Schede
Dopo l'8 settembre 1943, anche a Castel San Pietro, a seguito degli indirizzi diffusi dall'organizzazione comunista provinciale, venne dato l'assalto all'ammasso granario (v. Bologna). La distribuzione gratuita del grano e del granoturco, giacente nel silos del Consorzio agrario e nella chiesa di San Bartolomeo, fu gestita da antifascisti di tutte le correnti, fra i quali si distinse Gilberto Remondini, studente universitario aderente al Partito d'Azione che, in seguito, divenne comandante partigiano. I castelsanpietrini che parteciparono alla lotta di Liberazione militarono prevalentemente nella 66a Brigata "Garibaldi" che operò in loco e nel territorio circostante. Il primo nucleo partigiano s'insediò alla Pieve di Monte Cerere, in frazione di Montecalderaro nei locali della chiesa e della canonica già da tempo in disuso. Per procurarsi le armi necessarie, diedero la caccia ai tedeschi ed ai militi della GNR che, isolati o a piccoli gruppi, circolavano per le strade. Azioni notevoli furono condotte anche nei locali dove venivano allestiti spettacoli per divertire i tedeschi. Un discreto bottino fu ottenuto pure con l'azione di disarmo delle persone che erano state poste a guardia della ferrovia statale e della secondaria. Nel mese di luglio 1944, la brigata si rinforzò notevolmente con l'arrivo di gruppi di partigiani, circa 160, provenienti dalla bassa bolognese. Nel corso della lotta che partigiani e contadini condussero nelle campagne per ritardare la trebbiatura del grano ed impedire che i tedeschi l'asportassero dall'Italia, i castelsanpietrini furono a lungo impegnati. Due messaggi del comandante della GNR (Col. Giuseppe Onofaro) scandiscono il ritardo dell'operazione e la sua durata inconsueta oltre le cinque settimane. II primo, dal "Mattinale" del 30 luglio 1944, al Capo della Provincia di Bologna: "26 corrente ore 3, campagna Castel San Pietro, ignoti incendiavano macchina trebbiatrice di Marocchi A. causando un danno di L. 200.000 circa". Il secondo, dal "Mattinale n. 45", del 4 settembre seguente: "30 agosto, ore 20,30, campagna di Castel S. Pietro, una pattuglia di scorta alla macchina trebbiatrice di proprietà Guidi, veniva attaccata da circa 20 ribelli armati di mitra, moschetti e bombe a mano. Nel conflitto venivano feriti il legionario [V. E.] e l'all. Mil. [PS.] che rimanevano catturati dai ribelli unitamente al milite [C.G]. Risultano inoltre feriti tre elementi ribelli che riuscivano con gli altri a dileguarsi". I partigiani della 66a "Garibaldi" ad agosto parteciparono ad una battaglia in territorio extra comunale. II "Bollettino" mensile del CUMER la tratteggiò così: "Si comunica che nei giorni 10, 11 e 12 agosto formazioni tedesche con autoblinde, cannoni, mortai e mitragliatrici hanno sferrato un attacco alle posizioni tenute dalla 36a e 66a a M. Bastia. Nei giorni soprindicati l'attacco ha avuto fasi alterne di intensità e di soste, dovute queste evidentemente al fatto che i germanici preparavano il terreno prima di procedere all'assalto della posizione. In una delle azioni nelle quali era impegnata la nostra brigata, trovava gloriosa morte il Comandante del Distaccamento "Rosselli", "Gil" [Gilberto Remondini]". Nei successivi giorni d'agosto i partigiani in Castello catturarono due auto dei vigili del fuoco e disarmarono due militi (il 13); recuperarono materiale bellico tedesco (il 22) e il 24, col concorso di numerosi contadini, impedirono un raduno di bestiame.
Nel mese di settembre in Castello, ad Osteria Grande e nella frazione di Casalecchio dei Conti furono disarmati militi della GNR e soldati tedeschi, perquisite case di fascisti recuperando armi e materiale vario, catturata e giudicata una spia fascista, sottratti ai tedeschi due vacche, un mulo, una bicicletta e armi, tagliati pali telefonici. A Montecalderaro il 14 settembre fu attaccato un posto di blocco tedesco.
Il 1° ottobre, giorno in cui si costituì il Comando Gruppo Brigate 62a e 66a, seguito dalla fusione in pratica delle due formazioni, a mezzo radio, furono presi accordi per il collegamento aereo e terrestre, basato su un codice concordato, con unità della 5a Armata, che avanzando da sud, si stavano attestando a pochi chilometri da Monte Cerere, "con l'obiettivo finale puntato su Castel S. Pietro".
L'11 ottobre il Comando delle Brigate 62a e 66a decise di far passare i reparti dalla "terra di nessuno" (creatasi tra la linea del fronte degli Alleati e il fronte di arretramento dei tedeschi dopo lo sfondamento della Linea Gotica) alle retrovie tedesche. Cinque giorni dopo, in seguito ad un precedente ordine del CUMER, il Comando decise di trasferire i partigiani in pianura per raggiungere poi Bologna. Il 17 ottobre iniziò lo spostamento a scaglioni, facendo sosta a Castello. Alcuni gruppi, nei giorni successivi, raggiunsero la zona tra Vigorso di Budrio (v.) e Fiesso di Castenaso (v.). Qui li colse, il 21 ottobre, un grande rastrellamento dei tedeschi e diversi di loro furono impegnati in combattimenti nell'una e nell'altra località: alcuni caddero ed altri vennero catturati e poi fucilali. Nel giorno precedente la battaglia di Vigorso, il 20 ottobre, due castellani, i fratelli Leo e Luciano Pizzigotti, militanti nell'8a Brigata "Giustizia e Libertà", caddero nel combattimento contro ingenti forze fasciste che si svolse attorno all'Istituto di Geografia dell'Università di Bologna (v.).
Il 29 ottobre molti dei partigiani delle Brigate 62a e 66a giunsero in Bologna nella base dell'Ospedale Maggiore, dove restarono assieme a centinaia di altri già lì concentrati e il 7 novembre successivo combatterono la "battaglia di Porta Lame" (v. Bologna).
Intanto, nella mattinata del 20 ottobre - dopo che il giorno antecedente, nella zona, 158 cacciabombardieri avevano scaricato bombe incendiarie ad alto esplosivo e che le artiglierie avevano sparato 8.100 colpi - il 1° e il 2° Battaglione del 349° Reggimento americano avevano conquistato le cime di Monte Cerere e di Monte Grande, in territorio castelsanpietrino, sopra Montecalderaro. Nella notte dal 22 al 23, gli americani, ripresero lo sforzo per raggiungere la via Emilia. Avanguardie americane nella notte dal 23 al 24 penetrarono in Vedriano, ma furono schiacciate dal contrattacco dei tedeschi. Un altro tentativo fu compiuto il 25 ma i germanici eliminarono le due compagnie attaccanti, dopo di che alla punta più avanzata della 5a Armata fu ordinato di fermarsi e di consolidare le posizioni raggiunte. A tale proposito il comandante dell'Armata americana, il gen. Mark W. Clark ha scritto: "l'offensiva fu abbandonata non per un fallimento definitivo né a una data precisa. Semplicemente s'arenò perché gli uomini non potevano più battersi contro i rinforzi nemici che incessantemente affluivano nel nostro settore. In altre parole il nostro impeto si affievolì lentamente e penosamente, quando non mancava che un solo, anche se lungo, passo decisivo verso il successo come il maratoneta che crolla mentre protende il petto per toccare, ma senza riuscirvi, il nastro del traguardo".
Per tutto l'inverno gli Americani dovettero trincerarsi e difendersi dagli attacchi tedeschi che a più riprese cercarono di riconquistare il Monte Grande. Il centro urbano di Castello a pochi chilometri dall'avamposto americano venne a trovarsi pressoché sulla linea del fronte e visse mesi durante i quali la presenza tedesca fu opprimente, distruttiva e piena di rischi: lo trasformarono in un fortilizio, lo cinsero di fossi anticarro e di casematte, abbatterono diversi edifici periferici (tra i quali l'Ospedale civile, le terme e l'Ombrellificio Sassi) per aprire la visuale dei dintorni, divelsero gli alberi dei viali per farne delle travi e per riscaldamento.
Il CLN, i partigiani, i GDD, il FdG, si mobilitarono per aiutare i profughi dalla zona collinare investita dai fronti contrapposti, bisognosi di un tetto, di mobilia, di indumenti ed altro; per impedire più vaste distruzioni di edifici del paese; per garantire viveri ai rifugiati ed alla popolazione; per assicurare pronto soccorso, ricoveri, cure ed assistenza per gli ammalati, ecc. In tale quadro grande importanza ebbe una dimostrazione, appoggiata dalla gran parte della popolazione, svoltasi il 30 gennaio 1945 nel capoluogo. Circa 300 persone, in maggioranza donne, protette e difese da reparti dei GAP e delle SAP irruppero nell'ampio salone del Municipio protestando contro le autorità fasciste. Le rivendicazioni che avanzarono furono esternate anche in un foglio volante che fu largamente diffuso prima e durante la protesta, promossa dal CLN locale: "per la distribuzione dello zucchero, del sale, del riso e dei grassi; per il riconoscimento delle commissioni popolari di controllo; contro i rastrellamenti e le deportazioni". I dimostranti ottennero la riserva di automezzi per il trasporto dei viveri alla popolazione; la distribuzione di zucchero e sale; il riconoscimento di una commissione popolare di controllo per le distribuzioni annonarie, che fu decisa all'istante dai manifestanti. Fra l'incitamento dei presenti, alcune donne parlarono esaltando la lotta contro i rastrellamenti e le rappresaglie dei "banditi hitleriani" e dei "briganti fascisti". Alcuni tedeschi presenti non osarono intervenire. Ripresa l'offensiva degli Alleati, i tedeschi furono costretti ad una ritirata precipitosa. Il Cassero, la medievale Rocca Piccola, che era stato sede del PFR e poi trasformato in una piazzola dagli occupanti, con camminamenti ed apprestamenti difensivi interni, al momento della fuga fu ulteriormente danneggiato dai tedeschi, che distrussero impianti ed infissi e bruciarono tutta la pavimentazione in legno, comprese le travi di supporto del pavimento del primo piano. Castel San Pietro fu finalmente libero il 17 aprile 1945. Il 19 aprile 1945 il CLN locale nominò la Giunta comunale ed il sindaco nella persona di Aldo Bacchilega.
Fonte: L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998