Schede
Opere provenienti dal complesso monumentale della Certosa o connesse alla sua storia, conservate presso i Musei Civici d’Arte Antica (Museo Civico Medievale, Collezioni Comunali d’Arte, Museo Davia Bargellini), si legano in un percorso che è quello delle vicende ottocentesche all’origine del museo nel contesto civico italiano.
A tutt’oggi quest’unità d’origine è difficilmente percepibile dal visitatore come dagli studiosi, in quanto attraverso la ricontestualizzazione museale, tarata su nuove tematiche e nuovi accostamenti, le opere sono presentate nella loro identità individuale, come ad esempio nelle sezioni dei monumenti dei Dottori dell’antico Studio o nel Lapidario al Museo Civico Medievale, nelle sale dei Primitivi e degli affreschi staccati alle Collezioni Comunali d’Arte e, in misura minore, nell’intera cornice della quadreria e delle raccolte di arti applicate al Davia Bargellini. Il percorso che ha condotto un nucleo di opere dalla Certosa all’attuale insieme dei tre musei è di graduale aggregazione presso l’intero complesso monumentale e di successiva diaspora; avviato con le soppressioni napoleoniche, conduce alla fondazione del Museo Civico in Palazzo Galvani (1881), delle Collezioni Comunali d’Arte in palazzo Pubblico (1936), e all’allestimento del Museo Civico Medievale in palazzo Ghisilardi-Fava (1985). È contraddistinto dall’intreccio tra alienazione, dispersione e salvaguardia, espressosi in varie forme a seconda dei modelli culturali predominanti nelle varie epoche, ad incrocio con le congiunture di emergenza di volta in volta createsi dal punto di vista della tutela.
Con la destinazione del monastero della Certosa a pubblico cimitero nel 1801, contestualmente all’alienazione di dipinti conservati nella chiesa e nel convento, vi presero forma assetti espositivi di opere d’arte di provenienza esterna, ivi confluite a seguito della nuova funzione del luogo, deputato alla conservazione sia del patrimonio funerario storico che di immagini sacre provenienti da chiese e conventi soppressi. Ciò favorì un inedito rapporto fra antico e moderno, fra gusto neoclassico e forme rinascimentali nel reimpiego e nella riprogettazione di antichi monumenti sepolcrali scolpiti o in stucco, ma anche di suggestioni da culture più antiche (egizia, greca, romana) soprattutto nelle tombe dipinte. Importanti capolavori originariamente realizzati per le cappelle della chiesa, opere nella foresteria e nella clausura, erano intanto alienati, depositati nell’ex convento dei Santi Vitale e Agricola per confluire poi nelle raccolte statali, altri materiali furono immagazzinati per confluire poi nelle raccolte civiche. Opere realizzate originariamente per la Certosa sono presenti nel patrimonio dei Musei Civici d’Arte Antica in numero alquanto esiguo. Numerose vi sono approdate a seguito di quella vera e propria prefigurazione di museo civico che si costituì nei decenni centrali dell’Ottocento nelle antiche stanze del monastero e nei suoi chiostri. La casistica può essere riassunta in tre principali capitoli. Quello delle immagini mariane oggetto di particolari devozioni, provenienti da chiese (S. Mamolo, S. Tommaso del Mercato, S. Lorenzo di Porta Stiera, S. Cristina di Pietralata…), da oratori e sedi di confraternite (Carità, Bastardini, Natività…). Furono collocate nell’ex capitolo, poi cappella “della Madonna delle Asse” (dal titolo dell’immagine tuttora sull’altare), e nel piccolo chiostro annesso, “dell’Ossaia”, soprattutto a seguito della riduzione delle parrocchie iniziata nel 1806.
Col parallelo concentrarsi di opere, soprattutto di dipinti, all’interno della Chiesa, venne a delinearsi un vero e proprio “museo cristiano”. Vi è poi il tema assai consistente di monumenti, sculture, lastre sepolcrali ed epigrafi da vari edifici religiosi, disposti nel chiostro della cappella e in varie sale dell’ex monastero. Nella Bologna postunitaria, nuovi modelli culturali e nuovi assetti istituzionali determinarono una netta inversione di tendenza, con un nuovo decentramento di opere dalla Certosa, destinate alla creazione del museo Civico nel 1882, o alla riapertura al culto di edifici sacri, o alle celebrazioni per l’ottavo centenario dell’Università (1888). Molte di quelle opere avrebbero dato corpo al nuovo modello museografico civico, dove alla matrice positivista e ancora enciclopedica si sovrapponeva un nuovo senso della riscoperta del passato, protagonista l’antico Studio bolognese. La concentrazione di antiche immagini di culto nell’ex capitolo e nell’annesso chiostrino, a scopo di salvaguardia di un patrimonio figurativo altrimenti destinato al degrado e alla distruzione, si avvalse del taglio a massello che ne consentì l’inserimento a parete, con apposite ancone dipinte corredate di epigrafi didascaliche. Una campagna di restauri alla fine degli anni Settanta del Novecento ha provveduto alla rimozione di tutte le ridipinture, al trasferimento su nuovo supporto, alla ricollocazione entro teche degli affreschi del chiostro e al trasferimento alle Collezioni Comunali (1980) di una decina di quelli dell’ex capitolo (denominato anche “cappella Vighi”). L’esposizione al pubblico fu possibile solo nel 2002, col riallestimento della sezione dei Primitivi e la creazione di una sezione di affreschi staccati annessa a Cappella Farnese. Già oggetto di studi e tassonomie tuttora di riferimento (Massa, Tassinari Clo’), il nucleo gode di una riconsiderazione che ne restituisce la portata culturale, storico-critica e tecnica nel contesto nazionale del gusto dei Primitivi (Ferretti). Sotto il comune denominatore della tematica dell’affresco staccato, già negli anni Trenta pitture murali, sopravvissute alla secolarizzazione di edifici sacri, erano approdate alle Collezioni dall’Archiginnasio (deputato anche alla conservazione di opere di pertinenza civica). Fra queste, dalla foresteria certosina l’episodio biblico dei Fanciulli nella fornace di Bartolomeo Cesi, e del suo ambito una serie di Storie della Vergine già nell’appartamento del Priore.
Diverse altre opere che nella chiesa della Certosa completavano quel “museo cristiano” precocemente avviato, sarebbero migrate al Civico per dare corpo alla sua sezione medievale; da qui sarebbero state trasferite nel 1936 in Palazzo pubblico per la creazione della sezione dei Primitivi alle Collezioni Comunali. Solo di alcune è nota l’antica provenienza (S. Maria del Monte, S. Tommaso di Strada Maggiore, Chiesa dell’Osservanza). Vi spiccano per importanza una paletta tardoquattrocentesca con l’Adorazione del Bambino, tre Crocefissi scolpiti dal forte impatto emotivo, uno con parti dipinte da Simone dei Crocefissi. Inoltre croci dipinte due e trecentesche fra cui famosa quella di scuola giuntesca ascritta al Maestro dei Crocefissi Francescani. Era originariamente nel capitolo del monastero di San Girolamo lo splendido leggìo barocco attribuito al Parmegiano, intagliatore emiliano del Settecento, ora nella Galleria Vidoniana e già esposto al Civico. Fra le opere conservate al Medievale una sola fu realizzata in origine per la chiesa della Certosa (cappella di San Girolamo): la Lastra tombale del canonico Geremia Angelelli (m. 1417). Pervenuta nel 1881 in quello straordinario polo d’attrazione per la rievocazione dell’antico Studio e dei suoi illustri lettori che era divenuto il Museo Civico, appartiene ad una ricca serie di tombe con immagini di dottori giacenti con libri o in atto di tenere lezione, comprese nel ricco patrimonio lapideo già confluito in Certosa. A riscontro dei monumenti funerari restaurati e rifunzionalizzati nel chiostro terzo, le lastre, le arche, le epigrafi disposte nelle sale cronologiche dell’ex monastero avevano già dato vita ad un’idea di museo di memorie patrie. Diverse sono ora confluite al Medievale attraverso il Civico, essendo transitate per la Certosa da vari luoghi sacri (S. Domenico, S. Francesco, S. Michele dei Leprosetti…). Si ricordano effigi scolpite di lettori vissuti fra Tre e Quattrocento come Graziolo Accarisi, Bartolomeo Zambeccari e – di recente accesso al Medievale, già in Pinacoteca – Bonadrea Bonadrei. Nell’inversione di tendenza del secondo Ottocento (dalla Certosa verso luoghi d’origine o diversi da essi, fra cui il Museo), il ripristino dei monumenti dei Glossatori operato da Alfonso Rubbiani presso S. Domenico e S. Francesco per le celebrazioni dello Studio (1888) veniva di fatto ad ampliare la lettura della sezione medievale del Civico.
L’allestimento negli ambienti sotterranei di Palazzo Ghisilardi Fava, dove la serie è ora inserita, evoca l’idea dell’ambiente funerario sotterraneo, quasi grande cripta, dove le lastre si susseguono alternando la collocazione verticale, a muro, a quella su supporto orizzontale, a richiamo dell’antica posizione terragna. Altre lastre, tombe scolpite e monumenti funebri di questa grande sezione e del Lapidario erano transitate dalla Certosa, fra cui la memoria del Rabbino Gioabbo da Rieti (sec. XVI) dal cimitero ebraico di Via Orfeo, di cui una sezione (reimpiegata come lapide Duglioli) si trova ora nella facciata della Chiesa di S. Girolamo. Vicenda erratica fin da tempi antichi anche quella delle due statue parietali trecentesche raffiguranti San Nicola da Bari e San Domenico (vano di accesso all’interrato), nate come San Petronio e Sant’Ambrogio per Palazzo del Podestà, trasferite nel tardo Quattrocento alla Torre Asinelli e corrette iconograficamente all’epoca del loro passaggio di poco successivo in San Domenico (da cui in Certosa). Un capitolo a parte all’incrocio fra tutela, devozione e memoria storica, è rappresentato dalle Croci in pietra già distribuite nel centro storico, alcune disposte nella galleria dei monumenti antichi. Quelle ora al Medievale provengono da S. Maria delle Laudi, da San Barbaziano (poi Via Barberia) e dal mercato di Porta Ravegnana; l’accostamento attuale è con opere rappresentative del Medio Evo Bolognese, ma il richiamo a specifici luoghi interpreta il legame con lo spazio urbano espresso anche dal Lapidario di Via Porta di Castello. Diverse opere hanno conosciuto una collocazione museale a scopo di tutela in tempi più recenti, a partire soprattutto dagli anni Settanta, una volta entrato in crisi quel connubio di devozione e rispetto del luogo che ne aveva già garantito la sicurezza. Nel 1976 fu ritirata la gotica Madonna con Bambino in marmo, nel chiostrino delle Madonne da Santa Maria del Carrobbio, ora esposta al Medievale. Più recente, degli anni Novanta, è il recupero del trittico, di scuola bolognese e di influsso vivarinesco e pierfrancescano (c. 1455-60) coi Santi Ludovico, Francesco e Bernardino, approdato in San Girolamo dal convento dei Santi Bernardino e Marta, esposto alle Collezioni nel 2002.
A seguito della lunga serie di furti avvenuti nel Cimitero alla fine del secolo scorso, fu depositata presso il Museo Davia Bargellini l’Urna decorata della manifattura Aldrovandi (I quarto sec. XIX) dalla tomba Ferlini nel chiostro maggiore. Inoltre, dal 2004 è conservata in palazzo Comunale (anticamera del Sindaco) la grande tela barocca con la Natività del pittore napoletano Nunzio Rossi, appartenente al ciclo cristologico tuttora nella Chiesa. Posta originariamente nella controfacciata, a seguito del trasferimento ottocentesco nell’ex capitolo ebbe gravi problemi di degrado, risolti dal recente restauro. Altri materiali possono essere coinvolti in tematiche certosine e cimiteriali, pur non provenendo direttamente dal complesso certosino. In primis al Medievale, da San Domenico, l’arca scolpita di Giovanni d’Andrea (m. 1348), canonista, giureconsulto, maestro dello studio, personalità di livello internazionale, cui si deve l’arrivo dei Certosini a Bologna. Modello esemplare per la scultura funeraria di fine secolo a Bologna, nella scena del Dottore in cattedra richiama la vivacità espressiva della contemporanea pittura bolognese (Vitale da Bologna, pseudo-Jacopino). La raccolta di terrecotte del Davia Bargellini comprende alcuni bozzetti di affinità tematica o stilistica con la scultura funeraria, come il piccolo nucleo difigure femminili velate di età neoclassica, o piccole figure allegoriche attribuite a Giovanni Putti, stilisticamente collegate alla sua attività in Certosa. Ancora al Davia, il Doppio ritratto di monaci sullo sfondo di una parete stipata di libri, restituito da Renzo Grandi all’artista bolognese che più fu in rapporto con varie realtà certosine, Bartolomeo Cesi, potrebbe riservare sorprese dal punto di vista della possibile identificazione dei personaggi.
Carla Bernardini
Testo tratto dal catalogo della mostra "Luce sulle tenebre - Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna", Bologna, 29 maggio - 11 luglio 2010. Il Lapidario del Museo Civico Medievale di Bologna è disponibile cliccando qui.