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L'Ercolana

1530 | 1955

Schede

Ho sempre creduto di essere venuto al mondo in località Ercolana, invece no: più precisamente dovrei essere nato a Ganzanigo, a Casa Oppi; lì abitavano i miei, mi portarono in fasce ad Ercolana. I miei genitori si erano sposati intorno al 1925 ed erano andati ad abitare a Ganzanigo in una casa di proprietà di Dalla Casa dal quale poi la comprarono. La mia famiglia era poverissima e stipulò un accordo con il proprietario in base al quale avrebbe pagato a rate, come e quando avrebbe potuto. Il Dalla Casa si trasferì poi a Bologna, ma sempre è rimasto il ricordo e l’amicizia per questo splendido Signore dall’umanità immensa. Sono nato il quattro gennaio 1937 infatti a Ganzanigo, poi “trasferito” all’Ercolana esattamente presso l’oratorio di Sant’Ercolano, dove sono rimasto fino ai diciotto anni.

Il luogo era situato lungo via Ercolana, tra Via Nuova e Fantuzza. L’oratorio e annessi sono stati demoliti a metà degli anni ’70 in occasione della realizzazione del canale Emiliano-Romagnolo; era stato eretto intorno al 1530 dalla nobile famiglia Hercolani di Bologna (lo ricorda Giuseppe Simoni nella sua Cronistoria di Medicina). Si trattava di una chiesa priva di grandi opere d’arte ma di autentica originalità e semplice bellezza, testimonianza di un’architettura sacra minore del ‘500. Dietro l’altare maggiore era esposta una grande pittura raffigurante sant’Ercolano (attualmente posto nella chiesa di Ganzanigo); quando il dipinto fu rimosso venne alla luce una pittura murale dello stesso soggetto, forse coeva con l’edificazione della chiesa. L’oratorio, pur dipendendo dalla parrocchia di Ganzanigo, aveva avuto la presenza di un rettore stabile fino al 1935. Luciano Trerè annota: “Alla data 26 aprile 1935 don Lodovico Foschi (don Aldvìgh), dopo circa 40 anni lasciò la chiesa per ritornare nel paese d’origine”, Casola Valsenio. Le maldicenze del popolino attribuirono questo trasferimento a manovre del parroco di Ganzanigo, don Lolli, il quale aveva certamente un carattere spigoloso, ma era un buon uomo; di ciò reco testimonianza diretta per essere stato suo chierichetto. Il ritiro del rettore dell’Ercolana, e la sua non sostituzione, si deve sicuramente a difficoltà più grandi e generali. Il ricordo di don Foschi è stato tuttavia tramandato a lungo, come personaggio originale, anomalo, faceto, comunque anch’egli era un buon uomo. Duilio Argentesi nelle sue memorie ricorda che “I chierichetti preferivano servire il prete dell’Ercolana, più svelto e bonario”.

La costruzione dell’oratorio in quel luogo non era stata casuale: tutta l’area circostante era stata di proprietà dei nobili Hercolani ancora prima del 1500. Il Simoni scrive: “Nel 1530, un breve pontificio istituì un feudo in favore dei fratelli Hercolani: Vincenzo, Agostino e Domenico Maria. Ne presero possesso il 7 dicembre 1530. Il feudo ebbe breve durata. Il Pontefice successivo lo annullò. La proprietà comunque rimase a lungo degli Hercolani”. Ancora nella seconda metà dell’Ottocento un Hercolani, Filippo, è presente e attivo a Medicina e sarà anche sindaco, dal 1881 al 1883. L’area del feudo doveva essere molto vasta: da San Martino ai confini ferraresi e da Fantuzza al canale di Medicina: una fetta imponente del territorio. Il Simoni fa anche cenno al “Palazzo dell’Ercolana dove risiedeva il governatore del feudo”. Difficile individuarne ora la localizzazione: tutto porta ad escludere che si trattasse del Castello avito di Crocetta, demolito da eventi bellici nell’ultimo conflitto. Né vi è ragione che si riferisca alla Villa Cacciari in Via Nuova. Si può ragionevolmente ritenere si trattasse di un vecchio palazzo, anche questo distrutto nella seconda guerra mondiale. Esso si trovava a 300 metri a nord dell’oratorio lungo il corso del Sillaretto seguendo una strada ora diventata cavedagna; lo chiamavano Palazzòn dal béss. Di tale edificio ho visto solo il rudere imponente, certamente importante; lo confermavano la qualità del parco con piante secolari e di pregio e il ponte che lo collegava alla strada. Tra l’altro lungo la via che da Ercolana portava alla villa furono rinvenuti i resti di un grande muro in pietra, inspiegabili in quel luogo.

Nel periodo di mia permanenza, la via Ercolana appariva una strada di campagna ad uso della proprietà agricola Dallari. In realtà tanti segni dicevano che non era sempre stato così. A lato dell’oratorio emergevano ogni anno tracce inconfondibili di un antico camposanto. Lungo la via Ercolana, duecento metri prima della chiesina, era eretta una stele, purtroppo distrutta, la cui imponenza ricordava o un evento di rilievo o il passaggio significativo di pellegrini. A est della chiesa, lungo la linea ferroviaria Bologna – Massa Lombarda, si trovava inspiegabilmente, in aperta campagna, un casello ferroviario con abitazione, che evidenziava l’antico transito intenso di uomini e mezzi. Del resto a ben guardare ancora adesso il complesso viario da Ganzanigo a Fantuzza si individuano i segni di una remota rilevanza. L’antica chiesa di Ganzanigo era rivolta a ovest e vi si accedeva da via Stradellaccio; intorno alla stessa chiesa, di origine monastica, sorgevano edifici importanti per il governo e per servizi collettivi. Ganzanigo possedeva un castello da tempo scomparso, che non corrispondeva con il sito della villa romana di Muzzaniga. Lungo via Bottrigara si trovano ancora le dimore padronali dei Dardani e dei Serra, e più a est si notava, non tanti anni fa, un edificio con tracce di interesse architettonico e decorazioni murali e presso Via Nuova si trova tutt’ora Villa Cacciari, con ambienti dipinti nella parte nobile e con un’osteria. Proseguendo per via Ercolana, oltrepassato l’oratorio, si giungeva alla vecchia via San Vitale, e su questo tratto si trovava il palazzo dei nobili bolognesi Fantuzzi (da cui il nome della frazione) distrutto da eventi bellici, in cui dimorò a lungo Giulio Cesare Croce, autore del Bertoldo. Infine si giunge alla chiesa di Fantuzza e al congiungimento con Sesto Imolese. Sulla via Ercolana e a Fantuzza rimangono due ponti stradali i quali, per portata e fattura, testimoniavano il ruolo della strada.

In questi luoghi gli Hercolani svolsero un ruolo di rilievo, prima e dopo la vicenda del “feudo”, fino agli inizi del ‘900; una foto dell’epoca li ritrae davanti alla chiesa con don Lodovico. Vale ricordare che era stata progettata la possibile utilizzazione del Sillaretto come canale navigabile. Il progetto prevedeva di collegare il porto di Buda con il castello di Medicina, tale progetto venne abbandonato e in sua vece si realizzò, al posto della preesistente strada detta “dei Zaghi”, quella attuale chiamata appunto “Via Nuova”. Infine va ricordato che il principe Filippo Hercolani si era impegnato nella politica medicinese dopo l’Unità d’Italia. Nobile non conservatore, merita rammentare il suo forte impegno perché la linea ferroviaria Bologna - Medicina fosse allungata fino a Massa Lombarda e così con Ravenna. La stessa stazione di Via Nuova fu concepita e realizzata in modo da servire tutta l’area a nord del Medicinese. Con questa sua conformazione e potenzialità consentì, negli anni ’20, la sua utilizzazione per trasferire a Campotto il materiale necessario per costruire gli impianti di bonifica del Saiarino. Una rotaia con carrelli a scartamento ridotto partiva da questa stazione raggiungendo Campotto. A fianco della stessa stazione, in anni più recenti, fu costruita una grande distilleria operante fino agli anni ’60-’70.

In questo ambiente ho vissuto i miei primi 18 anni fino all’autunno del 1955 per trasferirmi nella casa di nostra proprietà a Ganzanigo. Il ricordo più intenso di questi primi anni: una grande atavica miseria. La fame, una compagnia che non mancava mai. E chi lo direbbe oggi come oggi che in un contesto così duro come quello d’allora fossimo tutti accomunati da una grande amicizia, solidarietà e senso della comunità. Nessun abitante della borgata si professava fascista o ostentava di esserlo, inoltre a tutti i ragazzi della mia età non fu mai proposto di indossare la divisa da Balilla. Dicevano che ciò dipendeva dall’essere molto poveri; dubito che dipendesse solo da quello. In un recente saggio sulla scuola elementare del Medicinese degli anni ’30 (pubblicato nel presente numero di Brodo di Serpe), il curatore Marco Costa, desumendolo dai diari dei maestri, annota: “Il coriaceo conservatorismo contadino faceva sì che i genitori fossero molto restii ad iscrivere i propri figli nelle fila dei Balilla e delle Piccole Donne Italiane”. Mi chiedo: si trattava solo di conservatorismo, della miseria o di un rifiuto del fascismo, sentimento radicato nell’animo del popolo, in particolare nel mondo padano tra i braccianti e le mondine? La stalla dei Venturini era il luogo per riscaldarci durante i rigidi inverni. Il proprietario di tutta l’azienda agricola era Dante Dallari, persona dal carattere duro, legato al fascismo anche se di questo movimento non fu protagonista di primo piano, anzi mantenne – compresa la moglie Ida Cacciari – un profilo sufficientemente basso rispetto al regime. Diversa la posizione del cavalier Emilio Cacciari, caporione e bastonatore fascista della prima ora, podestà del Comune, capo indiscusso del fascismo fino ai primi anni ’30. In quegli anni lasciò Medicina per Bologna e Modena e risulta abbia aderito alla Repubblica Sociale. A fine guerra si stabilì nel modenese dove morì di vecchiaia. Sul finire della guerra, la Villa Dallari, costruita negli anni ’30, fu requisita dai tedeschi per farne un ospedale militare per feriti terminali. Il Dallari trasferì nella chiesa dell’Ercolana molti suoi averi, tra i quali una quantità notevole di insaccati ed altre leccornie.

L’inverno del 1944-45 fu terribile: il fronte a pochi chilometri sul Senio e i prodotti agricoli rimasti incolti. La canonica dell’Ercolana si affollò di altri abitanti del luogo e di una famiglia sfollata da Bologna. Per un certo periodo anche militari tedeschi vi risiedettero: la fame era tremenda. Malgrado ciò nessuno ebbe la tentazione di appropriarsi del tesoro alimentare dei Dallari; mangiammo molta cipolla bollita ma con le carni di nostra proprietà. Mi domando ancora oggi il perché di quel comportamento; forse la sacralità del luogo, rubare in chiesa sembrava peccato grave. Più probabilmente guidarono quelle persone gli insegnamenti diffusi del socialismo orientati a difendere i propri diritti ma anche seguire i propri doveri. Una cosa erano le lotte sociali, altro sarebbe stato derubare il padrone. Passata la guerra ripresero in pieno le lotte sindacali anche contro il proprietario Dante Dallari, ma non mancò mai il rispetto per la persona e la sua famiglia. La scuola si trovava a Via Nuova dove funzionavano le prime tre classi delle elementari; la quarta e la quinta erano a Ganzanigo, che tutti raggiungevamo a piedi: oltre sei chilometri tra andata e ritorno. Mentre eravamo a scuola a Via Nuova ricordo in particolare la prima incursione alleata; in quella circostanza lungo la strada fu mitragliato un carro carico di fieno al cui conducente furono amputate entrambe le gambe. Terminata la scuola elementare si poteva proseguire - forniti però di bicicletta - a Medicina, con le tre classi di Avviamento Professionale o, previo esame di ammissione, con la Scuola Media; io fui mandato all’Avviamento, altri alle Medie: una odiosa discriminazione sociale, superata solo negli anni ’60. Personalmente non mi riuscì di terminare le scuole di avviamento; al secondo anno fui bocciato, finii così al lavoro in risaia con le mondine. La miseria era tanta, e un piccolo reddito aggiuntivo faceva comodo.

Inizia così la carriera di bracciante agricolo: era tipica per quasi tutti i ragazzi della zona. Fin dall’inizio alcuni pensarono, forse a torto, che possedevo qualche qualità. Fui così subito individuato per assolvere ruoli di responsabilità. Diventai caporale, cioè coordinatore e rappresentante presso il datore di lavoro dei colleghi braccianti. A fine settimana mi recavo a incassare le paghe, che il sabato sera distribuivo agli altri presso il circolo di Via Nuova. Di quel periodo conservo un lieto ricordo di tanti cari compagni e amici di ogni età che mi vollero bene. E ricordo la neve copiosa di quegli anni quando si andava, dalla sera all’alba, a rimuoverla a Bologna. Resta da dire sul ruolo avuto dalla località di Ercolana al passaggio del fronte della seconda guerra mondiale. Il maestro Luciano Trerè nella sua rievocazione di quei giorni descrive a lungo quella giornata, ma non indica dove il fronte attraversò il Sillaretto dalle parti di Fantuzza-Ercolana. Poco dopo l’alba, all’orizzonte di Fantuzza, si presentò il fronte alleato in avanzata: una schiera imponente di carri armati, che nascondevano i soldati appiedati. Il cielo era oscurato da ogni tipo di aereo. Così avanzavano gli alleati mentre gli ultimi tedeschi abbandonavano a piedi il territorio. La linea dei blindati si fermò sull’asse di Via Nuova ed in serata sparò a lungo verso ovest, probabilmente per colpire la linea difensiva sul Gaiana. Verso sera fu spianato davanti all’Ercolana un immenso piazzale che in poche ore fu riempito di ogni utile rifornimento. Quella notte anche la canonica dell’Ercolana si riempì di soldati tra cui alcuni di colore, molto gentili e premurosi in particolare con i bambini. Fu la prima volta che assaggiai vero cioccolato, me lo diedero i nostri liberatori.

Più tardi, raggiunti i 18 anni, ci trasferimmo nella nostra casa di Ganzanigo. Cambiò totalmente la mia vita. Rimase però sempre forte il ricordo di quegli anni: l’amicizia con uomini, donne e altri ragazzi che mi aiutarono a diventare grande. L’Ercolana fu dunque, e rimane, la mia università.

Renato Santi

Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 10, dicembre 2012.