Schede
Dopo l’occupazione di Firenze da parte degli Alleati e lo sfondamento delle difese lungo l’Appennino tosco-emiliano, nell’agosto-settembre 1944, il controllo della zona di Monte Sole è diventato per i tedeschi di vitale importanza per la tenuta del fronte e per assicurarsi un’eventuale ritirata.
Con gli Alleati a pochi chilometri di distanza, i tedeschi considerano ancora più pericolosa la presenza partigiana e perciò attuano una vasta operazione di rastrellamento contro la Stella Rossa. L’operazione, che le fonti tedesche definiscono di annienatamento, costa la vita a centinaia di civili in gran parte donne, vecchi e bambini. A metà settembre 1944 arriva nelle vicinanze del passo della Futa la 16a divisione corazzata granatieri delle SS Reichsführer-SS, comandata dal generale Max Simon e di cui fa parte il 16° reparto esploratori corazzato SS comandato dal maggiore Walter Reder. Reder alloggia a Rioveggio e ha a disposizione quattro compagnie. La scelta di questa particolare divisione per la lotta antipartigiana ha rilevanti ripercussioni sulla particolare ferocia dell’azione condotta a Monte Sole. La divisione, infatti, che aveva perso al fronte oltre 4.500 uomini, all’inizio del 1944 era già stata impiegata nella lotta antipartigiana in Istria, dove aveva compiuto diversi sanguinosi rastrellamenti, e nell’estate 1944 si era macchiata di orrende stragi in Toscana. Il 28 settembre 1944 il maggiore Loos, addetto allo spionaggio e al controspionaggio (Ic) della divisione, ordina a nome di Simon la lotta contro la Stella Rossa tra le valli del Setta e del Reno. Reder riceve direttamente da Loos l’ordine di operazione. Rispetto al rastrellamento del 28 maggio 1944 il centro dell’azione di accerchiamento viene spostato più a sud, tra Monte Sole e Monte Termine; allo stesso modo, invece, vengono distinti i diversi settori da cui procedere.
Al reparto comandato da Reder viene affidato il compito di penetrare al centro della zona partigiana muovendo dalla valle del Setta con direzione San Martino, Monte Sole e Monte Caprara, ma all’azione partecipano con funzioni di appoggio e di contenimento anche altre unità della divisione e reparti della Wehrmacht. A nord e a ovest vengono posti soprattutto i reparti che devono chiudere la zona: a nord, tra Monte Santa Barbara e Canovella, i soldati di riserva della 16ª divisione corazzata granatieri; a ovest, a Sperticano, spezzoni del reggimento di contraerea 105; a Sibano e Pioppe vengono schierati i reparti del battaglione dell’Est (battaglione 1059) e a sud-ovest diverse unità, come la compagnia di scorta della divisione e altri reparti della Wehrmacht. A sud e a est sono, invece, dislocati il reparto di artiglieria e il reparto esploratori entrambi della 16ª divisione corazzata granatieri. Altri gruppi della Wehrmacht, o furieri della 16ª divisione corazzata granatieri, si trovano a Vado e a Rioveggio, con il compito di chiudere la zona. A Canovella è posizionata una batteria antiaerea. I vari reparti vengono disposti in modo da stringere in un cerchio l’area considerata base dei partigiani, ovvero i monti Termine, Caprara e Sole. In quei giorni la montagna pullula di famiglie residenti e di sfollati che, dai fondovalle e da Bologna, hanno cercato rifugio su queste pendici ritenendole più al riparo dai bombardamenti e anche più al sicuro dai rastrellamenti tedeschi e fascisti, in quanto più impervie e all’interno della zona partigiana. Diversi testimoni hanno ricordato la presenza di italiani insieme ai tedeschi e sono note le responsabilità del fascismo locale nell’operazione. I partigiani si scontrano con i tedeschi in vari punti e cercano di allontanarsi il più possibile dalle abitazioni per raggiungere Monte Sole e Monte Caprara, dove sussistono migliori possibilità di difesa, ma la situazione è insostenibile e nella notte tra il 29 e il 30 settembre viene preparato lo sganciamento. La brigata si divide in vari gruppi che prendono destinazioni diverse. Il comandante Mario Musolesi, sorpreso a Cadotto all’inizio dell’attacco, è già morto da ore. La Stella Rossa si dissolve, ma i tedeschi proseguono nella loro azione di annientamento. La prova di un effettivo rapporto con i partigiani non è un elemento discriminante per l’uccisione: se da un lato, infatti, è stata accertata la presenza di una spia che ha guidato i tedeschi nelle singole case e segnalato i collaboratori dei partigiani, causandone l’immediata uccisione, dall’altro moltissimi casi dimostrano che tale identificazione non è necessaria per essere barbaramente trucidati. Circa l’attribuzione delle responsabilità nel massacro e i tempi della sua attuazione, la storiografia e la giurisprudenza hanno sottolineato in particolare il ruolo avuto dal reparto esploratori comandato da Walter Reder. Gli eccidi di Monte Sole, noti come “Strage di Marzabotto”, rientrano nella tragica e aberrante logica della guerra nazista, una guerra di sterminio nella quale non si fanno prigionieri, ma si elimina spietatamente il nemico. Non diversamente da quanto accaduto in altre zone d’Italia e dell’Europa occupata, anche a Monte Sole la definizione di nemico finisce con il comprendere tutta popolazione e la barbara uccisione di intere comunità si configura come una feroce punizione per quanti hanno in vario modo sostenuto la brigata o semplicemente sono venuti a trovarsi nell’area del suo insediamento e come un mezzo per eliminare le condizioni della sopravvivenza della Stella Rossa a Monte Sole.
I giorni più cruenti sono quelli dal 29 settembre al 5 ottobre 1944, durante i quali vengono uccisi nei modi più brutali 770 persone, partigiani e soprattutto civili. Nelle memorie dei partigiani sopravvissuti ai quei giorni infernali emergono un profondo senso di impotenza di fronte a tanta brutalità, l’angoscia per non aver potuto restituire l’aiuto che con generosità la popolazione di Monte Sole aveva dato alla Stella Rossa e il dolore di quanti non riescono a impedire il massacro di conoscenti e familiari. Il massacro colpisce in particolare donne, bambini e anziani, perché gli uomini validi, al sopraggiungere dei tedeschi, si nascondono nei boschi, temendo di essere rastrellati e deportati, e in ogni caso buona parte della popolazione maschile adulta di Monte Sole, in particolare gli uomini in età di leva, è da tempo assente dalle proprie case perché al fronte, rinchiusa in campi di prigionia, con i partigiani o comunque in condizione di clandestinità. È importante sottolineare che sino ad allora nella zona di Monte Sole i bambini e le donne, con rarissime eccezioni, non erano ancora stati coinvolti nelle rappreseglie e non erano peraltro note le stragi di civili già avvenute durante l’estate in Toscana. Nel corso degli eccidi le uccisioni avvengono con modalità raccapriccianti. A Cerpiano i bambini dell’asilo, insieme alle mamme e ai nonni, vengono rinchiusi in un oratorio dedicato agli angeli custodi e massacrati con il lancio di bombe a mano: alcuni muoiono solo dopo lunghe ore di agonia. A Casaglia i fedeli si riuniscono in chiesa attorno al parroco, ma i soldati li fanno uscire e li uccidono con raffiche di mitraglia e lancio di bombe a mano nel vicino cimitero. A Caprara un gruppo di persone viene rinchiuso nella cucina di una casa e massacrato con le stesse modalità. Gli abitanti di San Martino vengono fucilati nei pressi della chiesa e i loro corpi bruciati. Sul ciglio della canapiera della botte di Pioppe di Salvaro diverse decine di uomini vengono mitragliati e i loro corpi fatti trascinare via dalla piena del fiume solo dopo diversi giorni di esposizione. A Creda intere famiglie trovano la morte tra la stalla e il ricovero degli attrezzi agricoli, mitragliate e circondate dalle fiamme. Casa per casa, rifugio per rifugio, tutto il territorio viene battuto: gli abitanti di Monte Sole vengono braccati come animali e uccisi nei modi più violenti in decine di località situate tra le valli del Reno e del Setta e davanti ai pochi superstiti si dispiega un paesaggio infernale di corpi esposti nei quali si riconoscono interi gruppi familiari. Le case sono bruciate, gli animali uccisi o razziati, le scorte alimentari saccheggiate o distrutte; anche dopo i giorni più duri del massacro, dal 29 settembre al 5 ottobre 1944, i tedeschi continuano a uccidere, distruggere, requisire gruppi di uomini per i lavori forzati.
Gli eccidi di Monte Sole segnano la fase culminante della lotta contro le formazioni partigiane a ridosso della Linea Gotica. Prima di questa strage, eletta a simbolo nazionale per la sua inusitata efferattezza e per le dimensioni, altri indiscriminati massacri di civili si erano già verificati in Italia, come l’uccisione di 560 persone, anche in questo caso quasi tutte donne e bambini, consumata il 12 agosto 1944 a Sant’Anna di Stazzema (LU) da truppe appartenenti alla 16ª divisione SS, che operò anche a Monte Sole. Recenti ricerche hanno messo in luce decine e decine di massacri, anche meno noti o dimenticati, distribuiti su tutto il territorio italiano occupato dai tedeschi. Di questa tragica sequenza di sangue gli eccidi di Monte Sole rappresentano l’episodio finale e più terribile. Con estrema freddezza, negando il reale massacro della popolazione di Monte Sole e distorcendo le proporzioni dello scontro con la Stella Rossa, che con grande difficoltà affronta il rastrellamento, il bollettino di guerra tedesco del 2 ottobre 1944 parla di 718 “nemici” uccisi e di “accaniti combattenti nemici”, accomunando partigiani e civili inermi, combattenti per la libertà e bambini di pochi giorni. Il resoconto tedesco cerca di celare il massacro della popolazione, facendo riferimento a presunti ritrovamenti di documenti, depositi di armi e di munizioni, posti di medicazione, scorte di tessuti e così via, per rafforzare l’impressione che i morti siano partigiani o loro fiancheggiatori. Del tutto fuorviante è anche il riferimento ai duri combattimenti sostenuti, in quanto solo in alcuni punti si verificano scontri diretti con i partigiani e i tedeschi preferiscono lasciare la precedenza all’artiglieria senza prendere direttamente d’assalto le montagne. La deformazione del racconto raggiunge il culmine quando si afferma che la brigata, la cui consistenza è valutata in circa 900 uomini, è stata annientata. Certamente è stata distrutta la sua base logistica e i partigiani sono stati costretti ad allontanarsi, ma i corpi sul campo sono in gran parte quelli di donne, bambini e anziani.
Anche il quotidiano bolognese “Il Resto del Carlino” minimizza l’accaduto, sino al punto di smentire le “macabre voci” che si diffondono a Bologna circa il massacro consumanto a Monte Sole. Giorgio Pini, allora direttore del giornale, molti anni dopo ha riferito di aver pubblicato un trafiletto che smentiva la strage sulla base di informazioni menzognere fornite da ambienti tedeschi. Sarà la voce dei testimoni a restituire le reali dimensioni del massacro e delle distruzioni compiute a Monte Sole. Nei giorni immediatamente successivi agli eccidi i pochi superstiti si dedicano alla sepoltura di parenti e amici, molto spesso in fosse comuni. C’è chi ricorda di aver visto, dopo alcuni giorni, scritte dei tedeschi che autorizzano alla sepoltura. Poi a Monte Sole non rimane più nessuno. Dopo la strage l’area viene dichiarata dai tedeschi zona di guerra. I superstiti di Monte Sole e gli abitanti delle frazioni di Marzabotto non investite dagli eccidi, insieme a quelli di Salvaro, Carviano e Vado, vengono costretti a un’evacuazione forzata verso Bologna e i comuni della pianura. Nelle aree più prossime al fronte gruppi di profughi tentano di raggiungere la zona già controllata dagli Alleati e vengono raccolti e condotti a Grizzana e a Castiglione dei Pepoli, dove sono smistati verso i campi profughi di Firenze e Roma-Cinecittà. Il 5 ottobre 1944 i reparti alleati occupano Monzuno, ma per la liberazione di Monte Sole si deve attendere la primavera successiva. Per tutto l’inverno le truppe tedesche e gli Alleati si fronteggiano a ridosso dell’area colpita dal massacro. Lungo il sistema montuoso di Monte Sole e Monte Caprara i tedeschi costruiscono un reticolato di campi trincerati e minano la zona. Nell’aprile 1945 riprendono le operazioni militari, con un massiccio bombardamento di Monte Sole che consente agli Alleati di prendere la cima e di ricongiungersi a Marzabotto con le truppe che intanto avanzano sulla strada statale Porrettana. Il 19 aprile 1945 Marzabotto viene liberata.
Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 i caduti sono 770, ma nel complesso le vittime di tedeschi e fascisti, dalla primavera del 1944 alla liberazione, sono 955, distribuite in 115 diverse località all’interno di un vasto territorio che comprende i comuni di Marzabotto, Grizzana e Monzuno (e alcune porzioni dei territori limitrofi). Di questi, 216 sono i bambini, 316 le donne, 142 gli anziani, 138 le vittime riconosciute partigiani, cinque i sacerdoti, la cui colpa agli occhi dei tedeschi consiste nell’essere stati vicini, con la preghiera e l’aiuto materiale, a tutta la popolazione di Monte Sole nei tragici mesi di guerra e occupazione militare. Le maggiori responsabilità per le uccisioni vengono imputate nel dopoguerra al maggiore delle SS Walter Reder, ma la sua azione trova come contesto di riferimento l’inasprimento degli ordini contro la guerriglia partigiana emanati da Kesselring e tradotti in disposizioni di estrema crudeltà dai suoi generali, che considerano gli abitanti dei villaggi appenninici direttamente responsabili della presenza dei partigiani. Il coinvolgimento dei fascisti negli eccidi è provato da numerose testimonianze e la sentenza contro Lorenzo Mingardi e Armando Quadri definisce, almeno in due casi, le responsabilità fasciste nelle violenze consumate nel territorio di Monte Sole. Al tragico bilancio di morte dei comuni di Marzabotto, Grizzana e Monzuno occorre aggiungere i caduti per cause varie di guerra (bombardamenti, scontri al fronte, prigionia, malattie legate allo stato di guerra, scoppio di mine anche dopo la fine delle operazioni militari). Questi ultimi sono in tutto 721, che insieme ai 955 uccisi per mano dei tedeschi e dei fascisti raggiungono la terribile cifra di 1670 vittime*.
* Sono i numeri indicati nel riepilogo numerico a chiusura del volume, a cura del Comitato Regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto. Carta delle località e degli eccidi nazifascisti, edito da Ponte Nuovo (nuova edizione riveduta e ampliata, Bologna, 1995). I dati sono il risultato di un approfondito lavoro di ricerca condotto dal comitato e basato in prevalenza, ma non soltanto, sulla documentazione prodotta dai tre comuni (archivi dello stato civile, schede anagrafiche, schede di tumulazione dei resti delle vittime nel Sacrario di Marzabotto, elenchi elaborati in diversi momenti). Il rigore e la perizia con cui è stata condotta l’indagine hanno permesso, dopo cinquant’anni di ipotesi, di accertare in via pressoché definitiva il numero dei caduti negli eccidi e per cause varie di guerra. Nel presente testo, tuttavia, alcune informazioni raccolte durante la ricostruzione di singoli episodi hanno qualche volta portato a formulare ipotesi di cause di decesso diverse rispetto a quelle sinora accreditate. Di ognuna delle variazioni viene dato conto caso per caso, ma è bene richiamare da subito l’attenzione su questo tema perché possono essere notate qua e là piccole incongruenze tra i dati numerici complessivi riportati in Marzabotto. Quanti, chi e dove e il numero dei caduti che compare nelle schede delle singole località. In alcuni casi, inoltre, è stato variato il luogo di decesso, quando il cambiamento era supportato da testimonianze. Anche questi cambiamenti sono segnalati nelle schede e negli elenchi delle vittime delle singole località.