Francia, i prigionieri, su richiesta italiana, a scaglioni, furono portati via mare all’Asinara. In poco tempo sull’isola ne arrivarono oltre 20.000, ospitati in tende, in campi improvvisati.
Quando nel luglio 1916 gli ultimi prigionieri lasciarono l’isola con destinazione la Francia, lasciarono circa 7.000 morti, non solo di colera, sepolti in fosse comuni.
L’isola però funzionò come luogo di cura ed isolamento anche per i soldati italiani che, di stanza in Albania, si ammalarono di colera. In questo contesto si innesta la storia dei soldati bolognesi della Brigata Savona, arrivati su di una nave ospedale italiana e deceduti durante la navigazione, prima di arrivare sull’isola.
Si suppone venissero poi sepolti in una fossa comune nel cimitero Italiano, ma oggi, a domande precise, nessuno ha saputo confermare se le fosse e le tombe contengono ancora i resti dei caduti. Lo stato di trascuratezza in cui versa questo cimitero italiano fa pensare, però, ad un totale abbandono.
Più chiarezza, invece, per i caduti austro-ungarici. Negli anni '30 del 1900 fu costruito un ossario per contenere i resti provenienti da sepolture comuni. L’Asinara continuò, nel corso della seconda guerra mondiale, a funzionare come campo di prigionia.