Schede
Il governo giacobino instaurato a Bologna dopo l’ingresso delle truppe napoleoniche, avvenuto nel giugno del 1796, trasformò in maniera sostanziale il profilo dell’antico Studio, attraverso una serie di provvedimenti volti alla creazione di un’istituzione moderna e funzionale alle esigenze della nuova società. L’abolizione dei privilegi corporativi e il passaggio dello Studio dalla dipendenza del Comune a quella dell’Amministrazione centrale del dipartimento del Reno, in seguito all’inserimento della città nella Repubblica Cisalpina, furono solo alcune delle misure prese in un clima di crescente centralismo, dove ogni momento della vita accademica, dalla nomina del rettore al calendario delle lezioni, era regolato dall’alto. La soppressione dei Collegi, le numerose modifiche nelle cattedre e i decreti sulla pubblica istruzione sottolineavano inoltre la necessità di formare una classe dirigente capace di gestire efficacemente la crescita civile ed economica del nuovo Stato.
Il ristabilimento dell’autorità pontificia nel luglio del 1815, seguito alle occupazioni murattiane ed austriache, per lungo tempo non fu in grado di modificare le linee fondamentali dell’Università napoleonica, che nel 1803 era stata trasferita dall’Archiginnasio a Palazzo Poggi, sede dell’Istituto delle Scienze, per meglio usufruire delle strumentazioni scientifiche in esso contenute. Gli unici provvedimenti attuati riguardarono il ripristino dell’abolita facoltà di Teologia e degli insegnamenti canonistici, mantenendo peraltro intatta la maggior parte dei regolamenti introdotta dai francesi, fino alla Constitutio qua studiorum methodus cum pietate conjuncta in Pontificia ditione servanda praescribitur pubblicata nella bolla Quod divina sapientia di Leone XII (1824). Essa istituì una Sacra Congregazione, composta interamente di cardinali, alla guida della direzione generale degli studi con sede a Roma, e affidò le Università primarie (lo Studio bolognese e l’Archiginnasio romano) alla responsabilità degli arcivescovi con la qualifica di arcicancellieri; ricostituì i Collegi (teologico, legale, medico-chirurgico e filosofico), unici organi preposti all’accesso alle professioni, e reintegrò l’utilizzo della lingua latina. Fra le introduzioni più importanti vi fu la creazione di un collegio filologico nel 1825 e della facoltà filologica nell’anno successivo, composta da quattro cattedre: Eloquenza e Poesia, Lingua greca e Lingue orientali, Archeologia, Storia antica e moderna.
Nel clima di generale impoverimento della vita culturale cittadina e di progressiva provincializzazione dell’Ateneo bolognese (la maggior parte dei professori risulta essere di origine bolognese o emiliana), esasperato dall’assidua sorveglianza dell’autorità ecclesiastica in materia di condotta morale di docenti e studenti e dai continui richiami sui contenuti degli insegnamenti, operarono i celebri studiosi Giuseppe Ceneri, giurista, Camillo Ranzani, docente di Storia naturale, e il titolare della cattedra di Clinica chirurgica e futuro fondatore dell’Istituto ortopedico Francesco Rizzoli. In seguito ai moti del 1831 e alla proclamazione della decadenza del potere temporale del pontefice vennero emanati dal governo provvisorio i decreti volti a sopprimere i tratti più apertamente confessionali dell’Università pontificia, come la facoltà di Teologia, e ad affidare la reggenza dell’Ateneo ad un professore di nomina governativa; provvedimenti varati anche nel 1849, nonostante le frequenti chiusure dell’Università bolognese ordinate dall’autorità ecclesiastica in quegli anni. Solo il decreto del 6 luglio 1859, emanato dalla Giunta provvisoria di governo di Bologna e Province Unite, abolì definitivamente l’arcicancellierato dell’arcivescovo; nel settembre dello stesso anno fu stabilita la suddivisione dell’Ateneo in cinque facoltà: Teologia (soppressa nel novembre), Giurisprudenza, Filosofia e Filologia, Matematica, Medicina.
Sembra che nei primi anni dell’unificazione l’Università cittadina, che sotto il profilo formale aderiva ancora alla Constitutio del 1824, stesse attraversando un periodo di decadimento, dovuto principalmente, secondo le testimonianze di Carducci, all’indifferenza del governo centrale, che pure si riservava il diritto di vigilare sulla circolazione delle idee all’interno dell’Ateneo (è nota a questo proposito la sospensione temporanea di Carducci e Ceneri dall’insegnamento, rei di aver partecipato nel 1868 ad un banchetto di celebrazione della Repubblica Romana); si aggiungano la carenza dei libri, l’insufficienza dei mezzi scientifici e la scarsità di studenti. Dal 1874 alle donne fu possibile accedere all’istruzione universitaria, ma essa rimase per lungo tempo prerogativa quasi esclusivamente maschile (tra il 1877 e il 1900 solo 27 donne riuscirono a terminare il corso di studi). Tra le personalità femminili più illustri del corpo accademico che operarono durante il XIX secolo si segnalano Clotilde Tambroni, che ricoprì la cattedra di lingua greca fino al 1808, e Maria Delle Donne, direttrice della Scuola di Ostetricia per levatrici dal 1804.
Nel corso degli anni gli sforzi di modernizzazione dell’Ateneo si concretizzarono nel rinnovamento del corpo insegnanti e nell’istituzione, nel 1876, della Scuola superiore di Medicina veterinaria su iniziativa di Giovan Battista Ercolani, e della scuola di Magistero presso la facoltà di Lettere; il 1877 fu l’anno della Scuola di applicazione per gli ingegneri ad opera di Cesare Razzaboni. La celebrazione nel 1888 dell’VIII Centenario dell’Alma Mater, promosso in particolare dal rettore Giovanni Capellini, da Giosue Carducci e dal giurista Cesare Albicini in concomitanza con l’Esposizione emiliana, rappresentò una grande occasione di visibilità internazionale e di consolidamento del forte legame che Bologna ebbe sempre con la sua Università e che solo i decreti del periodo napoleonico erano riusciti ad interrompere. Da quel momento si attuò una serie di politiche a sostegno del suo sviluppo sulla base di accordi con gli enti locali: nel 1897 venne firmata la prima convenzione tra Università, Comune e Provincia, che stabilì il passaggio allo Stato della Scuola per gli ingegneri, destinando le restanti risorse allo sviluppo di altre strutture universitarie.
Mara Casale