Scheda
Armando Sarti, nato a Medicina nel 1903, cominciò a lavorare da calzolaio alla Fasanina nel 1926. Apprese il mestiere in una bottega di Budrio grazie al generoso compenso che il padre Ottavio pagò al maestro artigiano affinché diventasse un “calzolaio finito”.
Nei primi tempi Armando allestì il suo laboratorio con deschetto (specifico tavolino da calzolaio), seggiolino e attrezzi in un angolo della grande cucina di casa e nello stesso luogo riceveva i suoi clienti. Iniziò con la riparazione di scarpe rotte e in seguito si dedicò alla realizzazione di scarpe “su misura”. Una volta all’anno si recava dai clienti dove eseguiva le riparazioni a domicilio e prendeva le misure per le nuove ordinazioni. Partiva all’alba in bicicletta, un sacco di iuta sulla spalle che conteneva le forme e due grandi sporte con gli attrezzi e le materie prime. Spesso si sistemava nella stalla del cliente con deschetto e seggiolino improvvisati. Pranzava sempre con la famiglia di cui era ospite e a questo proposito Sarti ogni tanto raccontava un aneddoto: Sul grande tagliere la massaia impastava uova e farina e…aveva la goccia al naso. Qualcuno mi chiedeva “Stiv a magner, incù, calzuler?” e io di rimando, guardando la donna intenta a lavorare “Secand c’la casca!”. Quando poi il lavoro si protraeva fino al tramonto Armando riponeva gli attrezzi e passava la notte nel fienile avvolto nella sua mantella. Con il tempo le commissioni aumentarono a tal punto che dovette avvalersi della collaborazione di operai e apprendisti che trascorrevano la giornata “a banchetto” dalle 8 alle 20, con un breve intervallo per il pranzo. Il sabato era la giornata più impegnativa perché era necessario completare il lavoro da consegnare il lunedì. Così Armando, il primo giorno della settimana, si recava a Bologna in bicicletta a consegnare le scarpe finite ai clienti della città per poi tornare in paese con le nuove ordinazioni. Nel 1945 Armando Sarti si trasferì a Medicina in piazza Garibaldi dove allestì un laboratorio più grande con operai ed apprendisti e collaborò con altri artigiani medicinesi. Negli anni ’50 affiancò all’artigianato l’attività commerciale e abbandonò gradualmente il lavoro “su misura”. Nel 2015 i figli Giuliano e Giuliana hanno donato al Museo Civico di Medicina parte del materiale di bottega utilizzato dal proprio padre.
La produzione di scarpe “su misura” prevedeva un processo articolato in diverse fasi:
1| Si prendeva la misura del piede con il metro da calzolaio e si preparava la forma con imbottiture di cuoio o cartone per rendere la scarpa confortevole.
2 | Si preparava il pellame per l’orlatrice che, sul modello scelto dal cliente, tagliava, cuciva e foderava la tomaia.
3 | Quando la tomaia era pronta iniziava la “costruzione” vera e propria della scarpa.
4 | La tomaia veniva regolata sulla forma del piede del cliente e si fissava con i chiodi. Successivamente, al di sotto di essa si applicavano una o più suole di cuoio che venivano cucite a mano con lo spago.
5 | I bordi delle suole si rifinivano con carta vetrata e per la levigatura più raffinata si utilizzava una scheggia di vetro.
6 | Si cospargeva di cera il bordo della suola che ,con appositi strumenti riscaldati, permetteva di fissarlo alla suola.
7 | Si concludeva il lavoro con una energica spazzolata che levigava ulteriormente il fondo.
In collaborazione con il Museo civico di Medicina.