Schede
Sono circa tre anni che il mercato antiquario di Imola (BO), con studiate epifanie, ci restituisce frammenti dell’archivio professionale dello scultore bolognese Enrico Barberi (1850-1941). I frammenti sono dati soprattutto da ordinate cartelle dove lo scultore raccoglieva i carteggi, i progetti, le note spese, dei vari lavori che andava ad eseguire. E molte di queste sono relative a tombe, sia semplici che di grande formato e monumentalità, realizzate alla Certosa di Bologna. Al momento sono state recuperate (e sono conservate alla Biblioteca del Museo del Risorgimento di Bologna) cartelle delle tombe Moretti, Veratti, Magni, Zambeccari, Barbieri, Salem, oltre ad altri lavori non in Certosa.
In questa documentazione (ancora in fase di inventario da parte di chi scrive, per cui con segnature provvisorie) abbiamo verificato i rapporti tra il Barberi e la ditta Davide Venturi & Figlio, vorremmo dire le collaborazioni, visto che lo scultore per i propri lavori si serviva di una vasta schiera di assistenti, demandando a se stesso soprattutto la parte progettuale più che quella esecutiva. In realtà in questo carteggio (una parte piccola di tutto l’archivio Barberi) non abbiamo trovato tracce eclatanti in merito ai Venturi, ma soprattutto invece, quasi potremmo dire, un sottile filo che lega lo scultore ed i marmisti ragionevolmente per un lungo periodo di tempo (anche se l’arco temporale espresso dalla documentazione recuperata è ristretto), anche con la considerazione che il Nostro realizzava molti dei suoi lavori in marmo, per cui salve alcune eccezioni, il laboratorio bolognese era senza dubbio la sua fonte primaria della materia scultorea, oltre a fornire personale tecnico per la rifinitura dei monumenti. D’altronde è il fondo stesso della ditta che ci documenta ripetutamente la stretta collaborazione tra azienda e scultore.
Nel 1883 Enrico Barberi riceve la commissione dal “Sig. Avv. Ugo Magni” per “collocare nel zoccolo del Monumento di sua proprietà i ritratti in medaglione della signora di Lui Madre e del genitore fu Cav. Domenico Magni” [Barberi Magni 1883, 94]. La faccenda a dir la verità va avanti per un po’ di tempo, almeno da aprile del 1883 al gennaio 1884, ma alla fine il contabile Barberi, ovviamente dopo aver accettato l’incarico e averlo portato a termine, espone in una ordinata nota le spese per questo lavoro: “Nota di spese e compenso per aver modellato e tradotto in marmo 2 medaglie con incorniciatura e zoccolo di Bardiglio collocate nel Monumento, della spettabile Famiglia Magni; d’ordinazione e per conto del sig. Avv.to Ugo Magni.” [Barberi Magni 1883, 95]. Per spese e varie alla fine il totale è di L. 570,60. Per questo lavoro il marmo è dei Venturi, per L. 150, che anche loro scrupolosi, trasmettono allo scultore una analitica nota spese il 7 novembre 1883, alla quale segue con stessa data la fattura, che è in realtà di L. 150,40, ma il Barberi abbuona al committente ben 40 centesimi. In ogni caso i Venturi forniscono per quanto riguarda il materiale: due zoccoli di bardiglio fiorito lucido per L. 40,00; una fascia di bardiglio lucido, per L. 35,00; fianchi di bardiglio per le medaglie, L. 29,60. Ai Venturi spetta anche la messa in opera con i relativi materiali (cemento, fittole d’ottone) per L. 45,80. Il fascicolo non ci dice chi è stato l’esecutore dei ritratti, ma almeno qui, senza altre indicazioni, si suppone che sia il Barberi, seppur spesso in altri monumenti si è limitato alla supervisione, lasciando ad altri anche il lavoro scultoreo sulla base dei suoi modelli.
L’anno successivo, e fino al 1886, il Barberi lavora alla tomba della famiglia Zambeccari, collocata nel Chiostro Terzo della Certosa. Il fascicolo relativo è intestato “Traduzione del Monumento di Casa Zambeccari opera dello scultore Franceschi”. Si tratta di Alessandro Franceschi (1789-1834), attivo in Certosa e di cui ammiriamo nel Chiostro Terzo anche l’Allegoria della Pittura nel monumento di Jacopo Alessandro Calvi. Il Franceschi realizza questo monumento negli anni ’20 dell’Ottocento per Costanzo Zambeccari Zacchini, morto nel 1818. Dal fascicolo recuperato si apprende che il lavoro del Barberi e collaboratori, che qui sono molti, sia stato quello di “tradurre” in marmo il lavoro del Franceschi, che aveva realizzato il monumento Zambeccari in gesso, oltre a ristrutturare il monumento per accogliere altre sepolture di famiglia, che infatti dopo la sistemazione comprende nove defunti, accuratamente descritti in una nota nel fascicolo. In realtà questa trasformazione è una volontà testamentaria di Camillo Zambeccari (morto il 30 novembre 1865), che nel testamento redatto il 1 maggio 1863 all’articolo 9 si legge: “A suo comodo e piacere prego l’Erede a volere fare tradurre in marmo il monumento di famiglia alla Certosa mantenendolo tal quale pel disegno si trova al presente.” Il documento (conservato per lascito testamentario ai Salesiani di Bologna) specifica poi che la vedova di Camillo Zambeccari, Marianna Politi, si accorda con Enrico Barberi per la traduzione in marmo del monumento, che "al presente trovasi in gesso", "senza nulla innovare né al disegno né alle misure". Il lavoro doveva essere compiuto entro il 2 novembre 1885 "per modo tale che possa rimanere esposto al pubblico solito a recarsi in detto giorno a visitare la Certosa". Ad ulteriore prova che il monumento originario, per inciso illustrato in Collezione dei Monumenti Sepolcrali del Cimitero di Bologna, edito a Bologna da Giovanni Zecchi tra il 1825 e il 1827, in forme non dissimili a quelle attuali, per cui esistente a quella data, sia stato demolito ce lo dice una nota spese del 10 ottobre 1884, che fa riferimento a una “Fotografia del Monumento Zambeccari prima di atterrarlo” (del costo di L. 25). La fotografia purtroppo non è conservata nel fascicolo. La ricostruzione di questo monumento, con relative spese, appare piuttosto articolata e non è questa la sede per tracciarne le linee, tuttavia accenniamo come l’opera tra ideazione e realizzazione occupi il Barberi per almeno due anni, con il dispiego di una vasta gamma di maestranze, reperite anche fuori regione (dal 28 luglio al 8 agosto 1885 lo scultore è “a Firenze a cercare lavoranti” con una spesa di L. 150). In effetti il monumento è davvero complesso: una porta con a lato due figure femminili in bassorilievo, rappresentanti la Speranza e la Carità, oltre ad un articolato stemma familiare, in una nicchia anche questa ricca di elementi decorativi. La nota sopra citata ci informa ulteriormente che "il monumento in gesso ora esistente e che è opera del Valente scultore Alessandro Franceschi venga conservato in tutte quelle parti che sarà possibile". E così infatti è stato, presso i Salesiani. Nella cartella sono conservate anche alcune scrupolose note spese (il Barberi era molto pignolo in tal senso) dove si citano i Venturi: il 26 agosto 1884 abbiamo la nota “Lista Davide Venturi e Fi.o 26 Agosto 1884” per L. 81,15. Si tratta di una fattura in merito a materiali di complemento acquistati da Ercole Raimondi: nel fascicolo è conservata, è la n. 95, su carta intestata Davide Venturi e Figlio – Commercianti di Marmi, Graniti e Pietre in genere. E’ indirizzata a “Barberi Prof. Enrico Bologna – per urgenti materiali impegnati per s. conto al sig. Raimondi Ercole”; i materiali sono tre lastre di marmo, per un totale di L. 81,15. Ercole Raimondi, marmista, è l’esecutore di tutta la parte architettonica del monumento, “non che dell’incisione di N. 3331 lettere componenti le nove epigrafi del Monumento”. Per tutto ciò percepisce L. 3.593,70. Con Barberi ha già collaborato per l’esecuzione del monumento al cardinale Moretti (1882-1883), nella chiesa della Certosa, per il quale realizza il sarcofago. Al 24 marzo 1886 abbiamo ancora una nota su Raimondi: “Pagati a Venturi per conto Raimondi” L. 6.50. In merito a ciò abbiamo due biglietti, che ci spiegano di cosa si tratta: i Venturi consegnano ad un certo Andreoli (forse assistente del Raimondi), per il Raimondi stesso, una lastra di Pietra Gallina (dalla Val Gallina, nel bellunese), un calcare bianco a grana finissima, delle misure 0,62x1,08x0,10 m. Al 30 marzo 1886 si trova la voce “Marmo somm.ni da Venturi ved. lista” per L. 49,00, con in un’altra nota un ulteriore riferimento: “A Davide Venturi e Fi. (vedi lista 30 maggio 1886)” sempre per L. 49,00. Di questa nota non abbiamo reperito la fattura. In realtà al 1 maggio 1886 appare anche un’altra voce che si potrebbe attribuire ai Venturi: “Al Marmista come da suo preventivo” per L. 815,00, tuttavia senza indicazione precisa siamo piuttosto cauti in tal senso. E più facile che il marmista in questione sia il Raimondi, che appunto lo abbiamo trovato con la firma Ercole Raimondi Marmista. In ogni caso per questo lavoro la fornitura e la collaborazione dei Venturi è davvero ridotta al minimo perché tutto il marmo è stato acquistato dalla ditta S. Henraux di Serravezza, in Toscana, che gestiva le cave del Monte Altissimo, sulle Apuane. L’azienda, fondata nel 1821 da Jean Baptiste Henraux, luogotenente di Napoleone Bonaparte, è ancora in attività ed ha fornito marmo ai più importanti scultori tra ‘800 e ‘900.
Sempre del 1884 è la commissione, ed esecuzione, della tomba di Erminia Veratti. Il sepolcro, piuttosto semplice rispetto ad altri, pone al centro il busto della defunta sopra due libri (Goethe e Dante) con rose, in una nicchia con sobria decorazione, oltre ad una lapide con iscrizione di circostanza,ma di un certo gusto (“Erminia Veratti visse XXI anni tutta amore modestia e studio morì li XXVIII settembre MDCCCLXXXIII dopo otto mesi di crudeli sofferenze sopportate con sublime rassegnazione fu idolo e consolazione della famiglia angelo di bontà e di conforto per tutti i suoi cari questo umile cippo vollero eretto a di lei imperitura memoria”) come sempre è frutto di collaborazione tra Barberi, ed altri esecutori. Per questo monumento i Venturi, sulla loro bella carta intestata [Barberi 1884 Venturi, 57], dove è specificato che sono dotati di “Torni e segheria a vapore”, forniscono al Barberi il 6 agosto 1884, che dunque lavorava in parallelo al monumento Zambeccari ed a questo, un “Progetto di spesa pel mon.o Veratti” per il marmo da utilizzarsi, solo per la struttura architettonica e non per il busto, infatti il preventivo fa riferimento a “zoccolo, lapide, cornice, nicchia, arco” lavorati “a perfetta regola d’arte come al disegno presentato” per una cifra totale di L. 2.250. Questo ci dice che la parte decorativa è realizzata dai Venturi mentre il nostro forse si riserva solo il ritratto scultoreo di Erminia, ma che in realtà invece sembra essere compiuto con la collaborazione di Pietro Veronesi (1859-1936), scultore abbastanza attivo in Certosa (si cita significativamente la Tomba Gangia, 1896). Abbiamo infatti due ricevute del Veronesi al Barberi, una datata 25 ottobre 1884 [Barberi 1884 Venturi, 58] che recita: “Dallo scultore Sig. Enrico Barberi io sottoscritto ricevo Lire italiane Duecento e queste a totale saldo del ritratto in marmo dal medesimo eseguito rappresentante la fù Signorina Erminia Veratti.” Questa ricevuta è un po’ ambigua, non si capisce bene chi è davvero l’esecutore del lavoro. Ma appunto la seconda, del 30 giugno 1888 [Barberi 1884 Venturi, 59] sembra chiarire le cose: “Dichiaro io sottoscritto di aver ricevuto dalla scultore Enrico Barberi la somma di Lire Italiane Centottanta e queste per compenso e saldo della esecuzione in marmo del Busto della fù Signorina Erminia Veratti”. In linea di massima come abbiamo già documentato il Barberi progettava la visione generale dei monumenti, lasciando ad altri, sulla base dei suoi modelli, l’esecuzione, salvo casi particolari. Inoltre abbiamo anche altre ricevute che chiamano in campo altre figure: Giovanni Lambertini per la fornitura del marmo del ritratto (e non i Venturi dunque) e Luigi Ferzi per la sbozzatura del monumento, segno appunto di un lavoro collettivo. Ma torniamo ai Venturi. Il preventivo del 6 agosto 1884 è in ogni caso approvato in toto, dato che il 14 novembre 1884 [Barberi 1884 Venturi, 70] il Barberi rilascia una ricevuta a Giuseppe Veratti, padre di Erminia: “Dal chiarissimo Signore Ing Dottore Giuseppe Veratti io sottoscritto ricevo Lire Italiane Duemiladuecentocinquanta/2.250. a saldo del lavoro marmoreo eseguito dal marmista Ditta Davide Venturi e Figlio”. Sempre per questo monumento è presente una nota manoscritta, sul retro di un bel biglietto da visita, non datato, a firma D. Venturi [Barberi 1884 Venturi, 67]. Purtroppo la grafia di Davide Venturi non è molto ben leggibile, per cui è difficile da interpretare, tuttavia fa riferimento ad una fotografia del monumento ed alla necessità di un incontro con Barberi. Nel fascicolo in effetti è contenuta una foto del monumento, tuttavia più probabilmente di un modello in gesso [Barberi 1884 Venturi, 74].
Simone Fagioli
Testo tratto dal catalogo della mostra "Venturi, Tura, Sacilotto 170 anni di lavorazione del marmo tra Bologna, Pietrasanta e Caracas", Museo civico del Risorgimento, Bologna, 2011. Il fondo di 514 cartoline della Ditta Davide Venturi è interamente disponibile cliccando qui.