Scheda
Il nome di Vittorio Fiorini resterà per sempre legato a quello immortale di Lodovico Antonio Muratori, per la ristampa che ha procurata della monumentale raccolta «Rerum italicarum Scriptores». Se il grande disegno poté avverarsi, si deve, si, al nome insigne di Giosuè Carducci che assunse di scrivere la introduzione, in mirabili pagine che rimangono e rimarranno; alla fede di un editore animoso, il Lapi; al concorso morale e finanziario di illustri uomini; al contributo del Governo che con un assegno annuo facilitò la pubblicazione; ma soprattutto alla dottrina, alla costanza, alla abnegazione, alla preparazione scientifica e spirituale di Vittorio Fiorini. Dobbiamo a lui, se la grandiosa opera ha potuto raggiungere i duecento fascicoli, assicurati ora alla ditta Zanichelli, se numerosi collaboratori lavorano indefessamente all'impresa, se ormai questo, che è uno dei più grandi onori d'Italia, può volgere verso il compimento.
Perché il Fiorini, accanto alle sue molte qualità di scrittore, di letterato (cominciò l'opera sua con scritti di storia letteraria) e di storico, una ne ebbe precipua, che pochi posseggono: quella dell'organizzatore, del realizzatore. Pochi come lui sapevano comprendere, intuire gli uomini e le loro attitudini scientifiche, pochi incoraggiarli nelle difficoltà e saperne trarre i maggiori vantaggi a pro della cultura italiana, pochissimi raccogliere tutte le fila sparse e intessere ciò che poteva e doveva costituire una delle maggiori ragioni di orgoglio della stirpe italiana: quella di curare, da noi, i nostri testi, di ricostruire, senza il continuamente offerto aiuto altezzoso tedesco, le fonti della storia che essi chiamano loro, ma che è fondamentalmente romana, e perciò nostra. Nel nome di Muratori il Carducci chiudeva la sua opera e i suoi giorni: ma la fiaccola da lui accesa era passata in degne mani, in quelle di Vittorio Fiorini; che non solamente la mantenne, ma avrebbe condotto al suo compiuto destino, alla meta dai dotti augurata, se una malattia implacabile non l'avesse tolto all'amore dei suoi cari, ai sogni per tanto tempo accarezzati di un «corpus» degli storici della Nazione avventurata nostra, quale nessun'altra nazione d'Europa o fuori potesse neppur pensare. Nella stampa delle fonti della nostra storia, il Fiorini rappresentava la Nazione, l'idea; e l'idea non muore: dopo lui verrà il continuatore, che riprendendo l'opera terrà vivo e condurrà a maturazione il grande concetto dell'insigne uomo scomparso. Ogni italiano deve augurarselo. Uomo delle molte anime, come i grandi nostri del Rinascimento, il Fiorini, essendo a un tempo di studi e di azioni, ritornava poi di tanto in tanto dalle occupazioni burocratiche ai suoi studi prediletti: studi essi stessi svariati, ma appunto per questo italiani nel più puro senso della parola. La storia d'Italia tutta non era dunque una armoniosa espressione dell'esser nostro? Essere studiosi delle fonti storiche e medievalisti, doveva contrastare con la indagine sul periodo poco che diede il Risorgimento? Mai no, per uno spirito superiore alle vite scuole e alla comune dei teorici nostri! Ed ecco che il Fiorini a quella qualità del medievalista unisce una perspicua attività e intuizione per tutto ciò che si riferisce alla storia del Risorgimento.
Due grandi amori, lontani per il più delle persone, unisoni per chi parte dal disfacimento della vecchia gloriosa Roma, per ritornare alla glorificazione di una stirpe più selezionata che vede in Roma e nella sua nuovissima affermazione il centro, l'aspirazione del suo fato e del suo orgoglio. Ed era perciò naturale che un uomo come il Fiorini sentisse più che mai l'importanza della storia del nostro Risorgimento, e ad essa dedicasse una parte notevole della sua vita e della sua attività. Chi non ricorda la «Biblioteca storica del Risorgimento» da lui diretta insieme al Casini, ricca di molte decine di volumi? Chi non ha letto, e nell'originale o su qualche antologia, perché da tutti fu riprodotto il suo scritto su quanto i Francesi diedero e tolsero all'Italia nel periodo che immediatamente seguì la rivoluzione? Chi non ha presente (giacché trattasi di cosa di ieri) il nuovo significato che ha assunto la «Rassegna storica del Risorgimento» sotto la direzione di lui e dell'amico suo, il compianto prof. Raulich? Fu appunto per queste sue eccelse qualità e benemerenze, che Giovanni Gentile, direttore della Enciclopedia Treccani, ora in via di attuazione, nominò il Fiorini a capo della parte storica che tocca il Risorgimento, accanto all'on. Volpe che rivolge l'azione sua alla storia medievale e moderna. Ma noi bolognesi non possiamo, non dobbiamo dimenticare l'opera monumentale che il Fiorini scrisse sul «Tempio del Risorgimento italiano» ordinato per la esposizione regionale del 1888, nella quale analizzò da par suo le produzioni ivi esposte, così stampate come manoscritte, e ne trasse osservazioni nuove ed acute sopra i segni precursori e sopra gli albori della età nuova che stava per inaugurarsi, quella che va dal 1794 al 1815. Tutti hanno tratto da questa miniera inesauribile della nostra storia, nel punto più difficile e significativo: del quando l'anima italiana si sveglia come da un lungo sonno e intravvede i destini cui la Nazione è chiamata. Di là bisogna muovere i passi, là bisogna trovare i primi germi di ciò che a poco a poco diventerà coscienza del popolo nostro. Sembra il grosso volume una incondita congerie; è, per chi lo esamina a fondo un fascio potente di luce per intendere i tempi nuovi.
Il Fiorini, morto a Bologna il 13 dicembre, tra il compianto della consorte, della figliuola, dei parenti, era nato a Piacenza il 24 marzo del 1860, ma s'era qui trasferito fin da giovinetto. Laureatosi in lettere a Firenze, nel 1883, tornò presto a Bologna, ove aveva la famiglia, e qui insegnò al Ginnasio-Liceo Galvani, poi in altri Licei del Regno, e fu anche nominato libero docente presso la nostra Università. Passato quindi alla carriera amministrativa del Ministero della Pubblica Istruzione, fu Provveditore agli studi nelle province di Sassari e di Pesaro, quindi Ispettore centrale delle Scuole medie, Capo-divisione per l'istituzione classica, direttore generale della scuola media, alla quale rese insigni servigi, e da ultimo Consigliere alla Corte dei conti; carica che appunto ora occupava. Fu membro della R. Accademia dei Lincei. Numerose sono le sue opere. Oltre quelle sopra indicate, dobbiamo ricordare le edizioni da lui curate o commentate delle Istorie del Machiavelli, la Vita di Lelio Torelli da Fano del Valori, Le origini del Tricolore italiano, Gli Atti del Congresso per la federazione cispadana in Modena degli anni 1796-97, Gli scritti di Carlo Alberto sul moto piemontese del 1821, Il periodo napoleonico dal 1799 al 1814, nella collezione della «Storia politica d'Italia» del Vallardi, diretta dal Villari, la Cronaca di Landolfo Sagace, e inoltre varii scritti minori e contributi di diverso genere pubblicati nell'«Archivio muratoriano» da lui diretto, nella «Nuova Antologia», nella «Rivista d'Italia». L'ultimo suo scritto è una interessantissima prefazione alla pubblicazione del famoso giornale mazziniano e guerrazziano, procurata dal Cambini, l'«Indicatore livornese». L'autore dell'opera è un professore, morto nella nostra grande guerra liberatrice, e la bella anima calda dell'eroe suscita nel Fiorini delle pagine forti, commoventi, indimenticabili.
Albano Sorbelli
Testo tratto dalla rivista 'Il Comune di Bologna', dicembre 1925. Trascrizione a cura di Zilo Brati. Sepolto nel Cimitero della Certosa di Bologna, nel 1927 viene traslato a San Bartolomeo di Musiano.