Schede
20 Dicembre 1882: in piena notte una donna urla ad una finestra di Via Orefici. Accorrono pompieri e polizia e la donna, apparentemente in stato confusionale, viene soccorsa. Racconta che mentre era in casa a dormire, il suo padrone, l'orefice Coltelli è stato assalito da due uomini e sgozzato. In seguito cambia quella versione, dicendo che forse si era sognata la scena e che forse l'anziano artigiano si era suicidato. Lei era la ventenne Enrica Zerbini, domestica, ma che qualcuno malignava fosse anche l'amante del settantaquattrenne artigiano. Non essendosi trovato alcun segno di effrazione a porte e finestre, tutte chiuse dall'interno, venne subito scartata l'ipotesi dell'intrusione, come pure poi quella del suicidio, visto che il cadavere non presentava alcun taglio alla gola, bensì tracce di diversi colpi alla testa. In breve le prove contro la Zerbini apparvero schiaccianti. Nel frattempo si era anche scoperto come ella avesse in passato commesso piccoli furti a danno del suo precedente padrone. Alla fine confessò che l'omicidio era stato commesso da un suo amante, Angelo Pallotti, poi ritrattò ancora, accusando infine uno sconosciuto, tale Giuseppe Piccioni. Il processo iniziò il il 28 dicembre 1883 e si prolungò fino al 5 febbraio 1884. Vi presero parte avvocati di fama del foro bolognese, Leonida Busi e Giuseppe Ceneri per la parte civile mentre Adolfo Pasi difendeva la Zerbini. Interessò non solo Bologna, ma l'intera Italia, informata dello svolgersi dei fatti dagli inviati di tutti giornali della penisola (Alessandro Cervellati “Bologna Nera” Tamari Editori). Si concluse però incredibilmente con un clamoroso nulla di fatto, con l'assoluzione della Zerbini accolta dall'applauso scrosciante del popolino che da mesi assisteva alle sedute. Questa infatti aveva chiamato in causa diversi personaggi della Bologna bene, tutti poi prosciolti, e in questa maniera si era accattivata l’opinione pubblica, che quasi la riteneva vittima del privilegio sociale. L’eco di quel fatto è giunta fino ai giorni nostri, tanto da ispirare ad Alessandro Samoggia il romanzo giallo “Sherlock Holmes a Bologna” (Costa Editore 2013). La morte del Coltelli corrispose con la fortuna di un personaggio che diverrà molto noto a Bologna. Il protrarsi del processo aveva infatti provocato un interesse morboso nella cittadinanza, tanto che un giovane di San Lazzaro di Savena ebbe l'idea di pubblicarne i bollettini giornalieri : li “strillò” e li vendette facendo affari d'oro. Era Giuseppe Ragni (1867-1919) che diverrà il più famoso venditore di strada di Bologna.
A questo punto occorre però fare chiarezza. Di botteghe Coltelli, all'epoca, a Bologna non ve ne era una soltanto, ma due. Ed è opportuno non confonderle. Una era quella di Luigi Coltelli di Camillo (1808-1882), orefice con botteghe in Via Orefici e al Pavaglione, all'insegna “delle Due Spade”, ucciso in bottega e la cui attività non fu proseguita dagli eredi. L'altra era quella di Luigi Coltelli di Gaetano (1805-1880), lontano parente dell'altro, lui pure orefice, ma con bottega in Via Spaderie all’insegna della ”castellata”. Di quest'ultimo si rimanda alla sua pagina biografica per ulteriori approfondimenti.
Gian Luigi Coltelli