Schede
In egual modo con quanto avvenne nei giorni seguenti l'armistizio del 1943 in numerosi comuni del bolognese e dell'Emilia Romagna, anche a Pieve, a seguito degli indirizzi diffusi dall'organizzazione comunista provinciale, il 10 settembre venne dato l'assalto ai due ammassi del grano locali (v. Bologna), una rivolta carica di protesta popolare e di aperta ostilità contro i tedeschi che stavano occupando i gangli vitali del Paese fino a tutti i più piccoli centri.
Come descrisse l'episodio il Podestà lo si legge nel documento riprodotto qui a lato. Lo stesso Podestà, il giorno 11, fece affiggere il seguente manifesto: «Il Podestà del comune di Pieve di Cento, ORDINA, che tutti coloro, che nella giornata del 10, hanno ritirato grano dai silos comunali, denuncino il quantitativo di cui sono in possesso. Tutti coloro che hanno ritirato il grano dovranno entro oggi versare negli uffici comunali annonari le tessere del pane e della pasta. Saranno eseguiti sopralluoghi e presi provvedimenti contro i contravventori».
Anche in altri comuni dopo gli svuotamenti dei magazzini i podestà ordinarono e minacciarono. Poi intervennero anche i tedeschi con i loro primi ukase. La Prefettura di Bologna, sul primo numero de il Resto del Carlino che riprendeva a ripubblicarsi dopo il 9 settembre, il 18, comunicò che "dopo le ore 24 del 20 settembre coloro che saranno trovati in possesso di grano illecitamente trattenuto saranno puniti a norma della legge di guerra germanica". Seguì una vastissima disubbidienza di massa ovunque. Così anche a Pieve che, come scriveva il Podestà, aveva una popolazione "sprovvista di gran parte di generi di prima necessità: pasta, riso, grassi in genere e sale"; che era certamente stufa dei sacrifici imposti dalla guerra nazifascista e non voleva cedere ad essa il fabbisogno minimo per sfamarsi.
A Pieve di Cento - nonostante una presenza consistente e violenta di ex fascisti nell'amministrazione locale, di nuovi seguaci della RSI, di scherani della GNR - la partecipazione popolare si manifestò in alcuni momenti aperti e clamorosi. Ai bandi di arruolamento emessi dalla RSI per dar vita ad un proprio esercito guidato dal gen. Rodolfo Graziani, molti ex militari richiamati e molte giovani reclute scelsero la via della renitenza o di darsi alla macchia. Fra quanti risposero all'appello, molti manifestarono perplessità, disillusioni e, alfine, ricorsero a fughe e diserzioni. Nel "Notiziario" del Comando generale della GNR del 29 dicembre 1943 venne segnalato il caso di un gruppo di pievesi, con la seguente annotazione: di 19 c.m. 12 giovani arruolati del distretto di Bologna sono ritornati in paese, dopo esser fuggiti da Perugia. Hanno affermato di essere stati inviati a Perugia il 3 c.m. su carri bestiame, senza aver potuto raccogliere le loro valigie depositate a Bologna e di essere giunti a Perugia il giorno 5, senza mangiare, senza assistenza alcuna da parte di ufficiali e messi a dormire in locali malsani, senza finestre, senza paglia e senza coperte. Tutto ciò demoralizza i giovani ed annulla la propaganda fatta dalle Autorità per le nuove forze armate e si ripercuote sfavorevolmente sui familiari e sulla popolazione in genere». Vecchi antifascisti e giovani pievesi militarono nella formazione partigiana locale della 2" Brigata "Garibaldi". Nel piccolo territorio pievese e nei dintorni effettuarono sabotaggi e colpi di mano contro i trasporti tedeschi e i comandi della GNR. Il 15 giugno 1944 i partigiani lanciarono bombe a mano contro varie case di fascisti nell'abitato. Durante l'estate compirono azioni contro le trebbie per impedire che il raccolto sgranato fosse razziato dai tedeschi. Il 17 settembre un gruppo di partigiani dovette sventare un attacco da parte di un reparto tedesco.
Nei mesi successivi si ripeterono gli interventi di massa con la predominante presenza di donne. Il CLN locale, aveva invitato i macellai a vendere la poca carne razionata a solo 30 lire il chilo. Per l'intervento dei fascisti la vendita fu sospesa. Le organizzazioni clandestine decisero una risposta eli massa. Così il 27 ottobre più di 150 donne, alle sette del mattino, irruppero alle porte del paese dove bloccarono i conferenti del latte, e nella piazza invasero la latteria che riforniva i tedeschi ed i fascisti di presidio, s'impossessarono del latte e lo distribuirono alla popolazione. A qualche fascista che intervenne gli "suonarono" alcuni schiaffoni. Le autorità chiamarono in aiuto i tedeschi annunciando loro "che era scoppiata la rivoluzione". Mentre la manifestazione continuava passarono, sorvegliati da militari tedeschi, circa cento rastrellati affamati e stanchi: le donne più coraggiose prelevarono generi alimentari da una salumeria del centro e li rifocillarono con pane, marmellata salumi e latte.
A gennaio del 1945, le manifestazioni popolari animate dalle donne furono numerose in tutta la provincia. Iniziarono da Pieve, il giorno 21, quando una quarantina di dimostranti si presentò in municipio e reclamò i generi alimentari raccolti nei magazzini fascisti e tedeschi, denunciati significativamente come alimenti "rubati al popolo". Poi nuove, importanti, proteste avvennero nei giorni 3 e 4 febbraio. Dopo il fermo di 12 patrioti delle SAP effettuato il 3 dalle Brigate nere, le donne pievesi aderenti ai Gruppi di Difesa si radunarono nella piazza e sostarono in segno di protesta, per lunghe ore, davanti alla sede fascista e davanti al municipio, presidiato dai tedeschi. La protesta si rinnovò l'indomani ed ottenne un risultato: dieci dei fermati furono rilasciati mentre fu comunicato che gli altri due sarebbero stati solo interrogati. I due sappisti trattenuti, che erano stati torturati, stavano per essere trasportati a Bologna e allora le donne rinnovarono la loro richiesta di liberazione, che però non fu ottenuta per l'intervento in forze di tedeschi.
Una relazione del responsabile zonale del PCI, datata 3 aprile 1945, comunicò la seguente situazione organizzativa a livello comunale: aderenti al Comitato di difesa dei contadini, 31; al Fronte della Gioventù, KM) giovani e 41 ragazze; alle SAP, 108 (dei quali 8 ragazze); ai Gruppi di Difesa della Donna, 33; al PCI, 105 (dei quali 31 donne).
Pieve di Cento fu liberata il 22 aprile 1945.
11 26 aprile, nella Residenza Municipale, il CLN procedette alla nomina di una Giunta comunale provvisoria, presieduta dal sindaco Anselmo Govoni, alla quale fu affidata la direzione e la responsabilità dei servizi, che dovevano essere rapidamente riordinati. Il 27 aprile, nel corso eli una nuova adunanza del CLN, il presidente svolse un'ampia ed esauriente relazione sull'attività del CLN locale, nel corso della quale, come si legge nel Verbale della seduta della giunta, dichiarò: "Dopo un'attività sotterranea di lunghi mesi, della quale sarà fatto constare con dettagliato riferimento a parte, il Comitato assumeva nel mattino del 23 aprile corrente, prima dell'arrivo delle truppe alleate, il potere, e incominciava la sua febbrile attività che dura tuttora, coll'incitamento e l'appoggio di tutta la popolazione. I residui delle brigate nere, che fino alla vigilia avevano fatto mostra della loro tracotante spavalderia, sono finalmente scomparsi dalla circolazione, e si spera, anzi si è certi, che essi non si vedranno mai più in Comune se non sotto sicura scorta. Corre voce che non abbiano potuto sfuggire dalla sacca fra Reno e Po, ciò che giova sperare, non per spirito partigiano di vendetta, ma perché giustizia sia fatta eli tutti i delitti, di tutti i soprusi, eli tutte le malversazioni di cui si son resi responsabili".
Fonte: L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998