Schede
Il telaio usato nelle campagne del territorio di Medicina era composto da una struttura lignea di forma rettangolare, con caratteristiche già definite fin dal XIII secolo. Questo telaio è detto orizzontale per distinguerlo dagli antichi strumenti per tessitura usati dai greci e dai romani, che avevano struttura verticale. L’operazione di tessitura consiste nell’intrecciare una serie di fili, detti ordito, che gira su due supporti regolabili. L’ordito svolto prende il nome di lunghezza e tutti i suoi fili sono invergati su bacchette dette verghe o canne. Tutti i fili dispari sono passati sotto la prima verga poi sopra la seconda, viceversa i fili pari in modo tale che, nella lavorazione della tela, la serie dei fili si separano formando un angolo detto passo o bocca. La spola o navetta passa depositando poi il filo della trama. I fili dell’ordito passano alternativamente sotto o sopra la navetta, secondo un ordine prestabilito determinato dall’armatura del telaio. Il movimento dei fili è ottenuto tramite i licci, costituiti da magli fissate su due tavolette di legno parallele. I fili, passanti negli occhielli dei licci secondo un ordine determinato, passano poi nel pettine, realizzato da due bacchette parallele e da lamelle verticali dette denti. Il pettine è montato su un battente, che imprime durante la tessitura un movimento avanti e indietro allo scopo di tenere battuta la trama. La tela ottenuta viene avvolta nel subbio del tessuto. La tessitrice, dopo aver preparato il telaio secondo lo schema prestabilito per la lavorazione di un certo tipo di tessuto, si apprestava ad azionare i licci mediante l’uso dei pedali ed a lanciare la spola, restando seduta sulla panchetta nella particolare positura richiesta per lavorare. La tela, srotolata dal subbio anteriore, dopo essere stata imbiancata, veniva infine piegata doppia in lunghezza e arrotolata su un matterello per formare il così detto torsello.
Il telaio esposto presso una sala del Palazzo della Comunità proviene dalla famiglia di Antonio Tinti, dapprima mezzadro sul fondo Ca’ Rossa di Castel Guelfo, poi contadino in via Muzzaniga. Quando Ermelinda Biancoli si sposa nel 1930 con Antonio Tinti, iniziò a lavorare sul telaio che si trovava nella casa da più generazioni. Le caratteristiche costruttive dello strumento ne confermano infatti le origini ottocentesche. Sarebbe interessante sapere chi ha costruito questo telaio, ma in questo caso, come in altri, l’interrogativo resta senza risposta; solo sui telai molto antichi si riscontrano talvolta le iniziali del falegname intagliatore o, molto raramente, la firma. Gran parte degli artigiani che fabbricavano telai nel secolo scorso restano nel più assoluto anonimato. Il telaio dei Tinti veniva montato dalla moglie con l’aiuto del marito e restava attivo per alcune settimane durante i mesi invernali, quando il lavoro della campagna era scarso. Veniva collocato in un vano di passaggio prospiciente la stalla, l’ordito invece veniva preparato, come consuetudine, nel cortile. La signora Ermelinda impiegava filati di canapa acquistati al mercato di Castel San Pietro, talvolta misti al cotone, per la produzione di asciugamani e tela da far lenzuoli, sia per uso domestico sia per la dote delle figlie. Il telaio restava attivo per due o tre settimane, poi veniva riposto in un camerone fino all’inverno successivo.
La storia del telaio dei Tinti e delle loro consuetudini familiari è comune a quella di molte altre famiglie mezzadrili, nelle quali la filatura e la tessitura erano attività consuete, finalizzate a soddisfare le esigenze di autoconsumo e a preparare il corredo dotale. Solo nelle famiglie bracciantili talvolta la produzione tessile veniva destinata alla vendita. Nelle case dei contadini si tesseva usualmente pochi mesi l’anno: nell’inverno le donne filavano e, nei mesi di febbraio, marzo e aprile, tessevano. La canapa costituiva la principale materia prima dei lavori di tessitura e veniva utilizzata sia sola sia con altre fibre, quali il lino e il cotone. Nella pianura padana la produzione e la lavorazione della canapa erano fortemente radicate. La canapa grezza veniva cardata e filata nella case dei contadini; il filato ottenuto veniva poi imbiancato con la liscivia preparata con cenere e acqua bollente. Dal “gargiolo” si otteneva un filato pregiato, utilizzato per la produzione dei corredi, e dalla stoppa un filato più povero impiegato per la fabbricazione dei tessuti più grezzi.
Dagli anni ’60 del '900 il telaio dei Tinti rimase inattivo e nel 1972, quando la famiglia abbandonò il podere venne donato al Museo Civico di Medicina, evitando il destino di molti altri telai ritenuti inservibili, pertanto usati come legna da ardere. Questo telaio fu poi esposto al pubblico nel 1974 in occasione di una mostra sul Canale di Medicina e sulla civiltà contadina: dopo questa iniziativa venne smontato e riposto nei depositi del Museo. Successivamente è stato recuperato, restaurato e rimontato ed i pezzi mancanti sono stati reperiti o ricostruiti al fine di rendere il telaio nuovamente completo e funzionante. Questo intervento ha ripristinato l’integrità di uno strumento che viene dalle nostre campagne e che era presente in molte case contadine del medicinese. Il telaio del Museo Civico, oltre ad essere un’importante testimonianza del passato, può consentire di riavviare una pratica che solo poche donne ancora conoscono e che potrebbe essere trasmessa ad altre. Il lavoro d tessitura può infatti nuovamente essere praticato, trasmesso, insegnato su questo telaio ormai patrimonio della comunità.
Lorella Grossi