Schede
"“I miasmi della putrefazione nel santuario cristiano ammoniscono di continuo l’uomo della viltà sua e gli ispirano a un tempo il disgusto dell’essere e l’orrore del non essere. Tutto rappresenta la morte: e il dio crocifisso e gli ossami e gli scheletri esposti alla venerazione sugli altari han preso il luogo di Apollo e Diana, che lanciavansi, giovenili forme divine, dal marmo pario negli spazi della vita” (Carducci). I gnostici – nella tetraggine dei loro sforzi per stabilire l’assoluta supremazia del cristianesimo – introdussero lo scheletro come motivo di richiamo delle anime alla caducità dell’esistenza terrena, e ne usarono graficamente l’ossatura del capo spiccato dal busto, quale si vede presso le imagini di coloro che si mortificano le carni per espiare i peccati, simbolo della penitenza. Sul pronao di un piccolo cimitero del Bernese sono scolpiti tre teschi con questa domanda: “Indovini tu, o caro viandante, chi è il re, chi il nobile, chi il contadino?” Gli anacoreti e i santi penitenti hanno il teschio sempre vicino, come la Magdalena “peccatrice della città” (S. Luca), presentata galantemente, nella negligenza della forma carnale, dai pittori della rinascita al mondo cattolico. “Magdalena soave di melanconia o di nardo sprazzò un raggio nelle oscurità dei presbiteri, dei chiostri, delle celle. Prese seco il teschio del terrore medioevale e se lo pose accanto, forse con un po’ di civetteria perché i suoi dolci lineamenti e la sua carne perfetta risaltassero nel contrasto” (Foresi). Il duca di Wurtenberg Silvio Nimord istituì un ordine del Teschio di morte, pietista (1652), ristabilito in onore dalla nipote di lui, Luisa Elisabetta duchessa di Sassonia (1709), e divisa di codest’ordine era un teschio stretto da un legaccio nero con le parole “Memento mori!” Quando – secondo l’alta parola di Giuseppe Mazzini – maturò per gli italiani la religione del “freddo, inesorabile, scarno dovere”, e la Giovine Italia chiudeva il periodo delle sette per aprire quello dell’Associazione Educatrice (Dito), i bolli massonici rappresentarono la fredda, inesorabile, scarna realtà, sormontando la panoplia simbolica con il teschio ghignante. Con eguale sentimento del sacro dovere verso la Patria, gli arditi d’Italia nell’ultima guerra assunsero il teschio ad emblema delle proprie balde e prodi legioni. Per ben altri ardimenti – quelli criminosi – i vulgari malfattori della camorra segnano il teschio inquadrato nella parte superiore di una croce di sant’Andrea formata con ossa, per rappresentare il furto nel loro cifrario secreto (Guyot). Negli anni precedenti la grande guerra la principessa ereditaria di Germania, Cecilia, donò al suo consorte – capo degli usseri della Morte – un orologio da tavolino contenuto in un teschio: dono che denota di quale senso di femminilità fosse dotata la donatrice, il cui gusto non conosce gli estremi del grottesco anche ripugnante. Comunemente, il teschio umano è simbolo funerario, o indica pericolo di morte sugli arnesi esposti al pubblico, o veleno sui barattoli della chimica e della farmaceutica. Il teschio era, anticamente, l’emblema dei traci. Il teschio di cervo, di bisonte o d’altro animale, posto di fronte nel blasone, è detto araldicamente massacro, ed è trofeo venatorio."
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Testo tratto da: Giovanni Cairo, "Dizionario ragionato dei simboli", Ulrico Hoepli, Milano, 1922 (febbraio 2022).