Schede
Il 5 ottobre 1911, a pochi giorni dall’entrata in guerra contro la Turchia, in un clima di grande partecipazione popolare, l'Ambulanza numero 47 partì dalla caserma Pietramellara di Bologna per la Libia, diretta in zona di guerra. Al personale dell’ambulanza, in gran parte composto di bolognesi, il presidente del Comitato regionale della Croce Rossa Italiana Antonio Modoni aveva affidato non soltanto una missione umanitaria, ma anche un incarico, per così dire, di valenza culturale: quello di raccogliere e di rispedire in Italia oggetti e cimeli della guerra appena avviata.
L’obiettivo di Modoni era quello di donare a sua volta gli oggetti raccolti al Museo del Risorgimento, in modo da costituire una sezione espositiva speciale dedicata all’impresa coloniale appena iniziata, che si affiancasse a quelle dedicate alle varie fasi della redenzione nazionale. Nei mesi successivi, parallelamente alle operazioni militari, proseguì quindi anche la ricerca e la raccolta di oggetti e documenti da parte dei militari incaricati da Modoni. Così il 6 giugno 1912 questi poteva rivolgersi direttamente al Sindaco Nadalini offrendogli “tutti i ricordi ed i cimeli che le tre squadre della Croce Rossa bolognese mi offrirono in nome della 47^ Ambulanza che fu per otto mesi agli avamposti”. Il direttore del Museo del Risorgimento Fulvio Cantoni intervenne sulla questione e rilanciò la posta, proponendo al Sindaco di fondare al più presto a Bologna un “Museo delle Guerre d’Africa”, connesso al Museo del Risorgimento, che tra l’altro sarebbe stata la prima istituzione del genere in Italia. Nel 1913 la Giunta comunale accettò finalmente la donazione dei cimeli. A causa della mancanza di locali adeguati ove collocare i reperti, la consegna effettiva avvenne soltanto nel 1914. Nello stesso anno il materiale fu spedito a Roma per l'Esposizione della Croce Rossa che si svolse a Villa Borghese, e per l’occasione il personale del Museo redasse un catalogo a schede e compilò i cartellini con le didascalie. La raccolta donata al Museo e inviata a Roma si componeva di una “sezione militare” che comprendeva poco più di 250 cimeli, e di una “etnografica” che ne comprendeva 46.
Nella sezione militare la presenza più numerosa era composta dai ritratti fotografici di militari italiani caduti e feriti e di ufficiali superiori. Non mancavano fotografie riproducenti “tipi” e paesaggi arabi, turchi ed egiziani, spesso prelevate dalle case libiche bombardate e abbandonate dagli abitanti. Tra i cimeli di guerra veri e propri, figuravano diversi tipi di armi e di munizioni (shrapnel, granate, proiettili per fucili, antiche palle di cannone…), appartenenti sia alle forze regolari turche, sia a combattenti irregolari libici; queste ultime erano spesso decisamente antiquate, come la pistola a luminello “strappata a un arabo” da un militare italiano “in una lotta corpo a corpo a Gargaresc il 10 aprile 1912”, fabbricata in Belgio negli anni ‘40 del XIX secolo e giunta in Africa per chissà quali vie, oppure il tromboncino “trovato nascosto sotto terra in un tugurio arabo dopo la battaglia di Derna il 3 marzo 1912”, che presentava un meccanismo a pietra focaia. Particolare emozione dovette destare la barella da campo su cui era stato adagiato un artigliere italiano “ferito mortalmente al capo da una granata turca nel forte "Lombardia" (Derna) nel bombardamento del 21 luglio 1912”, come pure due falcetti per uso agricolo che “furono adoperati dagli arabi a dilaniare i nostri morti a Sciara Sciat il 23 ottobre 1911”. Non mancavano cimeli provenienti dal fronte secondario del Mar Rosso, come una bandiera dello Sceicco Idris, utilizzata da marinai turchi, i quali avevano falsificato le insegne dello Sceicco – alleato dell’Italia contro i turchi – per ingannare le navi italiane. Dal fronte secondario dell’Isola di Rodi provenivano due tra i cimeli ritenuti all’epoca più interessanti: un cippo-altare rotondo in marmo di età tardo ellenistica (II-I sec. a.C.) e un grande stamnos (recipiente per i liquidi) risalente al VI sec. a.C. Ascritti alla sezione etnografica, essi in realtà erano reperti archeologici, e il fatto che si trovino in questa raccolta costituisce un’ulteriore testimonianza del nesso che si venne a costituire, in Italia come altrove, tra ricerca archeologica ed espansione coloniale. Di carattere più precisamente etnografico erano alcuni ornamenti femminili – orecchini, collane, spille – e diversi oggetti di uso comune – rasoi, forbici, calzature… – che da un lato valevano a documentare l’arretratezza dei popoli conquistati e a giustificare così la finalità civilizzatrice della guerra intrapresa, dall’altro evocavano la lontananza esotica di queste terre. Da questo punto di vista non mancavano reperti, per così dire, “naturalistici” come i due piccoli camaleonti catturati nell'oasi di Tripoli dai soldati italiani e conservati in una bottiglia contenente alcool.
Il 1914 segna il momento di maggior gloria per la raccolta. I Re d'Italia arrivarono personalmente in visita all'Esposizione e Modoni stesso fece loro da guida. Quello stesso anno, però, il progetto di costituire un Museo delle Guerre d'Africa venne abbandonato e, al rientro a Bologna, la suppellettile venne “rinchiusa in sei casse”. Quello stesso anno, poi, scoppiò il primo conflitto mondiale, e la donazione venne dimenticata per lungo tempo.
Verso la fine degli anni Ottanta vennero identificate alcune delle casse e fu possibile recuperare poco più di un terzo della raccolta e inventariarne gli oggetti. Nello stesso periodo, nell’ambito del riordinamento complessivo dei fondi archivistici del Museo vennero ritrovate e riordinate insieme – si trovavano infatti sparse in punti diversi dell’archivio – quasi tutte le schede del catalogo redatto nel 1914. Dal 2021, infine, gli oggetti e le fotografie della raccolta sono presenti nel Catalogo del patrimonio culturale dell'Emilia-Romagna - PatER.
Otello Sangiorgi, agosto 2022.