Schede
Il 16 giugno Conrad ordinò la sospensione dell’offensiva passata alla storia come Strafexpedition, nei giorni seguenti gli austriaci iniziarono a ripiegare su di una linea favorevole per resistere alla controffensiva italiana che andava delineandosi. Il giorno25 gli Imperiali tenevano le posizioni che, in Altipiano, collegavano il monte Maio al Mosciagh, salivano al monte Zebio - monte Zingarella - monte Colombara; poi le trincee salivano sul crinale del monte Ortigara, quindi scendevano in Valsugana. Di detta linea il monte Zebio divenne il perno difensivo perché con la sua mole sbarrava l’accesso alle vallate laterali dove comode strade avrebbero potuto facilitare l’attacco italiano. Dopo due giorni di prudente avanzata le pattuglie italiane arrivarono alle trincee nemiche sullo Zebio. Il giorno 27 giugno toccò alla Brigata Milano cercare di occupare le linee austriache, assieme a truppe della Barletta; l’azione fu arrestata dal fuoco delle mitragliatrici e di fucileria, agli italiani non rimase che ripiegare lasciando nuclei di osservazione tra le rocce a ridosso dei reticolati. Il 28 giugno si rinnovò l’assalto italiano, furono cercati varchi tra le difese passive antistanti le trincee, alcune posizioni avanzate vennero conquistate, senza che ciò diminuisse l’efficacia della sistemazione difensiva nemica attorno al monte Zebio. Nel mese di luglio si susseguirono alcuni pesanti attacchi italiani: il giorno 6 luglio, tentativo di sfondamento della linea austriaca tra lo Zebio e il Mosciagh, poi ancora l’11 luglio con assalto tra lo Zebio e l’Interrotto; entrambe le azioni non sortirono che modesti effetti. Finalmente il 24 luglio 1916 il Comando Supremo Italiano decretò la fine delle operazioni, la controffensiva italiana nella sostanza si era fermata contro la linea difensiva scelta dal nemico. Le perdite erano state ingenti da entrambe le parti, quasi 130.000 uomini fuori combattimento tra gli italiani e almeno 80.000 gli austriaci, tra morti, feriti, dispersi, prigionieri. Dal monte Mosciagh all’orlo nord dell’altipiano era schierato il XX° Corpo d’Armata italiano (gen. Montuori) con la 13a Divisione, brigate Perugia e Arezzo e la 28a Divisione, brigate Bari e Arno; secondo il concetto della difesa attiva ideato dal Comando Supremo queste truppe truppe avrebbero dovuto attaccare il Monte Zebio la cui conquista era utile al miglioramento delle operazioni contro il vero obiettivo, la bocchetta del Portule da cui affacciarsi sulla retrovia nemica del passo Vezzena. Le trincee italiane che fronteggiavano la Riegelstellung austriaca erano troppo vicine e precarie, composte da sacchi a terra, travi e massi, con spessore modesto e potevano essere prese d’infilata dal tiro proveniente dalla linea nemica ad una quota superiore; centinaia di soldati furono impiegati per migliorare il sistema stradale, le retrovie, vennero scavate trincee arretrate in funzione difensiva; alla fine di luglio si pensò anche al recupero dei cadaveri ormai in putrefazione, azione invocata spesso dal nemico per alleviare le condizioni igienico sanitarie del settore, di fatto venivano messe in atto piccole tregue di necessità. In agosto ripresero però i combattimenti, feroci per la vicinanza degli schieramenti. Il giorno 6 alle due del mattino le trincee che fronteggiavano il Monte Zebio, conquistate alla fine di luglio dal 14° Bersaglieri e in quel momento occupate dai fanti del 225° reggimento Brigata Arezzo, vennero scosse dal lancio di bombe a mano e torpedini a cui seguirono tiri di mitragliatrice e fucilate; i fanti italiani sorpresi dall’attacco improvviso furono assaliti da un reparto del 87° reggimento Stiriano uscito dalle linee che distavano poche decine di metri. In breve la trincea italiana si trasformò in un ammasso di rovine, i fanti che non erano morti furono catturati, le mitragliatrici rese inutilizzabili, le baracche incendiate dalle bombe lanciate dentro dagli Stiriani. Intervenne l’artiglieria italiana con tiro di repressione sulla trincea contesa, gli austriaci non potendo mantenerla si ritirarono; nella mattinata nuclei del 226° fanteria entrarono nella trincea, trovandola completamente sconvolta, evacuarono alcuni feriti, poi si ritirarono dietro ordine del comando di Divisione. Una nuova linea fu approntata alle spalle di quella inutilizzabile su terreno più difendibile, il lavoro fu ostacolato da una violenta sparatoria partita dalla parte austriaca che ben presto coinvolse i reparti italiani e andò avanti per diverso tempo.
Il giorno dopo si fece l’appello, nelle fila del solo 225° fanteria si contarono 34 morti, 42 feriti, 66 prigionieri. Fra questi il sottotenente Cesare Paleari che al ritorno in patria raccontò ciò che era accaduto: “ Alla fine di luglio il III battaglione del 225° prese posizione in alcune trincee del Monte Zebio. Una trincea nemica di ampiezza e lunghezza superiore ci stava dirimpetto, la distanza dalla nostra in alcuni punti era di circa 8 metri, verso il centro variava dai 20 ai 50. la guerriglia fatta dal nemico era sporadica e irregolare di giorno, intensa e costante la notte: guerriglia fatta di bombe più che di fucileria. Verso le due del giorno 6 agosto il bombardamento nemico e la nostra fucileria toccarono il parossismo, il momento si presentò difficile; io mi trovavo al centro della trincea da dove un sentiero si dipartiva comunicando col retrostante, il capitano uscendo dal suo posto passò davanti a me e mi rivolse queste parole:- sono ferito scendo al posto di medicazione-. Né di lui né del collega Pellegrini seppi più nulla.”
Paolo Antolini
Bibliografia: Giorgio Seccia, Monte Zebio dalla Strafexpedition alla vittoria finale 1916 – 1918, Chiari, Nordpress, 2007