Schede
In Certosa è facile notare simbologie massoniche che ornano epigrafi e monumenti in modo esplicito o velato, secondo il coevo clima politico, più o meno favorevole alla Libera Muratoria.
Le più antiche memorie della Certosa presentano un'assenza di emblemi cristiani, ed invece la massima esaltazione di una cultura laica e classica, con riferimenti archeologici, poiché il monumento veniva considerato messaggio di cultura e virtù individuale, rivolto alle future generazioni. Tre le tipologie di sacelli: la tomba dipinta, unica in stile egizio, a Gerolamo Legnani; quella in scultura di stucco a tutto tondo, a Pietro Persiani; la sobria lapide incisa in marmo carrarese, al celebre architetto Filippo Antolini. La Legnani è assai particolare per l'impostazione architettonica e le scelte decorative che richiamano l'antica ritualità egizia proposta dal Cagliostro, con simboli ricorrenti: la squadra, il compasso, l'archipendolo, il maglietto e le due colonne salomoniche. In relazione a ciò, è possibile ricostruire un quadro della presenza massonica nel periodo neoclassico in uno dei cimiteri più completi e artisticamente validi d'Italia, senza considerare l'ambiente carducciano e pascoliano di fine ottocento.
Nel XVIII secolo Bologna, seconda città dello Stato Pontificio, era crocevia del Grand Tour, che tanti stranieri compivano per soddisfare istanze culturali nate dallo studio dei classici, dell'antiquaria e dall'amore per l'arte. Costoro, spesso legati alla cultura illuministico-massonica, si adattavano sovente a disagi per compiere un “pellegrinaggio profano”, che conduceva alla fonte di un luminoso sapere: erano infatti certi di trovare conferme ai loro quesiti, come testimoniò uno dei tanti nordici illustri giunto in città, il danese Federich Münter (1761-1830), archeologo, filosofo, orientalista, professore dell'Università di Copenaghen e poi suo vescovo protestante (1808), che ne lasciò testimonianza. Già alcuni anni prima, nel 1753, Carlo Goldoni ideò la commedia a soggetto massonico Le donne curiose, immaginando che i personaggi agissero nella “dotta Bologna”, città in cui sapeva esistere presenze muratorie. Goldoni annoverava fra i suoi amici a Bologna l'Albergati e, a Venezia, mr. Smith, noto collezionista e protettore di artisti, anche bolognesi (si veda la serie delle Tombe allegoriche d’illustri personaggi inglesi).
In quel periodo esisteva, nella Bologna frequentata da un altro celebre veneziano, il conte Francesco Algarotti, una Fratellanza detta degli Audaci, che sembra avesse caratteri legati all'originaria tradizione latomistica. Questo celebre e dotto massone, amico degli illuministi francesi e intimo di Federico II di Prussia, nei suoi soggiorni in città ebbe certamente contatti con fratelli. Il petroniano Mauro Tesi, dotato di mano felice, seguì le idee del conte censore, che utilizzava la valentia del giovane quadraturista, per riportar “ordine” nelle quinte architettoniche e negli ornati, divenuti per opera dei Galli Bibbiena e dei loro seguaci, fantasiosa cozzaglia di scalinate, colonne, cimase con volute esasperate, dichiarate in genere Palazzi o Cortili regi. Queste se annullavano, nel loro insieme, le pareti e i soffitti dei saloni, in realtà, a lungo andare, superato lo stupore iniziale, producevano stordimento nell'osservatore. Proprio all'Algarotti e al suo alter ego, Tesi, si è debitori di un ritorno ad un più sobrio stile basato sull'ordine dorico-tuscanico, sopratutto dopo che il veneziano aveva probabilmente apprezzato le prospettive architettoniche dipinte dal manierista cinquecentesco Tibaldi (cappella Paleotti, nella chiesa agostiniana di S. Giacomo e nella chiesa di S. Girolamo della Certosa), per altro realistiche e correttamente ideate nella sobria eleganza e nei principi architettonici. A lui si deve inoltre l'idea di monumento funebre bolognese e questo lo si evince dai numerosi bozzetti realizzati per il suo stesso sacello, che avrebbe dovuto eseguire, post mortem, il Tesi.
Più tardi, al volgere del Secolo dei Lumi, alcuni bolognesi, come il celebre erudito Ludovico Savioli e il marchese Luzio Spada Bonaccorsi, appartennero a logge massoniche italiane, ma non petroniane, mentre Alessandro Savioli Vorbelli ricoprì alte cariche negli Illuminati di Baviera, che furono oggetto di una pubblica denuncia. È verosimile che prima dell'arrivo dei francesi, nel 1796, vi fosse in città qualche aggregato massonico, come Luigi Zamboni, forse iniziato a Marsiglia, considerato quasi una “scheggia rivoluzionaria”, come si definirebbe oggi. La massoneria petroniana fu legata all'obbedienza francese, come può essere attestato dall'iniziazione del notaio bolognese Antonio Marchi, che per sua sfortuna venne sorpreso ad Imola, alla presenza di sette massoni francesi ed altri, invece, italiani. Altri bolognesi attivi furono il marchese Annibale Paleotti e il principe Astorre Hercolani. Con l'avvento della Repubblica Cispadana e poi Cisalpina, è cosa certa che i democratici petroniani si riunissero in officine massoniche, seguiti nascostamente dalla polizia, che riceveva o forniva rapporti (1802), e di questo dava notizia anche un articolo di Emilio Orioli sul Caffè degli Stelloni.
Nel 1798 sorse a Bologna l'importante Società dei Raggi, che si espanse nell'Italia settentrionale, con l'intento di liberare la patria da tutti gli stranieri. Assunse il motto “L'Italia farà da sé”. Dopo Marengo, nella nuova realtà politica, i Raggi si sciolsero e dalle ceneri ebbero origine i Guelfi, sempre con un programma di libertà e indipendenza nazionale. Pietro Persiani era invece iscritto nell'Amalia Augusta, all'Oriente di Brescia. Fu nel 1802 che il futuro Segretario di Stato del Regno d'Italia (1805) Antonio Aldini, già affiliato al Real Eugenio (Milano), fondò in Bologna l'associazione del cosiddetto Casino degli Amici e proprio dalla fusione di quest'ultima con gli ex affiliati ai Raggi, si formò una società segreta legata alla Carboneria, con gran venerabile il conte Paolo Borelli e segretario Pellegrino Rossi, futuro ministro del governo pontificio. Concludendo queste informazioni utili per la lettura dei monumenti neoclassici, ricordiamo che la prima vera loggia fu inaugurata in Bologna il 5 giugno 1807, nelle vicinanze di porta Galliera, con titolo associativo Gli amici dell'Onore all'obbedienza del Grande Oriente d'Italia, sotto la grande maestranza milanese del viceré Eugenio Beauharnais.
Vincenzo Lucchese
Testo tratto da: R. Martorelli (a cura di), 'La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia', catalogo della mostra, Tipografia Moderna, Bologna, 2009. Per approfondire le voci del 'Dizionario dei simboli funerari' cliccare qui.