Schede
Negli ultimi mesi del 1922, dopo varie iniziative prive di successo, viene istituita a Bologna una commissione esecutiva, composta da vari enti e presieduta dal sindaco Umberto Puppini, per erigere un monumento in onore dei cittadini caduti nella guerra del 1915 - 1918. Nel luglio dell'anno successivo il pittore bolognese Achille Casanova propone alla commissione di collocare l'opera in piazza Nettuno fra i palazzi Re Enzo e del Podestà. Il comitato entusiasta della posizione nel cuore della città decide di chiedere il parere a una commissione tecnica e artistica formata da Leonardo Bistolfi, Marcello Piacentini e Giulio Ulisse Arata. Riunitisi nell'agosto a Bologna, i tre artisti giudicano il luogo idoneo purché si mantenga la scala d'accesso al salone del Podestà e il monumento si armonizzi con l'ambiente.
Stabiliscono inoltre che il lavoro sia progettato liberamente con elementi scultorei, architettonici e pittorici a condizione che emergano le componenti espressive per cui è concepito. Il comitato, forte del giudizio favorevole degli interpellati e di gran parte della cittadinanza, pubblica il 23 settembre 1923 il bando di concorso e lo apre a tutti gli artisti italiani. Il termine per la presentazione dei progetti, corredati da studi delle parti scultoree e da una relazione con un preventivo analitico di spesa, che non dovrà superare un milione di lire, è fissato per il 31 marzo 1924. Viene messa inoltre a disposizione della giuria la somma complessiva di 30.000 lire, di cui 20.000 lire da destinare al vincitore e le rimanenti ai lavori più meritevoli. Chiusa la gara, vengono presentati trentanove bozzetti ma solo trentadue sono ammessi all'esposizione curata dal 20 aprile al 7 giugno nelle sale dell'Istituto Aldini - Valeriani in via Castiglione. La giuria chiamata a esaminare le prove è formata da Bistolfi, Piacentini, Arata, Augusto Sezanne e Giuseppe Aldini. Constatando la difficoltà dell'incarico dovuta alla singolare e importante posizione prevista per il monumento, i commissari segnalano sei concorrenti senza però stabilire un vincitore in quanto nessuno dei progetti è totalmente convincente. La giuria propone quindi di indire un concorso di secondo grado limitato solo ai seguenti artisti: Montaguti, Pietro Aschieri, Giacomo Giorgis, Ercole Drei con Fasolo, Felice Nori, Giuseppe Vaccaro con Giovanni Prini e con Paolo Paschetto. A fine luglio, dopo ulteriori chiarimenti con le autorità in merito alla delicata posizione stabilita per il monumento, la commissione esecutiva decide di assegnare 2.000 lire a ciascun dei sei lavori segnalati dalla giuria e di indire una nuova gara con termine il 15 ottobre, scadenza prorogata di un mese su richiesta dei concorrenti. Solo Montaguti, Giorgis, Drei con Fasolo e Vaccaro con Prini presentano i loro bozzetti eseguiti in gesso secondo le direttive del nuovo bando. Le opere, esposte al pubblico nel loggiato superiore dell'Archiginnasio, sono esaminate dalla stessa giuria del concorso precedente. Il verdetto non è unanime: Bistolfi, Arata e Piacentini ritengono il lavoro di Vaccaro e Prini «il più equilibrato, quello che più di tutti rispetta la meravigliosa compagine architettonica dei Palazzi Re Enzo e del Podestà», degno perciò di «commemorare i cittadini bolognesi caduti nella grande guerra, e quindi esser proposto per la esecuzione».
I bolognesi Sezanne e Albini «pur riconoscendo veri valori artistici nei singoli progetti, non trovavano in essi il Monumento ideale vagheggiato». Apportando su suggerimento dei giudici alcune modifiche al loro studio, l'architetto Vaccaro e lo scultore Prini sono dichiarati vincitori ma il monumento non verrà mai realizzato. Per il concorso Montaguti presenta un progetto che conserva quasi totalmente integra l'architettura del luogo prescelto. Nella sua relazione l'artista apprezza l'iniziativa del Comune per la scelta della posizione in quanto non solo esalta gli eroi caduti in guerra ma offre altresì l'opportunità tanto agognata di sistemare definitivamente lo spazio tra i due edifici. In comunione d'intenti con i precedenti architetti, lo scultore rinuncia infatti all'opportunità data dal bando di concorso di demolire i resti delle opere esistenti nel cortile e propone di continuare lungo tutto il prospetto verso piazza Nettuno il motivo architettonico del Palazzo del Podestà. Per il salone, in cui Adolfo De Carolis sta ultimando la decorazione, progetta inoltre l'apertura di una nuova porta d'accesso. Aspirazione dell'intero disegno creativo, teso a glorificare nel tempo la memoria degli artefici «della vittoria e della grandezza nazionale», è comunicare anche da lontano «una visione immediata di maestosità» data «dalla imponenza della linea e specialmente dai quattro gruppi che sovrastano l'intero corpo monumentale». Queste dinamiche sculture si elevano nella parte superiore del colonnato e presentano delle figure maschili in sella a dei cavalli. Allusive ai quattro anni di guerra, simboleggiano, secondo le parole dello scultore, «l'appello della patria alle genti Italiche nel maggio del 1915; gli eroi incalzanti sui focosi destrieri in un impeto travolgente e irresistibile verso gli agognati confini; la Vittoria strappata dai prodi all'alba del 4 Novembre 1918: portata alta ed acclamata dal popolo esultante». Nella parte sottostante tra le colonne e per tutta la lunghezza del monumento disegna tre bassorilievi, evidente richiamo al Fregio per l'Altare della Patria di Angelo Zanelli. In quello centrale una figura femminile è posta tra i rilievi della lupa e del leone, simboli di Roma e di Bologna. La donna, emblema della patria, premia gli artefici della vittoria: a sinistra l'indomito fante e a destra l'«oscuro milite del lavoro la cui opra quotidiana e instancabile nelle officine, nelle banchine e nei campi ebbe tanta parte nel trionfale esito della lotta». Questa attenzione alla vita delle classi lavoratrici, già dimostrata in opere precedenti, continua nel fregio posto sulla destra in cui rappresenta i simboli del lavoro. In un motivo continuo in cui si allude alla grandezza futura, uomini e donne circondate dai propri figli sono intenti a svolgere il proprio dovere con sacrificio e pazienza. Nel bassorilievo a sinistra lo scultore raffigura l'apoteosi dell'eroe nazionale che disteso sullo scudo romano viene portato in trionfo dal popolo.
Chiude questa dettagliata relazione il preventivo di spesa in cui indica anche i materiali con cui vuole realizzare l'opera: 400.000 lire per i gruppi scultorei e i bassorilievi in bronzo o questi ultimi in pietra d'Istria; 450.000 lire per l'arco trionfale con rivestimento in pietra serena e 150.000 lire per la loggetta. La giuria apprezza l'ingegno con cui Montaguti collega i due palazzi e propone la sostituzione o l'eliminazione di qualche elemento scultoreo. L'artista, nonostante tenga presenti queste critiche, presenta per il concorso di secondo grado la medesima relazione in quanto il progetto, salvo piccole modifiche è rimasto nella concezione d'insieme identico al primo. La prova viene duramente criticata dalla commissione che ritiene sia la meno riuscita nella parte architettonica. Elogia unicamente i particolari scultorei ma ritiene poco significativo il ripetitivo motivo dei cavalli impennati. L'intento conservativo di Montaguti non è apprezzato nemmeno dai commissari bolognesi che non gradiscono l'insistente uso degli elementi architettonici di Palazzo del Podestà. Come accennato precedentemente, il concorso del 1924 viene preceduto da varie iniziative prive di successo che culminano nelle due gare indette a distanza di pochi mesi nel 1922 per una lapide commemorativa dei caduti da apporsi a Palazzo Comunale. Riservate ai soli artisti bolognesi, tra i quali figurano Pasquale Rizzoli, Gaetano Samoggia, Edoardo Collamarini, Giuseppe Romagnoli, le competizioni vengono funestate da varie polemiche incentrate sulla designazione dei membri della commissione e sui loro giudizi. L'opera, come da capitolato, doveva glorificare la guerra e la vittoria dando risalto alla figura del fante. Montaguti partecipa a entrambi i concorsi realizzando per il primo tre bozzetti di cui uno verrà rielaborato per la seconda gara. Con il motto Me ne frego, attribuito a Gabriele D'Annunzio ma probabilmente diffuso tra gli Arditi durante la prima guerra mondiale e la successiva Impresa di Fiume, Montaguti polemizza con il luogo a cui l'opera era destinata. Realizza infatti uno spavaldo fante che colloca su un'alta colonna all'angolo estremo di Palazzo Comunale verso via dell'Indipendenza. Il bassorilievo che più colpisce la giuria per le notevoli qualità della modellazione è invece quello con il gruppo plastico dei due nemici nudi che si contendono la vittoria, rappresentata da una statuina impugnata da uno dei contendenti. Composizione originale ma poco equilibrata ed episodica non è idonea a glorificare il vittorioso epilogo della guerra. Con il bozzetto dal motto Alto o fratelli i cuori, verso della poesia Bicocca di San Giacomo (Rime e ritmi) di Carducci, lo scultore ripropone il tema del fante. Calmo e sereno nella sua posa, viene collocato tra due figure femminili che simbolicamente incoronano l'eroe. È questa l'opera che Montaguti modifica per il nuovo concorso conservando unicamente la figura del fante sullo sfondo raffigurante il campo di battaglia che viene maggiormente delineato e arricchito di particolari.
Federica Fabbro
Testo tratto da: F. Fabbro, Silverio Montaguti (1870 - 1947), Bononia University Press, 2012. Bibliografia: A. MASETTI ZANNINI, Il monumento ai bolognesi caduti in guerra 1915 – 1918, Bologna, s.e. Tipografia – Litografia Sordomuti, 1922; Il concorso per il monumento ai caduti, “Il Comune di Bologna”, maggio, dicembre 1924; G. V. SIMONINI, Il Concorso per il monumento ai caduti in guerra nella città di Bologna, Bologna, Mareggiani, 1925; A. BARUFFI, Commemorazione di Silverio Montaguti, tenuta il 26 febbraio 1948, “Atti e memorie dell'Accademia Clementina di Bologna”, IV (1948), p. 50; F. FERGONZI, M. T. ROBERTO, La scultura monumentale negli anni del Fascismo. Arturo Martini e il monumento al duca d'Aosta, Torino, Allemandi, 1992, p. 145; F. FABBRO, Silverio Montaguti un artista ritrovato, tesi di laurea, relatore Prof. M. DE GRASSI, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2007 – 2008, pp. 132 – 135.