Schede
Don Daniele Granchio, priore del convento dei Certosini, commissiona tra il 1644 e 1660 due grandi teleri che compongono il ciclo cristologico, ad uno dei più rilevanti artisti che operano a Bologna intorno alla metà del Seicento. Giovan Francesco Gessi in quegli anni è ormai un’artista maturo dal curriculum di tutto rispetto, che spazia da capace e autonomo allievo del Reni, ai lavori per il duomo di Ravenna, ai soggiorni nella capitale e nella città partenopea, nonché a commissioni per il ducato di Toscana e quello estense.
Eppure l’importanza della commissione da parte di uno degli ordini monastici più ricchi della città e la conseguente visibilità che ne sarebbe conseguita è tale da spingere il pittore ha chiedere un compenso irrisorio pur di avere questo incarico. Come conferma lo stesso Malvasia, il Gessi deve faticare non poco per ricevere questa rilevante commissione. La prova delle affermazioni del biografo è traducibile nel prezzo che il pittore riceve per l’esecuzione della Pesca miracolosa (1645), della Cacciata dal tempio (1648) e dei Quattro Santi laterali, un compenso che è quantificabile in meno della metà rispetto a quello che Guercino riceve negli stessi anni, dai Padri Certosini, per una sola tela con La visione di San Bruno (1647), tra l’altro di dimensioni più modeste. Aldilà della critica negativa che il Malvasia apporta nella biografia del pittore sulle opere eseguite per la Certosa, queste due grandi tele sono significative dell’ultimo stile del Gessi, morto un anno dopo la Cacciata, nelle quali è evidente un ultimo estremo tentativo di aggiornamento rispetto alle nuove tendenze artistiche. Alle composizioni pacate stese con colori delicati e fluidi del periodo giovanile, sotto la guida del Reni, qui si ammira una vena più espressiva e animata. Nella Pesca le suggestioni della pittura ferrarese si uniscono a quella napoletana, mentre nella Cacciata si riscontra la difficoltà del pittore a realizzare opere con numerosi personaggi e dalla struttura compositiva complessa, come questo lavoro per la Certosa richiedeva. Tradizionalmente, infatti, a Bologna non si eseguivano grandi cicli di storie a più mani e quando accade il compito è risolto con la tecnica dell'affresco. Il formato orizzontale e le grandi dimensioni delle tele furono una novità mai più ripetuta in ambito bolognese, quindi gli artisti coinvolti si trovano ad eseguire la struttura compositiva del dipinto in un formato e una dimensione a loro estranea.
Il restauro dei due grandi teleri, effettuato dal Laboratorio degli Angeli, oltre a consolidare la superficie pittorica ha rilevato lo stile esecutivo del pittore. I dipinti presentavano così tanti pentimenti da far pensare inizialmente che ci fosse la mano di un altro artista sottostante a quella del Gessi. Fortunatamente le fonti entrano in aiuto. Ancora una volta è dal Malvasia che apprendiamo i continui ripensamenti, ravvedimenti e ripassamenti, ai quali il Gessi sottoponeva le sue opere prima della consegna: in questo senso i “quadroni” per la Certosa ne sono un perfetto esempio. A maggior confutazione di questa tesi, l'analisi stratigrafica del colore ha confermato l'assoluta omogeneità degli strati preparatori stesi dal pittore per preparare ambedue le tele. Il colore è steso in più strati (fino a quattro) provocando nel tempo la debolezza complessiva del tessuto pittorico e la caduta di parte della stesura finale. Si sono svelati così numerosissimi e vistosi pentimenti presenti in entrambe le tele su ogni parte dei dipinti. La Pesca presenta meno modifiche, ma comunque rilevanti. Come ad esempio l'albero collocato sulla sinistra che inizialmente era una palma o nelle figure dei due apostoli immediatamente alla destra di Cristo che oltre ad essere spostati verso sinistra presentavano una posizione delle mani e una inclinazione delle teste completamente diversa. La Cacciata risulta soggetta a ripensamenti decisamente più importanti, tanto da sembrare completamente ridipinta, con aggiunte e modifiche in molti particolari. Le correzioni oltre che figurative in questo caso sono anche cromatiche, come il rosso della veste del Cristo che inizialmente era più scuro e solo successivamente viene apportata una campitura di tonalità più brillante. Il restauro ha dovuto porre rimedio anche ai precedenti restauri eseguiti negli anni quaranta del secolo scorso; la Pesca miracolosa aveva subito l'applicazione sul retro di una tela di rinforzo che causava gravi tensioni alla tela originale, provocando la caduta di campiture di colore, mentre la Cacciata dei mercanti dal Tempio mostrava numerose zone in cui i colori presentavano ampie ossidazioni biancastre, oltre alla caduta delle tinte superficiali che lasciavano intravedere i colori sottostanti. Inoltre, nei due teleri, un vistoso ingiallimento della vernice protettiva disturbava la corretta lettura dei rapporti cromatici.
Pesca Miracolosa, 1645, Bologna, Chiesa di San Girolamo, Olio su tela, cm 450x350. La firmata in basso a destra “FRAN. GES. FE. 1645”. Il tema iconografico dell’episodio religioso è tratto dal Vangelo di Luca: Montato su una di quelle barche, che era di Simone, lo pregò di scostarsi un poco da terra; poi, sedutosi sulla barca, insegnava alla folla. Com’ebbe terminato di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo, e gettate le reti per pescare”. Simone gli rispose: “Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua parola, getterò le reti”. E, fatto così, presero una tal quantità di pesci, che le reti si rompevano. Allora fecero segno ai loro compagni dell’altra barca, di venire ad aiutarli. Quelli vennero e riempirono tutt’e due le barche, tanto che affondavano. (Lc. 5, 3-7).
L’opera presenta caratteristiche compositive più semplici rispetto alla successiva. Il Gessi qui pone l’accento sugli aspetti di luminismo di gusto caravaggesco uniti a un gusto classicista. Elementi questi ai quali l’artista ci aveva già abituato in alcune opere affrontate nel secondo e terzo decennio del secolo, i quali sicuramente vengono rafforzati e attualizzati dopo il soggiorno napoletano. Esplicativa in tal senso è la scelta chiaroscurale più marcata e le tinte cupe nell’esecuzione. Il Gessi qui rappresenta il momento della predica che Gesù impartisce, dopo l’evento miracoloso, alla sua schiera di discepoli. I soggetti rivestono una tale umanità da ricordare una lontana origine caravaggesca. Come anche nei contrastanti effetti chiaroscurali, dati da un’illuminazione che colpisce i volti e i corpi degli attori da destra verso sinistra e che conferisce maggiore teatralità all’evento. Nonostante il gusto realistico, di lontana ascendenza caravaggesca filtrata dai ricordi napoletani, qui Gessi rimane tuttavia sostanzialmente ancorato alla tradizione reniana, di gusto classicista, soprattutto nella solenne figura del Cristo. Nonostante le grandi dimensioni e il formato orizzontale l’artista riesce a controllare la struttura compositiva; le figure si dispongono in maniera paratattica tracciando una linea orizzontale che sembra voler dividere il mondo terreno dall’ampio cielo (mondo ultraterreno) che si fonde al paesaggio.
Benedetta Campo
Novembre 2011