Schede
Plinio il Vecchio, come già Omero, ricorda il famoso fiore di Mileto, vantandone il profumo. Nella cultura cristiana la rosa è associata ai martiri e alla Vergine. Secondo i padri della chiesa in origine la rosa del paradiso terrestre non aveva spine, ma queste sarebbero comparse sulla pianta per ricordare all’uomo la sua caduta e i suoi peccati. La Vergine, non essendo colpita dal peccato originale, è spesso chiamata “la rosa senza spine”. Conosciute e coltivate per la loro bellezza e per il loro profumo, le rose sono divenute il simbolo della Madre di dio. Questo fiore, quando non è direttamente associato a rappresentazioni mariane, sembra essere presente nell’arte funeraria ottocentesca senza un significato particolare.
Per approfondire il tema della simbologia funeraria ottocentesca cliccare qui, sul significato religioso della rosa cliccare qui.
Gian Marco Vidor, 2008
"Chi può dire la fortuna della rosa? Essa è il prediletto ornamento della terra, il sorriso e l’olezzo d’ogni suolo e d’ogni clima; e le più dolci e appassionate parole furono dette a sua gloria, le più enfatiche appellazioni ne dissero l’elogio, le più alte cetre ne cantarono l’inno. Io non la vidi tante volte ancora / Ch’io non trovassi in lei nuova bellezza si può ripetere – come nella accesa canzone dantesca – per la indiscussa regina dei fiori. I nervosi gelsomini, / Le viole impallidite / Gli amaranti porporini / Di beltà muovono lite; / Ma la rosa in su la spina / Sta fra lor quasi regina. (Chiabrera – Ad Amarilli).
Ed il quasi del Chiabrera sta per il come. E’ caduta ella dalla vaga stella di Espero? O è nata con Venere Anadiomene dalla perla delle onde marine? O è vero che ella era bianca come la neve e che l’irrequieto Cupido, scherzando con i nappi degli dei, rovesciò il nettare che piovve sulla terra e tinse di vermiglio la rosa? O è vero, invece, che ella divenne di colore incarnato per le gocce di sangue dello spirante Adone, nascosto nel cespuglio del candido roseto da Venere, per nasconderlo all’ira gelosa di Marte? O è vero che Maometto – trovandosi un giorno al cospetto del fulgidissimo trono di Dio – così si sentisse convulsamente turbato per la commozione che sei gocce del suo sudore caddero sulla rosa bianca e la imporporarono tanto vagamente? Miti, leggende, apologhi belli e graziosi, tutti degni del subietto, e quali se ne potrebbero raccogliere a centinaia dalle muse di tutte le genti del mondo. (Cfr. Joret – La rosa nell’antichità e nell’età di mezzo, con la bibliografia della rosa – 1892). In ogni rito, in ogni festa – sacra e profana – si trova la rosa: orna le statue degli dei e degli eroi; corona l’erma della Pace e della Vittoria; sorride dalla chioma della vergine, invita sul talamo della sposa, esulta fra le dapi del triclinio, sospira sul feretro. Simbolo supremo e inconfondibile di bellezza, lo è pure dell’amore, in tutela di Venere, con il mirto, e data ad Erato. "La rosa dedicata all’amore" dice Anacreonte. Peyoda Siri – una delle mogli di Visnù – nasce dalle corolle di una rosa. Confucio loda la rosa in un poema – dicono – di trecentomila trecento trentetre versi (!). Altrettanto vuolsi abbia perpetrato Bonaventura di Prières (1560). Nelle concezioni della moderna "decadenza" letteraria di Francia e d’Italia – non lume di aurora ma sorriso di tramonto – la rosa è un poema costante di voluttà. Circola nel lucido arco delle strofe di de Banville una fragrazza che par distillata dalle rose; è come un rivoletto in cui esse gemono lacrime odoranti, come un’urna in cui si raccolgano profumi vaporanti di ebrezze lente e fatali: Fleur femme, elle contient tout ce qui nous est cher, / Jour, triomphe, caresse, embrassement, sourire.
Mendès e Silvestre amavano avvolgere le nudità frementi e peccaminose dei loro racconti in uno strato luminoso di rose, e sotto quest’involucro insegnarono il frutto morboso dell’arte. Anche gli scrittori italiani hanno care le rose: è nota la predilezione di Carducci per l’aggettivo roseo; così era in antico. Di petali di rose erano sparsi i letti dei sibariti, e Sminiride di Sibari si lagnava di non aver potuto dormire perché un petalo s’era piegato in due. Tanta mollezza sgomentava i saggi: Seneca ebbe acri invettive contro le delicature delle rose ricercate dalla gioventù romana. Parimenti inveirono i primi filosofi cristiani, Tertulliano e Clemente Alessandrino, il quale rammentò che il Redentore era stato coronato di spine. Il Corano ricorda frequentemente i celesti roseti, delizia dei credenti e delle belle urì "dagli occhi neri e dal seno alabastrino" (c. XLIV). Merlin Coccaio assegna il Cielo di Venere come patria delle rose: Oh quantas Veneres, quae Pallados iustas habentur! / Ipsa Venus, terso casamentum fixit in orbe, / Per quem Nympharum multis sociata brigatis, / Il nitidas relegendo rosas, violasque recentes... Il culto della rosa si fece meno terreno e sensuale, ma non ebbe soluzioni di continuità. Rosa nova mirabilis, / Rosa fragrat lilium si cantò nell’evo medio alla Madonna; perché dalle estasi di san Bonaventura alle manie di Jacopone da Todi, nelle rappresentazioni e nei canti, tra le dame delle rocche merlate d’onde sprizzavano gli ultimi guizzi della moda occitanica e tra il buon fervore d’opere del popolo artigiano dei comuni, ovunque spirasse l’aura gioconda della giovinezza e dell’amore e l’aura mistica della fede, la rosa fu fatta il simbolo di Maria, la madre divina, il fiore della Madonna:
Quivi è la rosa, in che il Verbo divino / Carne si fece. (Par. XXIII – 73) E ancora Dante vedrà foggiato a rosa il Paradiso: Informa dunque di candida rosa / Mi si mostrava la milizia santa / Che nel suo sangue Cristo fece sposa. (Par. XXXI. 1) La mistica leggenda dei celesti roseti è viva tuttora, e ne consacra l’uso della Chiesa, di versare dall’alto del soffitto un nembo di rose sui fedeli, il dì di Pentecoste – Pasqua delle rose – simboleggianti la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. Gittiamo un profluvio di rose, / Spargiamo l’effluvio de’ fior; / E un turbine d’aure odorose / Irrori la placida salma; / E voli redente quell’alma, / Redenta dal fuoco d’amor. (Boito – Mefistofele)
Tutta grazia voluttuosa e soave freschezza e divino profumo, ma...non c’è rosa senza spine, dice il proverbio. "La rosa è suffrùtice munito di aculei, a foglie alterne..." così parla l’aspro linguaggio della botanica contro il leggiadro tessuto della poesia; e sant’Ambrogio la dice simbolo della vita umana, nata con le spine, e fragile e caduca. Mosè aveva detto al suo popolo che prima del peccato di Adamo le rose nascevano senza spine; ma gli ebrei esaltavano la rosa di Gerico e di rose i loro sacerdoti si coronavano nel sacrificio. Il bellissimo dei fiori era sempre lo specchio eloquente della vita nel periodo trionfale del suo corso; rappresentava insieme la giovinezza e la fugacità della età: dice un notissimo madrigale antico: Quam longa una dies, aetas tam longa rosarum, / Quas pubescentes juncta senecta premit. / Quam moda nascentem, rutilus conspexit Eous, / Hanc veniens sero vespera vidit anum. Nel primo vagito della canzone italiana germoglierà la "rosa fresca aulentissima" (Ciullo d’Alcamo); canterà l’Ariosto – sulle orme di Catullo – che La verginella è simile alla rosa (Orl. Fur. I – 42); canteranno la rosa Torquato (Giostra – I. 78 – Ger. XVI. 14), il Marino (Adone – III.178); e come è antico costume di Turchia scolpire la rosa sui tumuli di coloro che morirono in celibato, così verrà l’elegia di Maleherbe (famosa per un felice errore di stampa) a ricordare la rosa sul lacrimato sepolcro della amica giovinetta: Mais elle etait du monde ou les plus belles choses / Ont le pire destin, / Et Rose, elle a vecu ce que vivent les Roses, / L’espace d’un matin. (Lettera a Du Perrier) Cfr. "l’elegante traduzione" del concetto di Jacopone da Todi "fatta dal Poliziano (la quale – dice il De Sanctis – ti pare una Venere intonacata e lisciata): Fresca è la rosa di mattino: e a sera / Ell’ha perduta la sua bellezza altera.
L’Aurora si rappresentava coronata di rose. Arpocrate, dio del silenzio, era un giovinetto con un dito sul labro e una rosa bianca nell’altra mano: perché la rosa bianca fu per gli antichi uno dei simboli del mistero: si usava esporia – non confusa con quella rossa, dedicata a Como – bene in vista, sul palco, durante i banchetti, per ammonire i convitati a non riferire quello che in essi si diceva; e il giuramento ebbe una formula usitatissima: "sub rosa"; ed ancora sopra le mense delle osterie di Germania pende la corona di rose, ed ivi "parlare sotto la rosa" vuole ancora dire parlare in secreto. Grande importanza ermetica ebbe, infatti, anche nella framassoneria, ad opera di Cristiano Rosenkreuz (1378-1484), fondatore della confraternita della Rosa-Croce "il cui scopo era di stringere in un sol fascio gli Gnostici, i Cabalisti e gli Alchimisti...I Rosa-Croce pretendevano di conoscere la Magia e tutti i segreti scientifici degli antichi Misteri; si proclamavano eredi della Sfinge, e come lei erano amici del silenzio. Di essi non si conosceva che un simbolo, vero arcano diabolico per i profani...una stella di dodici raggi, con nel centro un Triangolo iscritto in una circonferenza, e dentro questo Triangolo una Croce con una Rosa sotto la quale un Uccello ad ali aperte si strappava il ventre a colpi di becco per nutrire delle sue viscere tre suoi piccoli affamati. E il tutto era circondato da cinque stelle a cinque raggi mentre un’altra con sette sorgeva sopra la punta del Triangolo" (Saunier). "Saper morire, voleva dire rendersi immortale, ed ecco perché una Rosa nasceva dal cadavere e sbocciava odorosa e bella" (id). Lentamente i bei petali appassiscono, cadono; si riuniranno all’alba alla grande madre natura, dove si trasformeranno ancora per risorgere in altre rose più rigogliose e più belle: tale il concetto onde la rosa fu assunta anche come simbolo di immortalità, antitetico alle significazioni cui abbiamo antecedentemente cennato. I liberi muratori tedeschi scolpivano una rosa sulla croce e Luther la dipinse sulla propria biblia. Se non che è a chiedersi come si può fare un elenco delle significazioni simboliche della rosa. "Chi sa quante rose vi sono al mondo? E così, nessuno sa quante bellezze vi sono. La rosa bianca è la purissima bellezza nivale che si ignora; la rosa thea è la bellezza profonda e sentimentale; la rosa rossa è la bellezza appassionata; la rosa rosea è tutta la bellezza, passione e purezza, sapienza e sentimento" (Serso). "Non vi sono, forse delle rose fulgide, le rose di maggio, e le rose umili, le modeste roselline bianche della Cina? Non vi sono, forse rose di una complicazione sentimentale, cioè le rose di quella pallidissima tinta, esterna e interna, rose fragili e affascinanti, come vi sono le rose semplicemente sentimentali, quelle dai petali bianchi e dal seno roseo? Non vi sono delle rose frivole, le rose di ogni mese che si sfogliano ad un soffio e delle rose serie e austere, le rose di un roseo profondo e saldo, che vivono dieci giorni, sovra un ramo e quattro giorni, in un vasello d’acqua? Non vi sono delle rose, umilissime rose naturali, rose di siepe, e delle superbe Malmaison, ottenute dalle cure più assidue del giardiniere?" (id). E a tutte codeste bellezze, alle altre ancora, corrispondono simboli e simboli: il candore e l’innocenza per la rosa bianca, l’amor capriccioso per la muschiata; l’amore ingrato per la gialla; la voluttà per la borracina; l’amor fedele per la incarnatina; l’amore orgoglioso per la purpurea; la leggiadria e l’affabilità per la centifolia; la fecondità per la multiflora; il capriccio per la moscata…e la serie non è compiuta. La rosa canina non cresce in altezza ed ha volte in basso le spine perché – dice una leggenda della Slesia – il diavolo cacciato dal cielo tentò con essa di farsi una scala per risalirci, sì che essa restò fra le rose, la più perseguitata, come sinistro simbolo di opera diabolica. Nell’antica Roma le rose furono l’unico fiore permesso alle femine della Suburra; così nell’evo medio la rosa era il simbolo di disonore che gli statuti di alcune città comandavano di portare alle perdute. Si onoravano invece con le rose la virtù e la castità delle fanciulle, le così dette rosières. San Medardo, vescovo di Noyon (480-577) istituì in Salency, sua patria, questo gentile costume, che tuttavia sopravvive in alcune terre di Francia, sostituendo, però, l’oro e la dote in contanti al premio della effimera rosa. La "rosa d’oro" è il prezioso gioiello che i papi benedicono nella domenica "Laetare" - quarta di quaresima – e mandano poi in dono a qualche principe insigne, come simbolo di onore fedele alla Chiesa. L’origine di questo uso non è bene assodata. Esso esisteva già sotto il pontificato di Leone IX (1049-1054), e vuolsi decretato da lui in una abazia della patria Alsazia (Tosti). Un’altra tradizione narra di un pio eremita nel cui orticello un rosaio fioriva sempre alla quarta domenica di quaresima; egli portò una volta quel fiore al papa, il beato Gregorio, il quale ebbe per divino segno la miracolosa fioritura, quasi invernale; la benedisse, la recò in mano andando in processione a Santa Croce di Gerusalemme, la mandò poi in dono ad un devoto e fedele signore della cristianità. Morto l’eremita, il rosaio non fiorì più, così che si pensò di sostituire col metallo prezioso la mirabile rosa (Fumi – Arch. st. lomb.). Oggi la rosa d’oro viene offerta solamente alle donne reali. Si compone d’un calice poggiante sopra uno zoccolo triangolare a due piani e portante uno scudo con l’arme pontificia; contiene un cespo di rose d’oro, una delle quali – più grande e dilatata delle altre – è rorida d’una rugiada di diamanti. Rodi aveva la rosa nel suo nome e la coniava per emblema nelle sue monete (Noel). Nella storia è segnata fatalmente la guerra delle due rose: i partigiani di Enrico di Lancaster, coronato re d’Inghilterra (1422), misero una rosa rossa sui loro cappelli; quelli dell’altro pretendente, Riccardo d’York una rosa bianca, e per trent’anni continuarono le spaventose carneficine. Nel blasone la rosa si rappresenta con un fiore di cinque foglie arrotondate e bottonate al centro; è emblema di bellezza, onore incontaminato, soavità di costumi, nobiltà e merito riconosciuto (Ginanni). La città di Grenoble reca tre rose (rosaces) che forse richiamano le rose che i papi inviavano ai delfini di Francia (Ménéstrier)." (Testo tratto da: Giovanni Cairo, "Dizionario ragionato dei simboli", Ulrico Hoepli, Milano, 1922, aggiornamento febbraio 2022). Per approfondire il tema della simbologia funeraria ottocentesca cliccare qui.
Die Rose. Plinius der Ältere, sowie Homer erinnern an die berühmte Blume von Mileto, die einen besonderen Duft hatte. In der christlichen Kultur wird die Rose mit den Märtyrern und der heiligen Jungfrau verbunden. Laut den Gründern der Kirche hat die Rose in Eden keine Dornen, diese erschienen aber auf der Rose, um die Menschheit an die Sünde zu erinnern. Die heilige Jungfrau hat keine Sünden begangen und wird deswegen auch oft die "Rose ohne Dornen" genannt. Wegen der bekannten Schönheit und dem Duft jener Rosen wurden sie zum Symbol der Mutter Jesus ernannt. Im 19. Jahrhundert gab es keine anderen Deutungen für die Rose, sie galt nur als Symbol für die heilige Jungfrau. (Traduzione a cura della classe 5 H del Liceo Scientifico “Augusto Righi” di Bologna, nell'ambito del progetto di scambio culturale con il Liceo "Europaschule" di Bornheim, Germania, maggio-ottobre 2014).
La Rose. Pline l'Ancien, comme Homère déjà, se souvient de la célèbre fleur de Milet vantant son parfum. Dans la culture chrétienne, la rose est associée aux martyrs et à la Vierge. Selon les pères de l'Eglise, à l'origine, la rose du paradis terrestre n'avait pas d'épines, mais celle-ci apparaît sur la plante pour rappeler à l'homme sa chute et ses péchés. La Vierge, n'étant pas affectée par le péché originel, est souvent appelée "la rose sans épines". Elles sont connues et cultivées pour leur beauté et leur parfum, et pour cette raison les rosiers sont devenues le symbole de la Mère de Dieu. Cette fleur, lorsqu'elle n'est pas directement associée aux représentations mariales, semble être présente dans l'art funéraire du XIXe siècle sans signification particulière. (Traduzione in francese a cura del Liceo Leonardo Da Vinci, nell'ambito del progetto Scuola Lavoro 2020/21).
La Rosa. Plinio el Viejo, como Homero, recuerda la famosa flor de Mileto, presumiendo de su perfume. En la cultura cristiana, la rosa está asociada con los mártires y la Virgen. Según los padres de la iglesia, originalmente la rosa del paraíso terrenal no tenía espinas, pero estas aparecen en la planta para recordarle al hombre su caída y sus pecados. A la Virgen, al no estar afectada por el pecado original, a menudo se la llama "la rosa sin espinas". Conocidas y cultivadas por su belleza y fragancia, las rosas se han convertido en el símbolo de la Madre de Dios. Esta flor, cuando no se asocia directamente con las representaciones marianas, parece estar presente en el arte funerario del siglo XIX sin un significado particular. (Traduzione in spagnolo a cura del Liceo Leonardo Da Vinci, nell'ambito del progetto Scuola Lavoro 2020/21).