Schede
Con l’aquila è certamente l’animale più rappresentato nell’antichità classica e nel Vicino Oriente. Egli simboleggia la forza, la nobiltà, la maestà, il coraggio e l’ardore. Nella tradizione cristiana è simbolo dell’evangelista Marco ed è compagno di alcuni santi, particolarmente di quelli del deserto.Nel Fisiologo il leone è legato alla Resurrezione di Cristo. Nell’arte medievale, come simbolo di coraggio è rappresentato ai piedi dei gisants sulle tombe di uomini potenti. Il leone è iconograficamente legato alla virtù cardinale della Fortitudo e nel Ripa è attributo dell’Etica e del Governo di se stesso. Inoltre quando la forza è sottoposta o a l’Eloquenza o alla Giustizia, il Ripa sceglie sempre un leone per rappresentarla. Ma come emblema della Forza il Ripa sceglie l’elefante. L'animale nel suo insieme e alcune parti del suo corpo, come la testa e le zampe, sono ampiamente utilizzate in molte delle arti applicate, anche nella sfera funeraria.
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Gian Marco Vidor
"La leggenda, prodotto di forme universali del pensiero e del sentimento, perennata da una potenza fantasticamente resistente, eleva ai fastigi della ammirazione il leone, e di questo superbo “re degli animali” si fa cortigiana onusta di colori e di splendori. Il simbolo – che è il termine formale esprimente il ricorso costante dell’idea generica – esalta esso pure il leone, a cui conferisce alte dignità di pregi e di virtù, che nella realtà non corrispondono come materia di ragione e di critica riflessione. La forma religiosa primitiva per la quale si credeva nella esistenza degli spiriti animatori delle cose create, non poteva non riflettersi sulla belva bellissima, dalla testa maestosa, dallo sguardo pronto e sicuro, dal corpo agilmente simmetrico e gagliardamente elegante. Leonino è il dio Nergal dei babilonesi; leonino l’aspetto del Tempo, primo gerarca delle divinità, per gli indù e gli irani; fieramente leonina è la testa del Satana manicheo, ed è un leone l’Abrasas dei settatori, sovrano fra gli dei (sec. II di C.). Al leone i fenici innalzano ricchi altari; i germani ne ornano lo scudo del valoroso e prudente Ermione, re e nume; gli egizi e greci lo dedicano a Vulcano, per la sua ignea natura e per il suo ruggito simigliante al boato dell’eruzione. Mitra – il dio che tempera la luce e le tenebre, nei riti misteriosi vietati a Roma da Adriano – è raffigurato tal volta con corpo umano e testa di leone. Cibele ha i leoni mansueti aggiogati al suo carro e nei suoi sacrifizi si porta l’effige del leone. Ercole fra i pagani, Sansone fra i semiti – i prototipi della forza prodigiosa – salgono a rinomanza quando hanno vinto il leone; e altri eroi e re – come Agamennone – si pregiano di portare il vello leonino e di adornare l’elmo e il diadema con la simbolica testa ondosamente chiomata della formidabile fiera. Salomone fa decorare il suo mirifico trono con la figura di dodici leoncelli (III Reg. - X. 20).
Perocché il leone – oltre all’essere caro motivo di estetica rappresentativa – è pure elemento importantissimo di concrezione simbolica, entificante una eletta serie di qualità astratte; avanti tutte, la fortezza, dell’anima e del corpo. (Es.: la Fortezza effigiata dal Domenichino in S. Andrea alla Valle a Roma, ha il leone); il valore, la virtù, la magnanimità, la clemenza, la generosità. Riporta il Ripa due distici dedicati a Cesare Augusto:
Parcere prostratis scit nobilis ira Leonis / Qui vincis semper victis ut parcere possis.
Ed ancora il Ripa riporta il seguente antico epigramma:
Corpora magnanimo fatis est prostrasse Leoni. / Pugna suum finem cum iacet hostis habet, / At lupus, et turpes instant morientibus ursi / Et quaecumque minor nobilitate fera est.
Brescia l’eroica è la “leonessa d’Italia” (Carducci). Il leone è pure fatto simbolo della riconoscenza, e si ripetono episodi commoventi e meravigliosi: quello dello schiavo Androcle, risparmiato nel circo da un leone, cui egli aveva, molti anni prima, nel deserto, tolta una spina dal piede dolorante (Seneca, Eliano, Aulo Gellio); e quello della donna fiorentina che n’ebbe restituito il figliuolo (Novellino). Dicesi che il leone ha la probità di costituirsi e di alimentare una famiglia, mantenendo una monogamia temporanea, almeno fin che il leoncini possano badare a sé stessi per la cerca del cibo, e protegge la femina con la prole, ed esercita – insomma – tutti gli offici di buon padre, tal che fu ancora prescelto nelle arti figurative a rappresentare Dio Padre; e poiché egli – inseguito dai cacciatori – cancella con la sua lunga coda le orme, per far sì che nessuno possa scovarlo dal nascondiglio, così fu anche designato a rappresentare Cristo, che cancellò le tracce della sua divinità quando scese sulla terra (Physiologus). Decevasi anche che il leone si svegliasse alla vita soltanto dopo tre giorni da che era partorito, per i ruggiti e per l’alito che il padre gli soffiava in bocca:
De lo leone per nostro conforto / Una gran meraviglia n’aggio audita / Ch’a la nativitade nasce morto, / E ‘l terzo giorno sta come perita. / Rugge lo patre; en istante è risorto, / In quella voce par che li dia vita. / Lo dolce Cristo fu in simile porto / Quando l’uccise la gente tradita, / E nello terzio giorno suscitò. (Bestiario moralizzato).
(Cfr. Mazzatinti e Monaci, in Atti dei Lincei, 1887). Altre volte fu usato come simbolo di custodia, e posto a sostenere le colonne dei portali e dei pronai dei sacri edifici, perché dicesi ch’esso dorma ad occhi aperti, come Cristo vegliava nella sua divinità anche nella tomba.
Instantis quod signa caneus det gallus Eoi, / Et revocet famulas ad nova pensa manus: / Turribus in sacris effingitur aerea pelvis, / Ad superos mentem quod revocet vigilem. / Est leo, sed custos, oculis quia dormit apertis, / Templorum idcirco ponitur ante fores. (Alciato: Embl. XV).
Merita il leone questo eccesso di onore? Spiace rammaricare qualche glossatore di antiche parabole, a cui parrà sacrilegio attentare all’arcaica tradizione, consolidata dall’autorità di illustri zoologi, come il Buffon. Osserva argutamente il Graf “la reputazione del leone è a due facce, onorevole l’una, disonorevole l’altra”. E vediamo codesto altro volto del simbolo. Il leone è tutt’altro che magnanimo e generoso; è invece subdolo e insidioso, perché si appiatta nell’attesa della preda più debole di lui, e contro di essa si avventa per agguato e l’abbatte con il terrore, con la violenza, con l’urto materiale: valore di poco prezzo. E non è né men generoso perché fa émpito contro chi gli resiste, e gli stessi iconologisti che lo esaltano per la nobile inclinazione al perdono, in altri passi lo descrivono vendicativo, ricordando il fatto del compagno di Giuba, re dei mori, che fu riconosciuto dopo un anno da un leone da lui ferito di un dardo, e sbranato, senza che la fiera toccasse i suoi compagni. Però gli egizi dipingevano il leone per la vendetta (Ripa). Anche la favola di Esopo – riprodotta da Fedro, dal La Fontaine, da Dodsley – ricorda l’imperiosità del patto “leonino” e le parti che per sé fa il leone, tutto arraffando e non lasciando briciole altrui:
Ego primam tollo, nominor quoia leo, / Secundum quia sum fortis ecc. (Fedro, I – 5).
Il leone non è animoso; non varca mai un muro senza sapere ciò che l’aspetta dall’altra parte. Una barriera di fragile carta basterebbe a proteggere da esso una mandria di buoi, se questi non si spaventassero all’odore della belva ed alla sua voce. Il leone è iracondo: “Come il ruggito del leone, così è anche l’ira del re” afferma Salomone (Prov. XIX. 12) E l’Alciato:
Alcaeam veterem caudam dexere leonis, / Qua stimulante iras concipit ille graves. / Lutea cum surgit bilis, crudescit et atro / Felle dolor, furias excitat indomitas. (Embl. LXIII).
Né il leone è temperante. Si riempie di soverchio e sopporta facilmente il digiuno; e la indifferenza che il lui pare generosità, e che lascia libero il passo ai tremebondi viatori che lo trovano improvvisamente da presso, diviene spaventevole ferocia nel digiuno. Ma il leone non è né meno sempre animoso. Quando egli con lento passo si rinselva, non lo fa certo “con fermo proposito di non far cosa indecente alla sua nobiltà” come pretende il Ripa; sì bene perché gli manca l’animo della lotta, e chi legge l’indiano Panciatantra non si forma “un’idea superlativa del coraggio e dell’accorgimento del leone, che ora teme del toro, ora del montone, ora dell’asino, ora dello sciacallo, che fa straziare prima dal leone la pelle dell’elefante di cui vuole mangiare la carne” (De Gubernatis): lo sciacallo ha una potenza di comando, dunque, superiore a quella del re per definizione. E pure il leone fu la grande insegna del dominio; simbolo supremo di quello che oggi direbbesi imperialismo; adottato dai franchi, dai bulgari, dai britanni, da cento altri popoli conquistatori e da signori pugnaci per bramosia di dominio, come gli Armagnac. Lo profilavano emblematicamente nelle medaglie Cizico e Guido; lo ponevano al sommo delle loro imprese ed alato gli assiri. Nella seduta del consiglio di stato napoleonico nella quale si doveva stabilire l’emblema per l’impero, Crètet aveva proposto l’aquila, il leone o l’elefante; Talleyrand – o Combacéres – le api; altri il gallo. Napoleone rifiutò il gallo ed esclamò: “Bisogna prendere un leone steso sulla carta di Francia, con la zampa alzata verso il Reno, e con il motto – Disgrazia a chi mi stuzzica” – ”. Venezia nel nome di Marco, volle sigillo di tuitti i suoi grandiosi trofei il leone alato, che dalla Piazzetta “sembra spiri l’uragano dalle fauci aperte” (Castelar).
Era un tempo Vinegra un’altra Tiro, / E di Pianta-leone ai figli suoi / Diero il nome i trionfi: uno stendardo / Che traverso agl’incendi, all’armi, al sangue / Sulla terra e sul mar vittoriosi / Portavano. (Byron – Aroldo – IV. XIV – Trad. Maffei).
L’evangelista Marco – intravvisto nel corpo di Ezechiele – era fin dai tempi protocristiani allegoricamente raffigurato con il mezzo leone (Galanti); e quando i veneziani ne trasferirono il corpo alle isole Realtine – dove egli in vita era approdato, colto da una procella – l’insigne martire della fede fu eletto come protettore (828), che successivamente fu raffigurato come leone alato e ridestante i dormenti col suo ruggito da Jacopo da Varazze (Leggenda aurea). E’ però errore credere che san Marco fosse sostituito a san Teodoro, primo patrono dei veneziani, nel patronato della gloriosa repubblica: nei calendari di essa, fino all’anno della sua esistenza (1797) trovasi indicato san Marco (25 aprile) come principale protettore della repubblica, e san Teodoro (9 novembre) quale protettore della città (Musatti). Il leone come simbolo della potenza veneta non appare che nel secolo XIII: e dominava, in bronzo, la Piazzetta dall’alto di una delle due colonne, presso san Teodoro. Un leone rampante, con il vessillo, aureolato ma senza le ali e il libro è coniato nel soldino d’argento del doge Francesco Dandolo (1330). Ad esso furono in seguito aggiunti la coda, le ali e il libro sotto le zampe anteriori (fine del sec. XV), e Gentile Bellini, nella sua insuperabile Processione, poneva le bandiera della piazza di S. Marco con il simbolo dell’evangelista, issante su tre pili disadorni di legno. I documenti e i cimeli provano ad esuberanza che il leone veneziano deve essere d’oro in campo rosso.
Hoc Matheus ageus hominem generaliter implet. / Marcus ut alta fremit vox per deserta leonis. / Jura sacerdotii Lucas tenet ore iuvenci. / More volans aquilae verbo petit astra Joannes. / Quatuor hi proceres, una te voce canentes. / Tempora seu totidem latum sparguntur in orbem.
Così Celio Sedulio (sec. V) descrive il tetramorfo degli evangelisti. (Cfr.: A. Santalena – Leoni di S. Marco). Le sacre carte e la Chiesa non accettarono sempre benignamente l’entificazione simbolica del leone. Come presso i persiani esso rappresentava Ariman, genio del male, così Daniele nella leonessa con le ali aquiline intravide l’impero dei caldei, con la pervicace superbia del suo re. Né la Chiesa – che raffigurava il suo autore con le figure innocenti e pure dell’agnello e ella colomba – poteva dargli aspetto figurabile normale nella belva spaventosa. La quale rappresentò di frequente il maligno, quaerens quem devoret; e la forza irrazionale. Non chiaro – ma certo non ispirato a benevolenza – è il simbolo di Dante, che nel leone apparsogli all’inizio del viaggio periglioso
Con la test’alta o con rabbiosa fame, / Sì che parea che l’aer ne temesse, (Inf. I – 47).
dicesi intenda indicare la violenza, o la superbia, o la bestialità, o forse la corte di Francia guelfa e odiosa per lui. Il leone “animale di natura valida e ferocissimo” era consacrato anche al Sole, perché, fra tutti gli animali che tengono l’ugne incurvate, egli è l’unico che vede appena nato (?) e perché – come si è detto – dorme ad occhi aperti (Plutarco). Il leone nemeo è quello di cui i poeti del cielo formarono la costellazione, e ne fecero il segno del luglio, assegnato alla quinta casa dello zodiaco (il “lione ardente” - Par. XXI. 13). Nelle armi gentilizie il leone è forse il più possente dominatore, e si disegna in varie guise. Quando è passante, con la testa di faccia o in maestà, si dice leopardito; per lo più si rappresenta rampante; nelle armi di molte città della Franca Contea è nascente. Nel modo che l’aquila senza coda è impresa diffamata, così il leone rappresentato privo di lingua, di unghie, di coda, di sesso, dice l’infamia del suo titolare; e – ad esempio – tale fu il cavaliere Giovanni d’Avesne che per ordine di Luigi il Santo, re di Francia, dovette in quella guisa ridurre il leone del proprio stemma, per avere vilipesa la madre."
(Testo tratto da: Giovanni Cairo, "Dizionario ragionato dei simboli", Ulrico Hoepli, Milano, 1922 - febbraio 2022).
Der Löwe. Der Löwe und der Adler sind die meist vertretenen Tiere im Mittleren Osten aus der Epoche der Klassik. Das Symbol steht für Stärke, Güte, Königlichkeit, Mut und Leidenschaft. In der christlichen Tradition ist das Symbol von Evangelisten Markus und Begleiter vieler Heiligenfiguren . In dem Buch Physiologus steht der Löwe in Verbindung mit der Auferstehung von Jesu. In der mittelalterlichen Kunst steht der Löwe am Fusse der Stein-Plastiken auf dem Grabstein mächtiger Personen als Zeichen von Mut. Der Löwe steht auch in Verbindung mit den Grundtugenden als Attribut der Ethik und Gerechtigkeit. In den folgenden Jahrhunderten hat sich der Körper des Tieres oder die Teile des Körpers wie z.B. Kopf oder Pfote weit verbreitet.
Le lion. Le lion, avec l'aigle, est certainement l'animal le plus représenté de l'Antiquité classique et du Proche-Orient. Il symbolise la force, la noblesse, la majesté, le courage et l'ardeur. Dans la tradition chrétienne, il est un symbole de l'évangéliste Marc et est le compagnon de certains saints, en particulier de ceux du désert. Le lion est aussi lié à la résurrection du Christ. Dans l'art médiéval, il était le symbole du courage et , en effet, il est représenté aux pieds des gisants sur les tombes des hommes puissants. Le lion est lié, en ce qui concerne l'iconographie, à la vertu cardinale de la Fortitudo ( force) et l’ l'auteur Cesare Ripa le considère comme le symbole de l’Ethique et du Gouvernement. De plus, lorsque la force est soumise à l'éloquence ou à la justice, Ripa choisit toujours un lion pour la représenter. Mais pour représenter la force, Ripa choisit l'éléphant. L'animal dans son ensemble et certaines parties de son corps, comme la tête et les jambes, sont largement utilisés dans des nombreuses arts appliqués, même dans l’art funéraire.
Traduzione in tedesco del testo di Gian Marco Vidor a cura della classe 5 H del Liceo Scientifico “Augusto Righi” di Bologna, nell'ambito del progetto di scambio culturale con il Liceo "Europaschule" di Bornheim, Germania, maggio-ottobre 2014. Traduzione in francese del testo di Gian Marco Vidor di Sophia Derweduwen, Teresa Ferraresi e Matteo Pierantoni; Liceo Ginnasio Luigi Galvani, anno 2017-2018, supervisione prof. Alfonsino Soffritti.