Note sintetiche
Scheda
Bartolomeo Cesi (Bologna, 1556 - ivi, 1629) nasce in una famiglia agiata che lo indirizza verso una formazione umanistica. Successivamente si avvicina alla pittura e segue il suo alunnato presso la bottega del Nosadella (Giovan Francesco Bezzi, Bologna, ? - 1571), che secondo il Malvasia avviene in età adulta, ma se si pensa che alla morte del Bezzi il Cesi ha quindici anni, diventa semplice intuire l’errore del biografo. Oltre al Nosadella, secondo il Malvasia, Cesi ha frequentato anche l’accademia del Baldi, ciò che è certo, è che il nostro pittore riesce in breve tempo ad affermarsi nell’ambiente artistico bolognese, eseguendo numerose commissioni per la città e che può essere considerato un colto autodidatta.
All’età di diciotto anni, nel 1574, esegue il ciclo decorativo della cappella Vezza per la chiesa di Santo Stefano a Bologna, con gli episodi della vita della Vergine, figure di Profeti e grottesche. Nel ciclo decorativo, alterna classicismo romano a elementi ispirati alla pittura di Zuccari, arricchito di eleganza nosadelliana, mentre nei Profeti della volta si riscontrano elementi del manierismo di Pontormo e della tradizione fiorentina. Nelle grottesche un segno chiaro ed analitico ne preannuncia il classicismo casto del pittore “poco amico de’ nudi” (Malvasia). Una personalità quindi caratterizzata da elementi colti, una pittura lineare dai modi composti e misurati e una tavolozza sempre raffinata. L'attività in tanti luoghi diversi, in edifici pubblici e privati, fa pensare che egli raggiungesse presto, come nota il Graziani, "una notevole rinomanza come decoratore murario". Nel 1583-84 circa ottiene la rilevante commissione di affrescare una sala di Palazzo Fava a Bologna. In questo caso la data è suggerita dalla contiguità stilistica con gli affreschi dei Carracci nello stesso palazzo, databili in quegli anni anche se il Malvasia, erroneamente, attribuisce i lavori nel 1598. Negli affreschi di palazzo Fava, Cesi raffigura un fregio con le Storie di Enea, dove gli episodi rivelano un senso fantasioso e rinascimentale nella narrazione, assumendo toni ancora una volta affini al tardo manierismo. A Imola realizza affreschi e dipinti alcuni dei quali oggi esposti a Palazzo Tozzoni ed ai Musei civici.
Prima testimonianza di un Cesi rigoroso interprete della riforma paleottiana è la Crocifissione e Santi per la chiesa di San Martino a Bologna, datata 1584-1585. In quest’opera rielabora i modelli romani con austera severità, in linea con la riforma sulla rappresentazione delle opere sacre propagata nel Discorso (1582) del cardinale Paleotti. Di qualche anno più tardi, verso il 1588-1590, è la tela con San Benedetto che ascolta la celeste armonia (Bologna, chiesa di San Procolo), dove il rigore controriformista incontra il naturalismo carraccesco. Infatti quando i tre Carracci cominceranno a proporre (già dal 1582 con l’Accademia ) il loro rivoluzionario linguaggio artistico basato sullo studio degli “affetti” e del “vero”, il Cesi non è insensibile alla rivoluzione artistica che Annibale, Ludovico e Agostino diffonderanno in tutta Europa. Le realizzazioni successive dimostrano un adeguamento alla nuova cultura artistica pur non tradendo mai il suo linguaggio. Dopo il soggiorno documentato nel 1591 a Roma, la sua pittura manifesta uno stile sempre più sobrio e antimanieristico. Tra l'altro il crescente influsso che si esprimeva a Bologna, nella personalità e negli scritti del Paleotti, lo spinsero all'abbandono dei modi profani per una sempre più “severa grandezza liturgica” (Arcangeli), in equilibrio tra la tradizione dell’accademia tosco-romana, filtrato dal naturalismo carraccesco. Come in Sant’Anna e l’Immacolata Concezione, dipinto per la cappella Desideri nella chiesa di San Francesco e oggi esposto nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, Cesi modera il rigore della maniera riformata bolognese attraverso un gusto cromatico che rimanda alla tavolozza di Federico Barocci.
Nel 1594 Cesi è a Siena, nella Certosa di Maggiano, per ultimare i lavori nel coro: volta, pareti laterali (Presepe) e parete centrale (Assunzione della Vergine oggi collocata nel Duomo di Siena). Tra il 1595 e il 1598 per la cappella Paleotti in San Giacomo Maggiore a Bologna esegue la pala con la rappresentazione della Vergine in gloria e i Santi Benedetto, Giovanni Battista e Francesco. Nella tela sono evidenti i rimandi stilistici alla Certosa di Maggiano, come nello scorcio prospettico della Vergine, nel paesaggio e nella scelta luce. Nel 1597 Cesi esegue per il prestigioso ordine certosino di Bologna tre grandi tele rappresentanti; l’Orazione nell’orto, la Crocifissione e la Deposizione. Sono anni in cui a Bologna inizia la controriforma e si accantonano i precetti paleottiani isolando sempre di più il sacro dall’esperienza quotidiana dell’uomo e l’arte sacra del Cesi si irrigidisce in un misticismo visionario. L’artista isola le figure in ampi paesaggi notturni, sceglie toni pacati e contemplativi. Cesi dispone ai lati delle grandi tele le figure di Santi e Beati certosini in finte nicchie ad affresco, con una tavolozza quasi monocromatica che ribadisce i toni silenziosi, in sintonia con la disciplina ascetica della comunità religiosa dei committenti. Oltre alle tre grandi tele realizzate per la Certosa di Bologna, Cesi esegue negli anni precedenti numerosi lavori per lo stesso ordine e del gran numero di decorazioni ad affresco eseguite nel convento rimangono diversi frammenti esposti presso le Collezioni Comunali di Bologna, come i Tre fanciulli nella fornace di Babilonia o le Storie della vita della Vergine affrescate tra il 1575 e il 1585. La ricchezza e la conservazione di questo ciclo decorativo ne fanno l’esempio più importante a noi pervenuto di questo fondamentale momento dell’arte bolognese, in cui prende avvio la rivoluzione artistica dei Carracci. Il piccolo dipinto con Ritratto di monaco in veste di Dionisio certosino (1595-1600 circa), attualmente nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, viene attribuito erroneamente al Reni e restituito alla mano del Cesi solo nel 1939 da Alberto Graziani e più di recente da Vera Fortunati, che lo colloca cronologicamente contemporaneo ai lavori che l’artista esegue per la Certosa bolognese. Il quadro, malgrado i raggi luminosi dietro la testa del monaco che gli conferiscono un’area di beatitudine, rappresenta un vero e proprio ritratto dal naturale come testimonia l’intima e ravvicinata costruzione dell’immagine. Il soggetto raffigurato nelle vesti di Dionisio Cartusiano (Dionigi di Rijkel, Belgio, 1403-1471) in realtà si pensa essere un monaco ospite nel convento in quegli anni, che come il certosino fiammingo è votato all’apostolato della scrittura e alla preghiera. La scelta cromatica è dominata dal bianco del vestito monacale, inserito tra la calda tinta del tendaggio e nell’azzurro del panno sul tavolo, nonché la semioscurità dell’ambiente modesto, col crocifisso e i libri in secondo piano, colloca l’accento sulla spiritualità del personaggio.
L’ultima fase creativa del pittore è contraddistinta da una maggiore austerità che lo allontana dalle riforme nel nuovo secolo, isolandosi e proponendosi come simbolo della Controriforma nella sua severa, rigorosa e sobria espressione, come si evince nei Misteri del Rosario, realizzati per la chiesa bolognese di San Domenico nella cappella del Guidotti, prima del 1601. Da buon seguace del Paleotti evita i nudi, i soggetti sono modesti e le forme rigide, come già si riscontra nelle tre grandi tele (Orazione nell'orto, Crocifissione e Deposizione) e negli affreschi (Santi e Storie dell'Antico Testamento) eseguiti per la chiesa di San Girolamo alla Certosa. Il Cesi, quindi, rinuncia al superfluo preferendo l’essenzialità ma al contempo conserva quella commozione e quel calore umano tipico della pittura bolognese. Gli ultimi anni sono prolifici, diversi ritratti, grandi decorazioni, commissioni per le chiese bolognesi e della provincia, tanto che si serve spesso di aiuti. Per ricostruire la sua attività artistica è utile la parziale pubblicazione che il Masini e il Malvasia fanno del taccuino (oggi perduto), che il pittore tiene dal 1591 fino al 1625. Il Cesi rimane fedele alla tecnica manierista della preparazione a biacca, preferendo tonalità tenui e chiarezza formale; usa il disegno preparatorio studiando dal vivo elementi parziali che, uniti tra loro, completano lo schema d’insieme dell’opera (molti di questi disegni sono conservati agli Uffizi). Bartolomeo Cesi muore a Bologna nel 15 agosto del 1629. Il Malvasia nella sua biografia ne elogia i “degni costumi” e il “sostenuto decoro” della sua arte e sottolinea come il Cesi “più d’ogn’altro Maestro di que’ tempi, venisse applaudito e stimato”, tanto da essere “reputato comunemente padre, e protettore della Professione, e de’ Professori”.
Benedetta Campo