Schede
Questi ambienti facevano parte dell’ex monastero e sono tra i primi ad essere riutilizzati all'inizio dell'Ottocento. E’ in questi chiostri che si collocano - come nell’originario Chiostro Grande, ora Chiostro III - i primi monumenti, dipinti o in gesso e stucco. L’attuale Chiostro I° di Ingresso era quello su cui si affacciavano le cucine, mentre la Sala della Pietà era il Refettorio. Il Chiostro delle Madonne era un piccolo spazio quattrocentesco di congiunzione tra la Sala del Capitolo (ora Cappella della Madonna delle Assi), la Chiesa e il Chiostro Grande.
L'intervento architettonico più significativo in questa area del cimitero si deve ad Angelo Venturoli (1741-1821), chiamato a realizzare nella ex Sala del Refettorio, ora Sala della Pietà, una scala di raccordo tra il piano terreno e il sotterraneo. L'architetto realizza nel 1816 un piccolo capolavoro neoclassico, tutto incentrato sulla purezza dei volumi della forma ovale in cui due scale si incrociano al centro, mentre nulla è concesso all'ornato. Sempre al Venturoli si deve la progettazione complessiva del monumento della famiglia Baldi Comi, in cui intervengono per le sculture Giovanni Putti e per le pitture Flaminio Minozzi e Giacomo Savini. Questa grandiosa macchina funeraria rappresenta perfettamente il gusto neoclassico bolognese, chiaramente distante da quello che si diffondeva dai grandi centri di Roma e Milano. Il quattrocentesco 'Chiostro delle Madonne' prende il nome dalla presenza di numerose immagini mariane conservate entro teche. Provenienti dalle chiese cittadine soppresse nel corso dell'Ottocento, costituiscono una testimonianza intatta della fase 'museale' della Certosa, in cui si raccolsero monumenti e memorie della città provenienti dai tabernacoli di strada e dagli edifici religiosi che man mano venivano demoliti e dismessi. Gli affreschi staccati si datano tra XIV secolo e XVI secolo. Una precisa descrizione di alcune delle immagini sacre viene stampata nel n. 35 del periodico Il Piccol Reno, edito a Bologna nel 1846. Il Chiostro viene chiamato anche 'dell'Ossaia', in quanto venne realizzato uno dei primi ossari riutilizzando la grande cisterna d'acqua che si trovava la centro.
Dal Chiostro si accede al 'Corridoio dipinto', unica testimonianza intatta delle decorazione del monastero al di fuori della Chiesa di san Girolamo. Gli affreschi vengono eseguiti da Padre Marco da Venezia nel 1638 e rappresentano episodi salienti del fondatore dell'ordine, San Bruno. A fianco del corridoio vi è la Cappella della Madonna delle Assi, già Sala del Capitolo del monastero. Il Grande altare barocco ora conserva la madonna proveniente dall'omonima cappella che si trovava in città, ma originariamente era collocato la seicentesca Resurrezione di Cristo di Giovan Francesco Gessi e Francesco Albani. Fino a date recenti erano qui collocati i grandi dipinti di Nunzio Rossi (Natività) e Lucio Massari (Salita al Calvario), che per motivi conservativi dopo il restauro sono stati collocati in Palazzo d'Accursio. Lungo le pareti del Chiostro I° di Ingresso si conservano importanti monumenti del primo Ottocento, dipinti e in stucco. Tra gli artisti presenti vi sono Giovanni Putti (Fornasari, Maldini), Giacomo De Maria (Bersani), Alessandro Franceschi (Giro, Persiani). L'originaria cella del Priore diventerà La Sala del Pantheon o dei bolognesi illustri, realizzata su progetto di Giuseppe Tubertini (Budrio, 1759 - Bologna, 1831), ed ornata sul soffitto con gli affreschi di Filippo Pedrini (Bologna, 1763 - ivi, 1856). Nelle ultime righe del manifesto del 1801 che informa la cittadinanza dell'istituzione del Cimitero, si legge che le stesse pubbliche rappresentanze avranno cura, che quei chiostri maestosi si adornino in avvenire di monumenti consacrati alla virtù, ed alla riconoscenza. Il pensiero si rafforza nelle convinzioni dell’Assunteria del Cimitero, quando numerosi cittadini si rivolgono ad essa per ottenere gratuitamente aree di sepolture, tali da onorare i propri defunti ritenuti partecipi della storia cittadina. Prende così corpo l’idea di disciplinare tale possibilità, destinando un'area agli Uomini Illustri e Benemeriti. Nel 1812 nei registri di protocollo dell’Assunteria del Cimitero è indicato l'ingresso di un Progetto per un luogo appartato nel medesimo (cimitero) dedicato alla memoria d’Uomini Illustri di questa Città, documento purtroppo non più reperibile. Dal rapporto del 19 aprile 1822 che l'Assunteria del Cimitero invia ai colleghi della Magistratura, si cerca di individuare un luogo distinto nel Cimitero per potere collocare le spoglie di coloro che, per definizione della Magistratura, siano stati dichiarati Illustri e Benemeriti della Patria. Il Sotterraneo della sala deve ospitare 40 tumuli, che avranno una lapide priva di decorazioni ed un busto sopra una mensola in marmo, la cui esecuzione sarà affidata agli artisti locali. Le indicazioni date vengono solo in parte rispettate e, mentre la parte sotterranea sarà del tutto spoglia, il vasto ambiente soprastante vedrà l'intervento semplice ma grandioso di Giuseppe Tubertini, coronato al centro dall'affresco allegorico di Filippo Pedrini. Successivamente, nel 1911, il Consiglio Comunale discute della collocazione dei numerosi busti marmorei conservati nel Pantheon e si propone di trasferirli. Ognuno ha da dire la sua: il Senatore Sacchetti li vuole nel Palazzo Civico, il professor Faccioli li vede meglio nella Sala della Pietà, il Collamarini vuole costruire una esedra all’aperto. La Giunta sospende ogni decisione al riguardo e i busti continueranno a essere collocati nella sala fino agli anni ‘30 quando passeranno nella Sala d’Ercole di palazzo Comunale. Da qui comincerà un percorso di abbandono e degrado con la perdita di gran parte dei ritratti marmorei.
I brani seguenti, tratti da due delle più importanti guide bolognesi dell’800, testimoniano l’importanza che il Pantheon andava sempre più rivestendo per la memoria cittadina. Da Giovanni Zecchi, Descrizione del Cimitero di Bologna, Bologna, 1829: “È stata recentemente innalzata con architettura di Giuseppe Tubertini. La soffitta è dipinta a guisa di sfondato: opera eleaboratissima di Filippo Pedrini, la quale, quando che sia esposta alla vista del pubblico intelligente, sarà tenuta in quella estimazione che merita. In essa dipintura viene rappresentata la Religione trionfante nel tempio dell’Eternità, dove Felsina presenta le Scienze sacre e profane, e le Arti liberali. Abbelliranno le pareti di questa Sala alcuni busti di marmo, di grandezza al naturale soprapposti a mensole uniformi, e con le loro iscrizioni dimostreranno le effigie e gli encomi de’ benemeriti della patria, che sono stati degni di tramandarsi agli avvenire.” Da Girolamo Bianconi, Guida per la città di Bologna e i suoi sobborghi, Bologna, 1845: “Non molto lungi da questa si ammira una rotonda, altre volte destinata a contenere le ceneri degli Uomini Illustri bolognesi colorita dal pittore Prof. Filippo Pedrini che rappresentò nella volta la Religione trionfante e seduta vicino al Tempio della Immortalità, in atto di accordare a Felsina, condotta a lei davanti al Genio, l’implorata immortalità a compimento della patria gloria di molti suoi figli, il valore e la virtù dei quali vengono simboleggiati in varie figure, che le fanno corona. In alto la Fama sparge i nomi loro immortali per le più remote contrade: nel fondo scorre il fiume Reno, il quale si mostra sotto la figura di un vecchio barbato.”
Roberto Martorelli, William Baietti