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Eccidio di Guarda

Eccidio 5 Ottobre 1914

Schede

Nel 1913 la Federazione dei lavoratori della terra di Bologna decise di organizzare un’agitazione agraria per rinnovare il contratto provinciale dei coloni e conquistare aumenti salariali per i braccianti i quali non avevano un contratto provinciale.
Le due categorie, da sempre divise e spesso in contrasto, avevano raggiunto un alto grado d’unità politico-sindacale, come dimostrano vari episodi sindacali, a cominciare dalla vittoriosa vertenza che, tra il 1909 e il 1912, si era svolta a Molinella nell’azienda di Giacomo Zerbini.
Dal momento che non tutti i dirigenti della Federterra erano convinti del grado d’unità tra le due categorie sul piano provinciale, fu deciso di sperimentare, nel 1914, a Molinella una vertenza di tipo nuovo.
In caso positivo, nel 1915 sarebbe stata proclamata su scala provinciale, ad esclusione dell’Imolese le cui caratteristiche erano diverse da quelle del Bolognese.
Nel gennaio 1914 quasi tutti i coloni di Molinella mezzadri, affittuari ecc. - inviarono una lettera ai rispettivi “concedenti”, i padroni, per ricordare che il capitolato colonico era scaduto e che s’imponeva il rinnovo. Il nuovo, aggiungeva la lettera, dovrà essere concordato tra il proprietario e il dipendente, ma alla presenza di un rappresentante della Lega.
Da sempre - salvo le eccezioni - il patto era concordato tra le parti, spesso senza un documento scritto.
Nel 1908 la Federterra era riuscita a strappare alla parte padronale un capitolato colonico provinciale scritto, che rappresentava il quadro entro il quale le parti avrebbero dovuto trovare un accordo, in base alle caratteristiche del fondo. La grande novità contenuta nella lettera del 1914 consisteva nel fatto che il colono - come prevedeva la legge - voleva essere assistito da un suo rappresentante di fiducia: la Lega.
Gli agricoltori - che non avrebbero eccepito se il colono si fosse fatto rappresentare da un avvocato o da un agronomo - non vollero incontrarsi con la Lega per motivi politici. Anche se nel 1908 avevano accettato di firmare con la Federterra il capitolato provinciale, non volevano avere rapporti con la Lega a livello comunale o, meno che mai, aziendale.
Gli agrari risposero ai rispettivi coloni che prendevano atto della lettera, considerandola come una dichiarazione unilaterale d’escomio. Secondo la loro interpretazione, il colono aveva manifestato l’intenzione di abbandonare il fondo, mentre si era limitato a chiedere la trattativa per rinnovare il capitolato. Di conseguenza, gli agrari presero atto che il colono -come prevedeva il capitolato - avrebbe lasciato il fondo entro il 31.10.1914 e non iniziarono la trattativa per il rinnovo del contratto.
Il passo era molto importante perché solo l’apertura della trattativa avrebbe congelato la procedura d’escomio. Dopo di che - com’era sempre avvenuto se fosse stato trovato un accordo il colono sarebbe rimasto. In caso contrario, avrebbe lasciato il fondo.
Dopo avere ricevuto la lettera del proprietario, i coloni - in base al capitolato - erano divenuti automaticamente “coloni uscenti”. Per questo, da quel momento, avrebbero dovuto fare solo i lavori di loro spettanza. Gli altri, quelli di parte padronale, sempre a norma di contratto, sarebbero dovuti essere fatti dal “colono entrante” o dall’agrario, assumendo operai, se non li avesse voluti fare personalmente.
Quando gli agrari cercarono nuovi mezzadri, per sostituire quelli che se ne sarebbero andati, non trovarono una famiglia disposta a entrare nel fondo. I mezzadri si erano accordati di non accettare queste richieste, se non attraverso la Lega.
Quando interpellarono i braccianti, per fare i lavori spettanti al “colono entrante”, si sentirono opporre un nuovo rifiuto. In quel momento gli agrari ebbero la conferma della raggiunta unità tra coloni e braccianti.
Era politicamente molto importante che i braccianti - che solitamente non facevano più di 100-120 giornate l’anno rifiutassero un lavoro straordinario e ben pagato, pur di non rompere l’unità antiagraria.
I proprietari raccolsero la sfida e si dichiararono pronti a perdere il raccolto ma erano tutelati dall’assicurazione anti-sciopero - pur di rompere l’unità contadina. In ogni caso, non avrebbero mai trattato con la Lega considerata «giuridicamente inesistente».
La vertenza si protrasse per tutta la primavera e l’estate, con le parti ferme sulle rispettive posizioni. Parte del raccolto - quella della proprietà - andò perduta perché i coloni applicarono alla lettera le norme del patto.
Il 4.10.1914 il prefetto di Bologna telegrafò a Giuseppe Massarenti*, sindaco di Molinella, che gli agrari erano disposti a trattare con la Lega.
Il telegramma non fu spedito da Bologna a Molinella perché la sera del 4, una domenica, al momento della trasmissione, l’ufficio postale di Molinella era chiuso.
Il prefetto -come accerterà un’indagine del direttore delle poste - era stato informato che il telegramma non era partito. Contemporaneamente il prefetto autorizzò l’Associazione agraria provinciale a inviare a Molinella, il giorno 5.10.1914, una squadra di “liberi lavoratori” reclutati nel Veneto.
Avrebbero dovuto eseguire in una tenuta parte dei lavori non fatti dal “colono entrante”, per riaffermare il diritto dei proprietari di servirsi di manodopera non “organizzata”, anche se questo fatto infrangeva i concordati sul lavoro bracciantile.
La notizia dell’arrivo dei “crumiri” fu appresa a Molinella la sera del 4. La mattina dopo centinaia di braccianti e mezzadri bloccarono la strada a Guarda (Molinella) lungo la quale, provenienti da Bologna, sarebbero dovute arrivare le auto che trasportavano gli operai veneti.
Il gruppo era guidato da Alberto Donini, segretario dell’Associazione agraria, il quale era armato di rivoltella, come due suoi collaboratori.
La colonna era preceduta e seguita da carabinieri. Le auto - mentre la scorta dei carabinieri era sparita - furono fermate dai lavoratori, armati di bastoni, nei pressi del passaggio a livello della ferrovia secondaria. Si ebbe uno scontro durissimo, al termine del quale 4 “liberi lavoratori” restarono uccisi.
I molinellesi rimasti feriti nello scontro non si fecero medicare, per non essere identificati.
Alle 8, un paio di ore dopo lo scontro, a Massarenti giunse il telegramma del prefetto. Tremila militari, giunti da Bologna, misero in stato d’assedio Molinella. Furono arrestati 121 lavoratori, dirigenti sindacali e amministratori comunali. Massarenti evitò l’arresto rifugiandosi nella Repubblica di S. Marino, dove fu raggiunto da altri sindacalisti.
Gli agrari sfrattarono 14 famiglie coloniche, che si erano particolarmente distinte nel corso della vertenza, e imposero ai mezzadri un capitolato colonico molto più arretrato di quello scaduto. Ai braccianti imposero tariffe inferiori a quelle precedenti e non applicarono i patti firmati sul collocamento della manodopera.
La magistratura denunciò 240 persone. Nel 1916 ne furono rinviate a giudizio 56 (38 delle quali detenute) per omicidio e tentato omicidio. Tra i 56 solo 2 erano stati riconosciuti dai testimoni.
Tutti i lavoratori rinviati a giudizio e anche quelli assolti in istruttoria furono internati nell’isola di Capraia (LI) sino al 1919. In quell’anno furono amnistiati, compreso Massarenti, e liberati.
Nell’estate 1919 la Federterra aprì una vertenza a Molinella per chiudere quella del 1914, rimasta aperta dopo l’eccidio di Guarda.

Fu chiesto e ottenuto:
1) il pagamento di 270 mila lire quale indennizzo del danno subìto dai lavoratori per il mancato rinnovo del patto colonico e la violazione dell’accordo sul collocamento;
2) la riassunzione dei 14 coloni sfrattati,
3) l’annullamento del patto colonico imposto dagli agrari nel 1914 e la firma di uno nuovo;
4) il ritorno al “collocamento di classe”, cioè gestito dalla Lega. Le 270 mila lire - una “taglia”, protestarono gli agrari non furono divise tra i lavoratori, ma versate al comune di Molinella per la costruzione di un asilo infantile in località Alberino. [O]