Scheda
Francesco Rizzoli nacque a Milano nel 1809 da una famiglia di modeste condizioni economiche; suo padre, Gaetano Rizzoli, luogotenente nell'esercito di Napoleone e Gioacchino Murat, morì nel 1814, lasciando Francesco e la sorella Teresa nelle mani dello zio paterno, a Bologna. Passò la sua giovinezza a Bologna e riuscì a conseguire la laurea in medicina nel 1828 e in chirurgia nel 1831. In seguito ad un intenso tirocinio, ottenne la posizione di assistente del cognato, Paolo Baroni, professore all'Università e direttore dell'ospedale degli Abbandonati e Ricovero. Rizzoli venne poi nominato capo chirurgo dell'ospedale quando Baroni divenne archiatra di Papa Gregorio XVI. Negli anni successivi visitò l'istituto di Joseph Francois Malgaigne a Parigi; al suo ritorno venne sollevato dall'incarico di capo chirurgo a causa di divergenze con il ministero. Privato dell'insegnamento, si dedicò alla cura della clientela privata dell'ospedale Maggiore e ne divenne primario, fino a quando nel 1868 gli venne riassegnata la cattedra di chirurgia. Fu chiamato ad esaminare la ferita che Giuseppe Garibaldi subì in Aspromonte, evitandogli l'amputazione.
Durante l'epidemia di colera del 1855 fu direttore del lazzaretto del Ricovero e di San Lodovico e ottenne il diploma per il suo operato alcuni anni dopo. Nel 1876 successe a Luigi Porta, occupandosi dell'insegnamento di chirurgia e medica operatoria all'Università di Pavia. Fu molto stimato e apprezzato anche in politica, ricoprendo diverse cariche a livello nazionale. Nel 1859 fu nominato deputato dell'assemblea nazionale dei popoli della Romagna, votò per la destituzione del governo pontificio e dal 1862 fu consigliere provinciale di Bologna. Nel 1879, un anno prima della sua morte, il re lo nominò Senatore del Regno. Morì il 24 maggio 1880 e la sua salma fu imbalsamata con iniezione arsenica. Caratterizzato da un forte grado di umanità, Rizzoli aveva come interessi preminenti il progresso della scienza ed il miglioramento della propria città. Nel 1879 Rizzoli acquistò dal Demanio il monastero di San Michele in Bosco, ex convento olivetano espropriato in epoca napoleonica e diventato "casa di forza" per i condannati all'ergastolo; privo di famiglia, lasciò poi in eredità le proprie ricchezze all'amministrazione provinciale di Bologna per la realizzazione del suo sogno: la costruzione di un grande e moderno ospedale per la prevenzione e il trattamento delle deformazioni del corpo. L'Istituto fu inaugurato da Umberto I il 28 giugno 1896 con il nome di Istituto Ortopedico Rizzoli, e rimane uno dei migliori ospedali ortopedici del mondo. Francesco Rizzoli fu severo, solitario e imperioso. Parsimonioso fino ad essere considerato avaro, sapeva essere anche molto generoso e attento alle necessità dei suoi pazienti e dei suoi assistenti. Fu una figura dominante nei circoli medici di Bologna, come presidente dell'Accademia locale delle scienze e per venti anni della Società medica chirurgica. A Rizzoli fu intitolato il tratto di strada che va da Piazza Maggiore alle Due torri. In Certosa il monumento funerario nella Galleria degli Angeli fu scolpito da Salvino Salvini, ma il suo corpo venne successicamente traslato, come indicato dall'epigrafe sottostante: "Francesco Rizzoli, professore di clinica chirurgica, traslato in S. Michele in Bosco il 15 dicembre 1957."
Testo a cura della classe 3^D del Liceo “Laura Bassi” di Bologna, nell'ambito del progetto "Alternanza Scuola - lavoro", A.S. 2016-2017
Così viene ricordato nel supplemento al n. 180 del Resto del Carlino – XXVIII Giugno MDCCCXCVI: "Sui primi del corrente secolo uno dei tanti valorosi nostri concittadini, Gaetano Rizzoli, prendeva le armi sotto il vessillo del primo Napoleone, e partecipava a quella magnifica epopea, che inaugurò la nuova era del mondo. Al Rizzoli la gloria delle armi italiche appariva il mezzo più efficace per riconquistare l'indipendenza e la libertà della patria, onde, devoto al gran Capitano, ne seguì le sorti prima come soldato, poi come ufficiale, e, caduto il primo Regno d'Italia, prese parte all'ardita impresa di Gioacchino Murat. Ma in quel generoso conato d'indipendenza Gaetano Rizzoli perdè la vita brutalmente fucilato dai briganti in terra italiana, come la perdè il prode condottiero, brutalmente fucilato al Pizzo dei Borboni. Ufficiale di gendarmeria, stanziato a Milano, aveva egli sposata Maria Trovamala, che il dì 11 luglio 1809 lo fece padre del nostro Francesco: Parve che al suo nascere il destino con fausto augurio il prediligesse, perchè egli non sarebbe venuto vivo alla luce senza l'aiuto e le cure del più illustre chirurgo di quel tempo, il Monteggia. Passata la madre a seconde nozze col conte cav. colonello Masi di Ferrara, il piccolo fanciullo, e la di lui sorellina Teresa, furono affidati in Bologna allo zio paterno Vincenzo Rizzoli. Così gravi amarezze travagliarono il cuore del nostro Francesco fino dalla prima infanzia. La Teresa che egli amò teneramente, ed era a lui maggiore di età, andò a marito nel 1823 con Pietro Penna, e, morto questi, si unì al nostro concittadino e valentissimo chirurgo Paolo Baroni, di chiara memoria.
I figli dell'amata sorella, Alessandro Penna e Alberto Baroni, furono l'amor suo. Ed anche in tali carissimi affetti lo colpì la sventura, chè in assai fresca età moriva Alessandro, uomo di carattere integerrimo, e giovanissimo il Baroni, già ufficiale nell'esercito, cadeva pur egli in quella terra ove l'avo era morto, strenuamente difendendo nel 1861 il vessillo d'Italia contro le orde barbariche. Lasciando a parte l'atto altamente magnanimo da lui per lunghi anni meditato, e in questi giorni compiuto, perchè a tutti è noto, e non bastano le parole ad encomiarlo, diremo che lo zio Vincenzo si adoperò per l'istruzione e per l'educazione di Francesco Rizzoli e lo mandò alla scuola in quel tempo la più reputata a Bologna, che era diretta da un egregio istitutore, Camillo Minarelli. Allora appunto una malsana temperie pesava sull'animo degli italiani, e, come altrove, qui, che era uno dei centri più operosi degli uomini che si travagliavano per il conquisto della libertà e dell'indipendenza, turbava l'intelletto e il cuore degli adolescenti. Mentre nell'interno delle famiglie, i padri commossi narravano i fatti e le glorie del primo Impero, eccitando la fantasia e gli ardori giovanili, al di fuori, le arti del Governo pretino miravano per contrario a soffocare ogni nobile e ardita aspirazione; e nell'ordine religioso, posti di proposito in dimenticanza i guerrieri, che per esse caduti da valorosi combattendo a difesa della fede di Cristo avevano avuto l'onore degli altari, e quegli alti spiriti, che per l'idea cristiana sostennero eroicamente stragi e morti ignominiose, si proponeva come unico e vero esempio della vita un povero rampollo di Gonzaga morto giovanissimo, estenuato dall'abbiezione claustrale, e dalla sterile contemplazione.
Dalla scola Minarelli, passò il Rizzoli all'università e dopo la Filosofia si diede alla Medicina e alla Chirurgia; e compiuti questi corsi con onore, entrò come pro-assistente nell'Ospedale degli abbandonati e Ricovero uniti. Aveva da poco terminato gli studii, che era già fatto sentire al giovane Dottore imperioso il bisogno di pensare al proprio sostentamento, perchè le sostanze oltre ogni dire scarseggiavano. Gli stipendi degli Assistenti agli Spedali erano allora talmente esigui e meschini che non bastavano alla vita, ed egli lottando colle più urgenti necessità, si assuefece di buon'ora a quella severa parsimonia, che mantenne anche quando cresciuto in fama e in fortuna, avrebbe, volendo, potuto condurre una vita da Sardanapalo. Con animo invitto sopportò per alcuni anni la povertà, senza lagnarsene mai, tutto assorto nello studio delle infermità umane, e dei modi più opportuni per apporvi rimedio. Il Baroni che lo teneva in gran pregio, l'incoraggiava coll'esempio, coi consigli, cogli insegnamenti, dei quali tanto approfittò, che l'Ospedale del Ricovero fu culla e teatro a un tempo ove sorse e si fè grande per lui una nuova e rispettata scuola di chirurgia. Chiamato a Roma il Baroni, quale archiatro di Gregorio XVI, il dott. Rizzoli fu incaricato dell'insegnamento della chirurgia e dell'ostetricia nella nostra Università; e fu tanto il plauso che ne riscosse dalla gioventù studiosa, che nel 1840 ebbe il titolo e grado di professore. E così a soli 30 anni Francesco Rizzoli aveva già ottenuto il primato e come insegnante e come ardito e abilissimo operatore.
Colmo d'onori e di gloria, e provveduto di facoltà per condurre una vita agiata, non mutò costume, e non tenne come ultima meta dei suoi intenti la mutazione rapida di fortuna che egli doveva soltanto alla tenacità dei propositi, alla potenza della sua mente e alla profonda dottrina che si era procacciata. L'intera sua vita, finchè lo incolse l'ultima malattia, fu tutta spesa con instancabile e feconda operosità nel culto della scienza e nel clinico insegnamento, portando a soccorso dell'egra umanità il sapere e l'esperienza acquisita. Egli è perciò che una vita così onoranda, così uniforme e connessa, può facilmente riepilogarsi. Nel campo scientifico e didattico fu maestro sommo, ed esempio solenne ai giovani d'intemerata onestà: Attestano il suo valore come scienziato i numerosi lavori e memorie, e l'accoglienza che ebbero dai dotti d'ogni paese; perocchè è in essi congiunta la lucidità e l'elevatezza della mente coll'acuta sagacia del profondo osservatore. Non è quindi meraviglia che non solo in Italia, ma anche presso gli stranieri, il nome del Rizzoli suoni onorato per le importantissime cose da lui insegnate come chirurgo e come ostetrico di primissimo ordine. Come curante poi fu impareggiabile per la carità e generosità dell'animo suo, piuttosto unica che rara. Non una volta sola egli negossi al più derelitto tapino. Le stesse assidue cure che ebbe per il ricco furono da lui prodigate al povero; e per il povero non era solo lo scienziato che applicava gli argomenti dell'arte salutare, era eziandio il filantropo, che visitando lo squallido abituro leniva le mortali angustie della miseria. Col ricco non mercanteggiò l'opera sua, né avvenne mai che egli riscontrasse e verificasse il compenso che aveva ricevuto, pago e soddisfatto abbastanza di aver adempiuto al suo dovere di medico e di chirurgo.
Lo strenuo insegnante, lo scienziato illustre, il sommo chirurgo, il filantropo senza iattanza e senza ciarlataneria, non poteva essere un fiacco patriota. Quando nel 1855 quel crudo flagello del cholera desolava la nostra città, egli per primo sfidava il pericolo come impavido direttore del Lazzaretto, e così per il santo amore d'Italia non piegò mai alle blandizie dei nemici della libertà, Nell'agosto del 1848 e nel maggio del 1849 Francesco Rizzoli, mosso da carità di patria, si trovò sempre colà dove era da portar soccorso ai caduti per la libertà, fino a che nel 1859, deputato all'assemblea delle Romagne, volle l'onore di essere ascritto fra coloro, che proclamarono la rivendicazione dei nostri diritti, e decretarono la decadenza del potere temporale dei papi. Nell'umile fortuna al pari che nella prospera conservò sempre, come dissi, le abitudini di una vita oltre ogni credere sobria e austera, né cercò mai sollievo alle diuturne fatiche negli onesti sollazzi del consorzio civile. Ond'è che molti dei nostri stessi concittadini giudicarono non conveniente l'abnegazione che si era imposta, tanto più che, già innanzi negli anni, lo sapevano fornito di non comune ricchezza; e fu solo al cumulo delle sue virtù, a tutti note, che rattenne i malevoli da più severo giudizio, i quali si contentarono di chiamarlo un uomo singolare. E costoro in fondo avevano ragione, perchè il Rizzoli è uomo non solo singolare ma singolarissimo, per quanto lo si voglia giudicare alla stregua comune, riuscendo specialmente ai nostri giorni difficile a comprendersi ai più, che un uomo ricco e circondato dall'amore e dal rispetto di tutti perduri indomito, a costo della propria salute, a fare lietamente il continuo sacrificio della propria vita, pensando e giovando agli altri e non mai a sé stesso. Prima che mettesse in atto il meritato concetto, che ha aperto gli occhi a tutti, eccetto ce ai suoi antichi ed intimi amici, la vita del Rizzoli si presentava come un enigma. Il popolo colle sue feste cordiali e clamorose ha mostrato di averlo sciolto. E ben sta; chè se in ogni tempo non mancarono fra gli uomini grandi per il sapere e la moralità, pochi veramente possono contrastargli il primato per avere congiunti in sé un'altissima mente e un nobilissimo cuore. Onore al nostro grande concittadino, a cui S.M. Il Re d'Italia e il Senato del Regno partecipando ai sentimenti di ammirazione del popolo italiano hanno reso il dovuto omaggio! E possa l'esempio della sua vita, di cui altri parlerà più degnamente, dar buoni frutti nel cuore della gioventù generosa, per l'onore e la grandezza della patria nostra. E' questo il voto più ardente di chi si gloria di aver avuto a maestro l'incomparabile concittadino. Bologna 20 aprile 1880".