Schede
Questo comune anticamente aveva nome Tossignano ed il capoluogo e la sede comunale edificata su uno sperone di gesso. Sorto nel tempo, a valle, l'abitato denominato borgo, per usufruire delle comodità offerte dal torrente Santerno e dalla strada Montanara, che generò lavoro e commerci, il capoluogo si spostò nella frazione in crescente sviluppo, dando al comune il nome di Borgo Tossignano (e, a Borgo, con decreto del 12 agosto 1954, è stata data anche la sede del municipio).
Nel primo dopoguerra il movimento dei lavoratori crebbe e nelle elezioni politiche del novembre 1919 aumentarono fortemente i consensi ai socialisti. Nelle elezioni amministrative del 19 settembre 1920, la lista del PSI conquistò per la prima volta la maggioranza consigliare. Lo squadrismo fascista si avventò anche contro le istituzioni dei lavoratori tossignanesi. Una squadra abbatté il monumento ad Andrea Costa, che era stato inaugurato il 28 settembre 1910. Le violenze determinarono la fine del Consiglio comunale elettivo. Subentrò un Commissario prefettizio e, poi, a seguito di elezioni dominate dai fascisti, una loro amministrazione del comune. Quest'ultima fece erigere un monumento al posto eli quello dedicato al pioniere socialista.
Durante gli anni del regime fascista due borgotossignanesi, ebbero a subire condanne in forza delle leggi speciali del fascismo per stroncare qualsiasi manifestazione di opposizione: la prima, per motivi spiccatamente politici e la seconda, per la colpevole paura o debolezza del podestà fascista del tempo (v. Confinati e Dizionario). Paolo Negrini (classe 1903), muratore, comunista, colpevole di aver partecipato, assieme ad altri, ad iniziative propagandistiche per ricordare la nascita del PCI e di incitamento alla lotta contro il regime fascista, venne arrestato nel 1927, incarcerato, indagato e nel giugno 1928, prosciolto, ma, il 25 febbraio 1930, condannato dalla apposita Commissione provinciale (costituita di soli gerarchi fascisti) alla pena di 5 anni di confino, quindi fu relegato nell'isola di Ponza, dove restò fino al novembre 1932. Il bracciante Giulio Merzari (classe 1883), che era già stato ricoverato perché affetto da paranoia, invece, venne condannato al confino per 5 anni ed inviato nell'isola di Ustica, perché il 26 dicembre 1941, un po' alticcio, rimasto in casa al buio, aveva gridato - secondo il denunciarne - "Quel p. del Re, quella p. della Regina, quel p. del Duce, quel rottino del Podestà; per colpa loro non abbiamo olio, né petrolio e le candele non si trovano e costano 12 lire" ed inoltre, per aver sparato in aria alcuni colpi di fucile all'atto dell'arresto.
Fonte: L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998