Scheda
Lady Eliza Price Noble (1830 - 1910), ebbe due mariti. Il primo fu Sir George Graham Otway, il secondo Thomas William Crawford Leathem. Lady Otway arrivò a Bologna nel 1867 per risiedere a Palazzo Zucchini "con due maggiordomi, quattro cameriere e molti bauli. Prese alloggio in uno di quei palazzi del centro, severi e anneriti dal tempo, attraverso il cui monumentale ingresso si intravedono, al di là d’un cancello, urbani e silenziosi giardinetti. Lady Otway si chiamava Lisa e non era bella, ma tale che vicino a lei le donne belle scomparivano. Aveva occhi azzurri un poco sporgenti, un viso sottile e lunghi capelli biondi sempre arricciolati con cura. La distingueva un'ariosità, una chiarezza nel volto, un'incredibile vaporosità di contorni e soprattutto una figura quasi alta e piena, forse troppo nascosta dai vestiti. Nessuno sapeva precisamente da dove fosse venuta e però l’accompagnavano il suono dei valzer di Offenbach, l’aria fresca e pungente di spiagge alla moda e come il ricordo di un cosmopolitismo gaio e mondano. Portava sempre cappelli bellissimi che le sventagliavano sul capo e pareva stessero in bilico, quasi un delicato esercizio d'acrobazia.
Centinaia di vestiti | Qualche vecchio bolognese di oggi forse ricorda ancora d’avere sentito dire da suo padre che raramente la si vedeva due volte con lo stesse vestito e che, con l’andar del tempo, questi suoi vestiti erano circondati come da una leggenda e cominciavano a far parte di quelle cose eccellentissime la cui superiorità era ormai fuori discussione, quali i tortellini, ad esempio. Anche le sue carrozze si erano imposte all’attenzione generale. La mattina era una vittoria, tutta verde di cassa, foderata di colori delicatissimi, guidata da un cocchiere tanto elegante che mai se ne era visto uno simile in città. Nel pomeriggio la pariglia veniva sostituita da un tiro a quattro che sortiva dal portone antico con uno scalpitìo enfatico che pareva un rullo di tamburi. Lady Otway sedeva in quell’angolo di salotto trasportato sulla strada e diritta, sorridente, ordinava d’avviarsi verso il centro. Così la carrozza faceva il suo ingresso nella Piazza della Pace, l’attuale Piazza Galvani, e rallentando il passo, passava dinnanzi alle Logge del Pavaglione «gremite nell’ora vagabonda del vermouth», come si diceva a quei tempi. Sebbene gli inglesi godessero a quell’epoca in Italia la reputazione di individui tutti pazzi e ricchi e le loro bizzarrie fossero considerate come cose normali, pure l’apparizione di Lady Otway sconcertò i bolognesi in modo imprevisto. Piaceva molto Bologna all’Inglesina. Le piacevano le lunghe strade porticate, le piazze solenni, le chiese antiche ed austere, le fughe degli archi, la luce rossa delle pietre nel tramonto, la nebbiolina delle prime sere d’ autunno. Amava inoltrarsi sola nel groviglio del mercato, tra gli erbivendoli, i merciai, le botteghe ambulanti della Piazza Maggiore, amava percorrere i porticati bui e stretti del centro e incantarsi alle campane di San Giacomo Maggiore o al chiasso dei bambini in Piazza San Domenico, amava accorrere anche lei ai Servi sotto Natale per ammirare le figurine del presepio e mangiarsi le mistochein strada facendo. Ma soprattutto amava il dialetto bolognese, tanto che, appena arrivata, decise d'impararlo e a questo scopo si rivolse ad un noto personaggio petroniano, il burattinaio Persuttino che per lunghi anni aveva deliziato gli spettatori d’la Nusadela con la sua compagnia. Ma Persuttein era piuttosto in là con gli anni e paralitico per di più, cosicché fu difficile intendersi e bisognò rinunciare all’impresa.
A scuola di vernacolo | L'Inglesina imparò il bolognese con l’andar degli anni e lo parlò poi con una grazia esotica che deliziava tutta la città. A quell’epoca (si era verso il '70-'71), Bologna passava da una emozione all'altra. La statua di San Petronio, posta nel Mercato di Mezzo, suscitò polemiche senza fine quando si trattò di trasportarla in luogo più adatto; e vagò lungo tempo per le vie della città, il povero Santo, in cerca di un decoroso collocamento. Poi la intera città si rattristò alla demolizione dell’antica chiesina de’ Malvezzi addossata alla Garisenda e addirittura si ribellò allorché i picconi, in nome del nuovo piano regolatore, diedero di piglio alle vecchie mura di cinta. Ci si indignò per il primo carrozzone dei cani, abborrito quanto gli austriaci; ci si perse in ammirazione davanti ai galloni del primo metropolitano che tutto chiuso in un palamidone nero, faceva mostra di sè sotto il Portico della Mercanzia; ci si esilarò alla vista dello Scià di Persia, alloggiato all’Hotel Brun con un seguito di duecento persone. Ma se questi argomenti passavano d’attualità attraverso gli anni, Lady Otway rimaneva di moda, osservata e discussa, una vera specialità bolognese. Capitò a Bologna in quei tempi un maestro di musica, un compositore. Era giovane, ventidue anni, si chiamava Stefano Gobatti. Dopo avere atteso invano che la sua prima opera, I Goti, andasse in scena al Comunale, il giovane Gobatti aveva dovuto mettersi l’anima in pace, essendo l’impresa troppo costosa. Le cose erano a questo punto allorché, tra la sorpresa generale, la prima dei Goti venne annunciata dal giornale per il 30 novembre, si era nel 1873. Non c’era bolognese che allora come adesso non s’infiammasse al calore del melodramma. Racconta il buon Testoni che quella fu una sera memoranda; il Comunale era gremito e cordialissimo, dovunque si posassero gli occhi erano signori compiti ed eleganti, scintillio di monocoli, barbe gentilizie di tutti i colori, baffi rigidi ed arricciati, e dame piene di fruscio, stringate sino all’impossibile ner il massimo rendimento dei seni; e saluti, baciamani, inchini ventagli ondeggianti. Lady Otway sedeva in un palco di primo ordine con il più bell’abito della serata, naturalmente. Il successo, fu tale che i vecchi d’allora non ne ricordavano d’eguali. Panzacchi aveva le lacrime agli occhi, Golinelli l’eletto compositore di musica era giubilante, Braga il celebre violinista strillava in abruzzese parole mozze dalla troppa gioia, il maestro Tofano pallido come un lenzuolo barcollava per l’emozione, Arthur Rubinstein in un palco vicinissimo alla scena applaudiva sporgendosi paurosamente dal vellutato parapetto. Gobatti fu chiamato alla ribalta ben cinquantatre volte (sic!), poi, pallido e disfatto, svenne tra le braccia dell’impresario. Quando ogni cosa pareva si fosse calmata, corse la voce che la bella serata era dovuta alla generosità dell'Ingleisa che aveva munificamente finanziato lo spettacolo. E gli applausi ripresero più fitti, questa volta dinnanzi al palco di Lady Otway che si schermiva modesta e cercava invano di sottrarsi a tanta ammirazione. Quella sera l’Ingleisa entrò nel cuore di tutti, per sempre. La sua popolarità si ergeva ormai salda e incrollabile come la Torre degli Asinelli. Quell’inverno non si parlò che di lei. Beata felice stagione! Ogni mossa dell’Ingleisa, ogni suo gesto era imitato con ammirazione. Le sue espressioni, i suoi motti arguti facevano il giro dei salotti e dei mercati. Non si faceva in tempo a commentare la sua movimentata partecipazione alle corse ai sedioli alla Montagnola, che già c’era da parlare del Gran Ballo del Martedì Grasso nella Sala degli Specchi del Felsineo in cui l'Ingleisa, in un audacissimo costume, aveva diretto la quadriglia spodestando il vecchio Maestro Giovetti che, reduce decoratissimo delle patrie battaglie, si riservava da anni questo piacevole incarico.
L'ascensione in mongolfiera | Che poi fosse anche donna di estremo coraggio fu dimostrato nell’aprile del ’76. A quell’epoca Bologna ricevette la visita dell'aereonauta francese Poitvin che, portandosi dietro il suo bel pallone volante, veniva da Parigi per sgomentare gli increduli italiani. Piazza San Petronio gli sembrò adatta per un'ascensione la cui data venne fissata con grande anticipo per dare modo a tutta la provincia di convenire a Bologna. Quella mattina il centro era tutto un brulichìo di folla ansiosa: per la prima volta il Corpo dei Metropolitani aveva di che darsi da fare. Nel bel mezzo della Piazza, là dove son soliti sostare i piccioni, s’ergeva il grosso pallone ancorato da molti cordami. Improvvisamente si vide l'elegante calessino dell’Ingleisa aprirsi faticosamente un varco nella piazza stipata. Arrivata dinnanzi all’aereostato l'Ingleisa, tutta vestita di rosso, lasciò le redini, entrò nella navicella sollevando le gonne con mossa graziosa. Poitvin la seguì e tra lo stupore dei bolognesi a bocca aperta, il pallone prese a salire prima lentamente poi più veloce, come attratto dall’azzurro, sostò un attimo sul tetto del Comune, deviò verso il Pavaglione e s’innalzò ancora, infine scomparve dietro i comignoli in direzione dell’Appennino. I bolognesi che non fiatavano dall’emozione non seppero darsi pace. La Piazza ondeggiò, tutti vollero seguire il caro puntino rosso nel cielo e si sbandarono nelle strade intorno per poterlo vedere meglio. Quando, poche ore dopo, l'Ingleisa fece il suo ingresso in città, fu accolta da vere ovazioni. Fu questa l’ultitima delle sue avventure. Gli anni seguenti la videro invecchiare, sorridente e serena. Il suo salotto era sempre incredibilmente affollato. Una lettera di lei rimane, tra carte polverose e ingiallite. E’ del 1883: «Ho avuto una vita limpidissima, brillantissima. Ho fatto presso a poco duecento passeggiate a cavallo ogni anno, dunque in ventidue anni, 4.400. Ma fra due anni avrò finito, aspirerò al riposo». Fedele ai suoi proponimenti, stanca di tanto cavalcare, Lady Otway lasciava Bologna nel 1885, un poco misteriosamente, come quando era venuta. Il tempo ha ormai cancellato il suo ricordo, chè pochi sono coloro che si ricordano anche solo d’averne sentito parlare". (Giovanna Rabbi, 9 aprile 1950)
"Quello che soprattutto fa della Otway motivo commosso del nostro ricordo è l'essere stata la donna più caritatevole di quegli anni a Bologna. Non vi era iniziativa benefica che non la trovasse consenziante o generosa protagonista. La si vedeva – diceva Testoni – molte volte, a piedi, e sola per la via, entrare in oscure stamberghe e portare elemosine ai poveri. (...) L'8 dicembre 1875 è impegnata, sempre per una fiera di beneficenza, a vendere perfino ventole per fuoco, dopo aver fatto dono alla Fiera di 'alcuni uccelli impagliati e con le penne maestredisposte a ventaglio'. Il giornalista impertinente, a cui dobbiamo queste indormazioni, aggiungeva sul Monitore di Bologna il giorno dopo osservazioni che non vogliamo omettere: 'Ieri, mentre il cronista varcava la soglia del Palazzo Pizzardi andava pensando chi sa mai quante benedizioni mi manderanno domani quelle signore, i cui doni avrò omesso di registrare!'. In occasione del ballo mascherato datosi al teatro Brunetti il 7 febbraio 1874, la Otway inviò alla marchesa Eleonora Conti, presidentessa della Commissione dell'Opera Benefica, di cui Lady faceva parte, 1000 lire (più di 1 milione di oggi) per il consorzio benefico. Scriveva il Monitore di Bologna il giorno dopo che 'offerta così cospiqua che eguaglia da sola se non supera l'introito del veglione, è una nuova prova di ciò che sa essere per Bologna questa nobile signora. (...) Le feste della Otway erano proverbiali: nel carnevale del 1876 offerse un trattenimento danzante con la collaborazione dei musicisti prof. Tofano, Serpieri e Giacomelli, a cui partecipavano una cinquantina fra signore e signorine. Il cronista (Monitore del 16 febbraio) non potè fare a meno di osannare al buffet e ai ricchi doni scrivendo: 'Il buffet era servito con profusione di squisite vivande e scelti vini. Dopo le quattro cominciava il cotillon, con belle e nuove figurazioni e terminava con regali alle dame ed ai cavalieri che vi prendevano parte, distribuiti con molta cortesia dalla garbatissima padrona di casa'. (...) Non vi era avvenimento cittadino che la Otway non sottolineasse con la sua generosità. Il 19 novembre 1875 trionfò al Teatro Comunale nel Mefistofele di Boito, la signorina Erminia Borghi-Mamo, grandissimo soprano, figlia dell'altra grande cantante bolognese Adelaide. (...) L'Ingleisa offrì alla signorina Erminia un magnifico medaglione d'oro, sul quale si leggeva la parola Mefistofele. (...) Un giorno la Otway partì da Bologna, con dispiacere di tutti, ricchi e poveri. (...) Partì dall'Italia per fare poi ritorno a Napoli allorquando la città era devastata dal colera, e generosamente e coraggiosamente si prodigò come infermiera e come benefattrice nei quartieri più infetti e miserabili". (Alessandro Cervellati)
La sua generosità non passò inosservata anche a livello nazionale, tanto che il giornale triestino Il Teatro del 16 dicembre 1876 ricorda che "ricevette testè le seguenti onorificenze, - Diplomi dall'Accademia Cristophe Colomb, con croce d'oro, Marsiglia - dal Circolo di mutua Istruzione, Napoli - dal Circolo Artistìco, San Giovanni a Teduccio - dal Circolo Torquato Tasso, Napoli - dalla Società protettrice degli animali, Firenze - e la gran croce d'oro, des Chanoinesse des Malte, da Gerusalemme. Abbiamo letto una leggiadra poesia offerta alle Patronesse della Commissione di Beneficenza di Zola Predosa in occasione della Festa che ivi ebbe luogo. E' inutile dire che fra le cinque illustri Patronesse si annovera la benefica Dama Elisa Otway". Il curriculum di riconoscimenti si allunga ancora negli anni seguenti, il periodico palermitano Diogene del 13 febbraio 1878 segnala che "La Illustre Dama Brittanna Lady Elisa 0tway in questi giorni ha ricevuto le seguenti onorificenze che rendono il di lei trofeo ricchissimo e degno della più alta estimazione. Estimazione che ridonda a di lei altissima adorazione. Eccone il notamento. - Diploma della Partenope da Napoli - Accademia di Toulousa della Spagna - Societé des Sauveteurs de l'Audé con Medaglia d'oro della Francia - Lega Nazionale con medaglia da Catania - Societé di S.t Jean de la Croix con medaglia d'argento da Braucaire in Francia - Medaglia d'oro des Sauveteurs Bretons in Rennes - Medaglia d'oro dell'Institut Confucius da Bordeaux - La Cittadinanza di Carovilli - Croce d'oro della Società di Mutuo Soccorso da S.t Neit - Diploma de l'Academie Etnographique con medaglia d'argento da Bordeaux".