Schede
Leandro Arpinati (1892-1945), ex ferroviere anarchico di Civitella di Romagna, passato nel 1915 al fronte interventista (senza però andare in guerra; dopo la sua caduta in disgrazia sarà accusato di essere "un interventista non intervenuto"), riorganizza il Fascio bolognese, dopo la crisi del primo Fascio repubblicano nell'inverno precedente e la fuoriuscita degli interventisti democratici.
Da generico servizio d'ordine, il Fascio si trasformerà in una formazione politica dotata di un forte braccio armato.
Il nuovo statuto, approvato il 20 ottobre, prevederà l'uso della violenza e di mezzi inconsueti, affermando che "i fasci non sono legalitari ad ogni costo, nè illegaritari a priori". Nel volgere di pochi mesi i fascisti passeranno all'attacco delle sedi operaie e promuoveranno feroci spedizioni punitive contro i socialisti in tutta la provincia.
Il Fascio bolognese farà suo il motto di quello triestino: "Pronti ad uccidere, pronti a morire". Secondo l'amico Torquato Nanni, Arpinati sarà "il primo, il più metodico, il più violento, il più inesorabile degli squadristi bolognesi".