Note sintetiche
Scheda
Clemente Alberi (Bologna, 1803 - ivi, 1864), compie come di consueto la propria formazione artistica presso l'Accademia di Belle Arti della propria città, ove insegnava il padre Francesco, anch'egli pittore. La sua attività spazierà dalle pale d'altare alle copie di celebrati dipinti del seicento bolognese, ma sarà nella ritrattistica che raggiungerà una fama che si diffonderà anche oltre il territorio bolognese. Del 1839 è la nomina a professore di pittura presso l'Accademia, ruolo che ricoprirà fino al 1860 tra odi e malumori, in quanto non riuscirà mai a sedare le voci che la sua posizione era stata ottenuta in quanto figlio di un altro professore dell'istituto. La sua ampia produzione di ritratti mostra però una innegabile qualità pittorica e un adeguamento stilistico, pur mantenendosi entro il recinto della cultura accademica. I ritratti giovanili quali quello della Contessa Giulia Tomasi Amiani di Fano (1831) lo vedono vicino ai modi del francese Ingres, mente in opere più tarde, quali il Ritratto dell'ing. Brunelli, del 1854, si avverte un tentativo di maggiore semplicità dovuto probabilmente all'influenza della nascente tecnica fotografica.
Una delle sue prime opere note giunte fino a noi è la copia dell'Ultima comunione di san Girolamo, eseguita nel 1824 in sostituzione di quella originale di Agostino Carracci, realizzata per la Chiesa di san Girolamo della Certosa, originale confluito nel 1815 nelle sale della nascente Pinacoteca Nazionale. E' questa tela un esempio di totale mimesi verso il celebratissimo originale, qualità che gli varrà anche la commissione da parte dell'imperatore di Russia Niccolò I di copie di celebrate opere del seicento. In questa occasione verrà descritto come uno de' più valorosi giovani che oggi ci abbiano queste scuole (…) che in questa bella copia di tale insigne opera (…) ha cominciato a distinguersi fuori delle Scuole Accademiche. Altre sue copie di celebrate opere sono la santa Cecilia da Raffaello in san Giovanni Monte e quella da Guido Reni nella chiesa di Santa Maria della Pietà. La carriera scolastica prevedeva anche opere di invenzione per aggiudicarsi i vari premi, difatti figura con continuità tra i premiati dal 1819 al 1824. Di poco posteriore a questo periodo è il Paolo e Francesca da Rimini sorpresi da Lancillotto commissionato dal conte Amati di Rimini nel 1828, ora presso le collezioni della Cassa di Risparmio di Rimini. A seguito del successo ricevuto all'Esposizione di Firenze del 1827, si devono le numerosi commissioni per Fano e Pesaro, sia per quanto riguarda la ritrattistica che l'esecuzione di pale d'altare. Le fonti dell'epoca ci segnalano tutta una serie di opere dedicate a storie del passato che, tra episodi edificanti e glorie della storia e dell'arte, volevano riproporre una rinnovata spinta morale e politica, in linea con il rapido mutare degli eventi italiani che porteranno perso l’Unità nazionale. Segnaliamo Gli amori di Rinaldo e Armida (1836), la Morte di Napoleone (1836), Brunelleschi e Costantino Sforza signore di Pesaro (1845).
Così viene ricordato il pittore insieme al padre nel quarto volume dell'Archivio Patrio di antiche e moderne rimembranze felsinee di Giuseppe Bosi: "figlio del pittore Francesco nato in Rimini nel 1803. In tenerissima età venne condotto a Bologna per essere il padre con decreto Napoleonico stato prescelto a professore di pitura in questa Accademia di Belle Arti, ove in tale carica stette fino alla sua morte avvenuta nel 1836. Clemente fu scolaro del detto di lui genitore avendo esaurito l'intero corso nella prelodata Accademia. Nel 1832 venne nominato professore in Pesaro, ove si fermò per tre anni, e ritornato a Bologna nel 1839 fu eletto a succedere alla cattedra del padre".
Una accurata ricostruzione biografica è presente nel volume Dall'Accademia al vero – La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità d'Italia; Bologna, Grafis, 1983: E' soprattutto nei ritratti, che egli ebbe il motivo principale della sua fama e della sua ricchezza di commissioni ("Pochi pittori in Bologna ebbero occasioni di lavoro e di lucro quante n'ebbe l'Alberi", Monitore di Bologna, 27 aprile 1864): unanime è l'ammirazione della critica per la "scioltezza del pennello", "insieme diligente e pulito", la "somiglianza cogli originali così bene ottenuta", il "buono stile" ricco di "armonia, esattezza, verità", e soprattutto la puntigliosa perizia nella resa degli accessori e dei particolari "Alcuni... poi sono dipinti con tanta imitazione del vero, che si potranno uguagliare, forse non superare", nota S. Muzzi nel 1833 recensendo sul "Repertorio enciclopedico" l'annuale esposizione di Belle Arti in cui Alberi presentava un Ritratto di famiglia, mentre l'anno seguente, descrivendo la tela d'altare per la Chiesa di S. Agostino di Fano in cui l'artista, nel frattempo eletto professore delle scuole comunali di eloquenza e disegno in Pesaro, aveva rappresentato Il Martirio di S. Filomena loda "il sommo amore ond'è condotta, e che quasi direbbesi eccedere nelle cose accessorie, nelle quali d'altronde è meglio assai la diligenza che la noncuranza" (Gazzetta Privilegiata di Bologna, 11 dicembre 1834). (...) Nel '51,al culmine della carriera, il suo studio con "bozzetti di cose già fatte... parecchi ritratti antichi e recenti" (L'Osservatorio, 12 novembre 1851) viene addirittura inserito nel percorso dell'esposizione accademica, ma già nel '55 Bellentani ci informa che "dall'artista la scolaresca attende gli esempi, che nel passato lodevolmente produceva". E' di quest'anno una toccante lettera al conte Stefano Tomani Amiani di Fano, antico amico e protettore, che bene rende l'idea del mutato clima artistico che lo circonda, a cui egli non può che sentirsi estraneo: "Qui rilegato da tanti anni a questa catena fra gli odi dei colleghi fra la cattiveria delle persone mi vedo invecchiando e incanutendo senza speranze di miglioramento anche per le arti abbattute per le attuali circostanze (...). O bei tempi passati!". (mss. Biblioteca Federiciana di Fano, sez. VI, b.139). (Testo tratto da "Dall'Accademia al vero – La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità d'Italia; Bologna, Grafis, 1983").
Viene sepolto il 23 aprile 1864 nel pozzetto di famiglia n° 16 nel vestibolo nord della Sala delle Catacombe, ora di proprietà della famiglia Tartaglia.
Roberto Martorelli