Schede
Dopo l'armistizio dell'8 settembre, sotto la direzione dei più anziani antifascisti, immediato fu il reperimento di armi. Particolarmente importante il recupero di una decina di mitragliatrici "Breda" e "Fiat" (con molte casse di munizioni) smontate da carri armati italiani resi inservibili dopo le sconfitte patite nell'Africa del Nord e concentrati a Castel Maggiore, nelle vicinanze della caserma del Genio Ferrovieri. Quelle mitragliatrici, munite di treppiedi da artigiani locali, divennero armi preziosissime per i primi nuclei di combattenti.
Già nell'autunno 1943 i primi partigiani di Funo e di Argelato compirono azioni di guerra, tra cui disarmi di fascisti, e promossero contatti con gruppi di altre località, mettendoli in comunicazione tra loro. Immediato fu il collegamento fra i gruppi armati e la parte della popolazione locale disponibile ad un'azione di appoggio e di lotta sul terreno sociale e politico. Così, nel gennaio 1944, contemporaneamente, mentre gli operai della Officina Barbieri di Castel Maggiore scioperarono, anche le donne di Argelato e di Funo manifestarono davanti al Municipio rivendicando "la libera compra del latte, la distribuzione dei grassi e dei generi tesserati" e protestando energicamente "contro il sistematico saccheggio di questi generi, operato dai nazifascisti", meritando un giusto apprezzamento da "La lotta", Organo della Federazione Comunista di Bologna, (a. I, n. 1, gennaio 1944), in questi termini: "Questo esempio d'unità d'azione tra gli operai e le donne riveste un alto significato economico-politico, dimostra la combattività che anima la popolazione di questi paesi che indicano a tutti come bisogna lottare contro i padroni affamatori, contro i tedeschi ed i traditori fascisti saccheggiatori e distruttori del nostro Paese". I partigiani di Funo nel febbraio 1944 disarmarono il presidio della Guardia repubblicana di Argelato dopo averlo colto di sorpresa nella Casa del fascio.
In concomitanza con lo sciopero generale operaio dal 1° all'8 marzo 1944 nel "Triangolo industriale" e nel Bolognese, a sostegno dell'astensione dei lavoratori, vi furono vivaci manifestazioni popolari e di donne soprattutto, in diversi comuni (v. Bologna). Ad Argelato si ripeté una dimostrazione ancora di donne, consistente ed energica, che giunse a distruggere l'ufficio municipale. Anche il "Bollettino n. 4" delle Informazioni sullo sciopero generale del primo marzo 1944, diffuso dal Comitato d'agitazione clandestino, dovette sottolineare che tali proteste, organizzate da gruppi di donne, avevano assunto un carattere di lotta avanzata.
Il 26 marzo i partigiani giustiziarono il Commissario prefettizio del comune, reo evidentemente di collaborare con i tedeschi. Ripetutamente condussero attacchi contro il locale Comando della Gestapo, insediatosi in una villa nei pressi del capoluogo.
Contro i nazifascisti agì anche una "banda" di ragazzi, guidata, all'insaputa del padre, dal sedicenne Agostino Frabetti (figlio di Oreste, dirigente comunista locale, che verrà poi arrestato dalla Gestapo e trucidato a Maccaretolo di San Pietro in Casale il 27 gennaio 1945) che, "trovò il modo di distrarre le guardie tedesche e di procurare munizioni" da un deposito sito in località Larghe di Funo. Alla terza manifestazione delle donne i fascisti spararono sulla folla. Il 23 aprile 1944, un corteo di circa 200 dimostranti accompagnate da alcuni partigiani armati, partito da Funo con l'intenzione di portarsi davanti al Municipio per lamentare la mancata distribuzione di generi alimentari, trovò la strada sbarrata da un drappello della GNR. La protesta fu vigorosa. Nonostante le percosse con i calci dei fucili, le donne non si dispersero. I militi fascisti prima minacciarono, poi spararono ad altezza d'uomo, all'impazzata. Tre donne e due partigiani restarono feriti. La sparatoria scompose il corteo, tuttavia le "staffette" riuscirono a ritirare le armi ai partigiani e riuscirono a nasconderle. Altre donne si avventarono sui "fucilatori" per disarmarli. Mentre i feriti venivano prontamente soccorsi, decine di donne, inasprite dalla sparatoria, raggiunsero la sede municipale e rinnovarono le loro proteste.
Nello stesso giorno contestazioni identiche, massicce e clamorose, avvennero nei comuni contermini di Castello d'Argile, Bentivoglio, Castel Maggiore e Sala Bolognese (v.).
L'efficacia delle azioni dei partigiani sul territorio comunale, anche la più semplice, quale quella della semina di chiodi-spaccagomme, ci viene segnalata da insistenti interventi dei tedeschi sulle autorità fasciste, nel denunciarle e nel ripetere minacce di rappresaglie. L'8 luglio 1944, l'Ortskommandant Oberleutnant intimò al Podestà di Argelato di comunicare alla popolazione che poiché "negli ultimi tempi sono state commesse diverse azioni da parte di ribelli e di senza patria, contro le forze armate tedesche, per esempio con la semina sulle strade di chiodi triangolari" erano stati arrestati sei ostaggi e consegnati alla SS di Bologna minacciando che il loro "destino... dipende dal comportamento della popolazione del comune". Il giorno 17 successivo, l'Aussenkommando Bologna, a firma Bieber, scrisse al Commissario prefettizio di Argelato (nella traduzione testuale): "Nel ultimo tempo furono sparsi sulle diverse strade del Vostro Comune dei chiodi, detti "Chiodi di Partigiani", che hanno perforato le gomme delle macchine del Esercito Tedesco. Per conseguenza, siccome fra la popolazione di Argelato si trovano elementi anti-italiani ed antitedeschi, che commettono sabotaggi per stroncare le forze dell'Armata Tedesca, ordino che mettete parecchie persone di fiducia in sorveglianza su dette strade del V/Comune, per impedire che si ripetino questi fatti. Nel caso che si ripetino simili fatti di sabotaggio, sarà proceduto allo fermo di dieci ostaggi del V/Comune". Con l'intensificarsi delle azioni partigiane, le rappresaglie nazi-fasciste divennero più feroci. Nel "Mattinale", del 1° agosto 1944, inviato al Capo della Provincia di Bologna, il Comandante della GNR Giuseppe Onofaro scrisse: "3 [luglio] corrente ore 16, campagna Argelato, due sconosciuti disarmavano della pistola mitragliatrice un militare germanico che trovavasi nella casa colonica di proprietà Turrini Luigi. Comando germanico, cui il militare è in forza, portatosi sul posto faceva incendiare, a scopo rappresaglia, la casa del Turrini e del colono Guidi".
Il 5 agosto i partigiani giustiziarono il comandante fascista della zona. Per rappresaglia le BBNN attuarono un improvviso rastrellamento notturno, arrestarono tutti gli uomini trovati nelle case della borgata Larghe e appiccarono il fuoco al fienile del podere condotto dalla famiglia Rappini. I partigiani nella notte dell'8 successivo, guidati da Franco Franchini (Romagna), fecero saltare la Casa del fascio, sita nel capoluogo, provocando la morte di tre militi fascisti e il ferimento di alcuni altri. Nel pomeriggio del giorno 9 agosto, per rinnovare la loro ritorsione, circa 300 fascisti piombarono nelle Larghe e ad Argelato. Qui, dopo aver prelevato nelle carceri ostaggi fra gli arrestati di quei tre giorni e sommariamente interrogati altri fermati poche ore prima, scelsero sei uomini, li portarono sulle macerie della Casa del fascio e li fucilarono: erano gli argelatesi Enrico Landuzzi, Nello Gamberini, Walter Scurzoni e Giorgio Zanotti; il comunista Luigi Fariselli di San Giorgio di Piano e il prof. Oreste Vancini, socialista bolognese. Alle Larghe, dopo aver saccheggiato 400 quintali di garzolo lavorato dal magazzino della ditta Fratelli Tartarini, moltissime bottiglie di vino, i macchinari della ditta Atti & Bassi di Bologna (che erano sfollati nella località), mobilio e altri oggetti di valore, cosparsero benzina e incendiarono 37 abitazioni. Durante quella stessa operazione, i fascisti spararono a vista contro i fratelli Attilio e Luigi Chiarini: uno di loro, colpito a morte, agonizzò per diverse ore, urlante tra il fumo e le fiamme, mentre i fascisti impedivano a chiunque di avvicinarsi per prestargli soccorso. All'indomani fu comunicato che la borgata delle Larghe "non esiste più, o meglio di lei restano solo gli scheletri contorti ed anneriti delle sue case date in preda alle fiamme".
Un nuovo brutale intervento delle BBNN contro la fiera popolazione antifascista, fu attuato nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 1944. A seguito di una delazione, i fascisti individuarono i componenti di un gruppo partigiano. Operando in piena oscurità gli squadristi, partiti dalla caserma di Persiceto, piombarono nelle abitazioni dei ricercati. Dapprima strapparono dal letto Adelmo Bernardi e subito fuori dall'uscio lo sottoposero ad una selvaggia bastonatura, poi si diressero verso la casa dei Grazia. Da qui prelevarono Cesare Grazia e Agostino Stagni, che racconta così come riuscì a sfuggire al massacro: "Ci fecero attraversare il fosso laterale alla strada fra Casadio e Argelato: ebbi la precisa sensazione che per noi tre (Cesare Grazia, Adelmo Bernardi ed io) fosse finita. Gli scatti delle sicure delle armi automatiche e la messa in canna della pallottole me lo confermarono. Mi slanciai nel buio e tra le raffiche compii una fuga disperata, facendomi a tratti scudo di un filare di alberi. Grazia e Bernardi caddero crivellati dai colpi". I brigatisti neri proseguirono nella sanguinosa impresa. Portatisi alla casa di Renato Tampellini, lo costrinsero a seguirli, lo torturarono bestialmente, lo evirarono poiché ritenuto il caposquadra e lo uccisero. Poi cercarono Carlo Bernardi, ma poiché quella notte egli dormì fuori casa riuscì a scampare. Infine fu la volta di Alfonso Marchesini, anch'egli prelevato di casa e immediatamente ucciso. La banda nera, non soddisfatta di quest'ultimo assassinio, si accanì contro l'intera famiglia del partigiano appiccando il fuoco alla stalla. La notte di spari continui e di grida di terrore vissuta dalla popolazione di Funo e Casadio si concluse con quattro vittime, di 15, 19, 20 e 39 anni. Dopo questi tragici avvenimenti, il battaglione SAP di San Giorgio di Piano prese il nome del partigiano trucidato, Renato Tampellini. Molti combattenti argelatesi, venuti allo scoperto nei mesi estivi, per ragioni cospirative si aggregarono alla 36a Brigata "Garibaldi", alla 7a Brigata GAP o passarono ad operare nelle associazioni giovanili e femminili clandestine, che condussero lotte di massa nell'inverno e nella primavera fino alla Liberazione. Argelato venne liberato il 22 aprile 1945. Il CLN locale nominò la Giunta comunale ed a sindaco Cesare Masina.
Fonte: L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998