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Scuola Lenzi di Bologna

1819 | 1854

Schede

Numerose furono le scuole private sorte in Bologna, specialmente nella prima metà dell'Ottocento; ma siccome gran parte di esse furono di poco conto, le nostre note sono limitate alle poche che ebbero una certa importanza per la loro durata e per il numero degli scolari. Queste, secondo quanto risulta dai documenti superstiti, furono le scuole del Minarelli e del Bellentani (ricordate nelle ultime due Strenne) e quella di Gaetano Lenzi. Va subito rilevato che costui fu un maestro diverso dal tipo tradizionale dei suoi colleghi, uomini per lo più modesti e intenti unicamente al loro lavoro. Come vedremo, egli nell'insegnamento, specialmente del latino, tentò un nuovo metodo con libri da lui composti; si occupò di studi extrascolastici meritandosi l'aggregazione all'accademia degli incaminati di Modigliana, all'Imperiale e Reale Società aretina di scienze lettere ed arti, nonchè a varie altre istituzioni del genere; collaborò ai settimanali di Bologna Il solerte, Il caffé di Petronio, Il raccoglitore, al Giornale letterario scientifico italiano e a L'amico della gioventù entrambi di Modena, a L'album di Roma e a L'imparziale di Faenza; compose poesie in italiano e in latino, fu in rapporto con notevoli personalità del tempo: insomma, volle evidentemente essere "qualcuno" e ce la fece!

Infatti, a 62 anni era nato a Bologna nel 1781 ebbe l'invito di scrivere la sua vita nel citato giornale faentino: il che mentre da una parte attesta la considerazione in cui era tenuto, dall'altra dimostra il suo desiderio di evadere dalla schiera comune. Secondo le notizie forniteci da lui stesso, fatte le scuole, che noi ora chiamiamo elementari e medie, sotto tre ex gesuiti, nel 1802 frequentò l'Università dove, terminato il biennio di matematica, si era iscritto a quello di Legge. Se non che, la perdita dei genitori lo obbligò ad interrompere gli studi e a trovarsi un impiego. Dapprima fu vice bibliotecario della biblioteca di Santa Lucia, poi ebbe l'incarico di scegliere dalle librerie dei soppressi ordini religiosi le opere che potevano servire ai Licei pubblici allora istituiti nel Regno d'Italia, infine decise di darsi all'insegnamento. In quel tempo, com'è noto, non c'era una scuola particolare per la preparazione dei maestri: chiunque poteva insegnare, purchè avesse superato un esame davanti ad una Commissione nominata dal governo. Il Lenzi, essendo capitato a vivere in un'epoca di rivolgimenti politici e di riforme, dovette sostenere ben cinque esami per esercitare l'insegnamento: il primo, durante il Regno Italico, per avere la patente; questa poi dovette essere rinnovata, mediante altri esami nel 1815 e nel 1818, sotto il restaurato governo pontificio; una quarta prova gliela impose il Card. Oppizzoni per insegnare il latino e l'umanità ed infine una quinta dovette subirla nel 1825 in forza della bolla "Quod Divina Sapientia". Cominciò l'insegnamento a 27 anni nella scuola elementare di don Filippo Ciccotti, poi passò nel ginnasio del filippino P. Luigi Pettinari ad insegnarvi lingua italiana e latina, rettorica, geografia e storia.

Alla morte del Pettinari, il maestro aprì nel 1817 una sua scuola nell'ex convento di S. Marco a Porta Ravegnana, dove rimase fino al 1849. La scuola era composta di cinque classi, chiamate: la 1ª del leggere, scrivere e aritmetica inferiore, la 2ª dell'aritmetica superiore e calligrafia, la 3ª della lingua latina e italiana, la 4ª dalla sfera, geografia e storia, la 5ª di umanità e rettorica. La scuola più propriamente elementare era divisa in scuola d'aritmetica inferiore e d'aritmetica superiore, mentre la scuola del latino era divisa in tre classi: la 1ª per gli elementi del latino studiati sul Donato, la 2ª di grammatica inferiore appresa sul Porretti, la 3ª di grammatica superiore applicata su Fedro, Cornelio, Ovidio ecc. Appena aperta la scuola, il Lenzi aveva illustrato e diffuso le sue norme didattiche suscitando osservazioni, che due anni dopo raccolse nell'opuscolo: Metodo per le scuole elementari del signor Gaetano Lenzi, Bologna 1819, Tip. Gamberini e Parmeggiani. Da esso rileviamo che le lezioni avevano luogo dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 16; tuttavia al mattino l'insegnamento era impartito soltanto nelle prime due ore, poichè alla fine di esse gli scolari venivano condotti alla Messa nella vicina chiesa di S. Donato e quindi rimandati alle loro case per il pranzo. Tanto nel mattino quanto nel pomeriggio, nella prima mezz'ora veniva ascoltata la lezione, nella seconda si correggevano i compiti eseguiti a casa, nella terza si dettavano i lavori per il giorno seguente e nella quarta si davano le spiegazioni. Notevole importanza il Lenzi dava all'italiano, poiché -come egli osserva- "se è cosa lodevole e interessantissima il sapere la lingua latina, è cosa altresì vergognosissima il non avere della nostra lingua la necessaria cognizione e pratica". Alla storia e geografia attribuiva utilità e diletto: utilità "per l'inclinazione di ognuno ad imitare gli altri in qualsivoglia cosa, e per tal guisa comincia da qui l'educazione nostra"; diletto per il fascino che sui giovani "ha la narrativa delle cose lontane per distanza di tempo o di luogo".

Ma il suo cavallo di battaglia fu il latino, per l'insegnamento del quale introdusse un metodo nuovo. Questo consistette nella conversazione in latino su argomenti che destassero interesse negli scolari e svolti con difficoltà graduate in modo da seguire quasi parallelamente lo svolgimento della grammatica. Chiamiamo nuovo il metodo non nel senso che il Lenzi sia stato il primo ad applicarlo basta pensare ai dialoghi di Erasmo di Rotterdam, Ludovico Vives, Antonio van Torres - ma nel senso che egli lo introdusse per primo in Bologna. A tal fine nel 1828, ossia dopo un ventennio di esperienza scolastica, compose il volumetto Opuscula tria didascalica, diviso appunto in 3 parti: Colloquia, Rhetorices elementa, Proverbiorum collectio. L'operetta, stampata dal Turchi e da lui diffusa fra gli "amatori e cultori delle latine lettere", in breve tempo fu esaurita. E poichè veniva richiesta, la ristampò il tipografo Giuseppe Tiocchi col titolo: Cajetani Lenzii opuscula didascalica ad usum tironum linguae latinae, editio altera auctior et emendatior ab auctore, Bononiae MDCCCXLIV. Nella nuova edizione il Lenzi portò a 40 i dialoghetti relativi alla scuola, le azioni della giornata, la casa, il mercato, il viaggio, l'albergo ecc.; inserì una nuova parte contenente 45 lettere di argomenti eruditi e di circostanze varie (feste, auguri ecc.); aumentò a 480 il numero dei proverbi e, nell'ultima parte, elaborò un piccolo trattato di rettorica. L'operetta, che alla sua venuta alla luce, apparve una novità, ora possiamo aggiungere che fece del Lenzi un precursore nella didattica del latino. Infatti, tutti sanno che nei Programmi Ministeriali del 1936 per le scuole classiche venne propugnata la conversazione in latino.

Naturalmente, nella scuola non mancava l'insegnamento della Religione che era impartito nel pomeriggio del sabato, come in tutte le scuole, pubbliche e private, della Diocesi. Gli scolari venivano raccolti tutti insieme e, dopo che ciascuno aveva recitata la propria lezione, due di essi, a turno, tenevano una "disputa" sotto la guida degli insegnanti. Il direttore spirituale della scolaresca, dal 1840 in poi fu don Giuseppe Bedetti (1799-1889) ora avviato all'onore degli altari, il quale godeva la piena confidenza dei giovani. Nell'ex convento di S. Marco, dov'era nata, la scuola passò i suoi 22 anni più fortunati. Gli scolari erano andati sempre più aumentando così che il loro numero, nel 1825, era di oltre sessanta. In seguito, secondo quanto si legge nell'autobiografia del maestro, si era fatto addirittura "imponente" per diventare nel 1843 -quando la dava alla luce- "assai mediocre" È da ritenere che lo sviluppo si debba attribuire ai buoni collaboratori, che il Lenzi cercò di accaparrarsi e specialmente ai nuovi metodi d’insegnamento e di educazione da lui praticati. Infatti, come egli la ruppe con la tradizione nel modo d'insegnare, così abbandonò il rigido sistema della disciplina imposta con mezzi coercitivi, procurando di ottenerla "colla ragione, colle buone maniere, cogli allettamenti e non con modi violenti e barbari che avviliscono la gioventù". Questi modi, secondo la bolla citata, avrebbero dovuto consistere "nell'uso moderato della sferza fornita di semplici funicelle senza nodi o in altre penitenze discrete"; ma, come risulta da una ricca documentazione, certi maestri ricorrevano a penitenze avvilenti, come quella di far fare agli scolari una croce con la lingua sul pavimento, e a violenze spesso inaudite. Inoltre, portando all'estremo il principio dell'emulazione, gli scolari negligenti venivano collocati in banchi dietro i quali pendevano enormi orecchi d'asino, mentre ai diligenti erano riservati i banchi dell'onore. Il Lenzi tolse dalla sua scuola questa umiliante distinzione, conservando del sistema la parte positiva, ossia la iscrizione dei migliori nel "Libro d'oro", la premiazione e la pubblica accademia; ad essa però, per impedire il pericolo della vanità, attribuì il carattere di esercizio di declamazione.

Dopo 25 anni di funzionamento della sua scuola così praticata, il maestro si compiacque esporne il risultato e "a sua soddisfazione" dedicò quasi 4 pagine dell'autobiografia ai nomi "di alcuni che furono suoi scolari divenuti ora splendide stelle sia nelle Scienze sacre, sia nelle profane, in Patria e fuori". Si tratta di docenti d'ogni ordine di scuole, avvocati, magistrati, sacerdoti, religiosi, medici, chirurghi, farmacisti, ingegneri, letterati, notai, funzionari ecc. Tuttavia, di queste "splendide stelle" a noi è giunta soltanto la luce del patriota Augusto Aglebert (1810-1882). Anche sul Lenzi i moti del 1831 esercitarono un certo fascino e scrisse un inno a favore dei rivoluzionari. Benchè anonimo, il parto poetico non sfuggì alla Polizia, che nel '33 ne informava il Card. Oppizzoni col seguente rapporto: "Gaetano Lenzi, abitante in Piazzola di Porta Ravegnana, ammogliato con un figlio. Si vocifera che fosse trascinato dalla corrente de' passati politici sconvolgimenti di dare alle stampe un inno a favore dei rivoluzionari del 1831. Presentemente affetta sani principii di morale e di politica e sembra che fosse assolutamente costretto o dall'interesse o da altro motivo a sbilanciarsi colla stampa suddetta". L'Oppizzoni, in calce al rapporto, appose questa nota: "Io lo ritenni sempre equivoco perchè ambizioso ed indipendente dalli superiori. Per emendare l'inno, ne compose o fece comporre l'unito. 25 luglio 1833". L'attergato appare meno generoso del bonario rapporto poliziesco. Tale severità stupisce di fronte alla longanimità e comprensione usate dal Cardinale coi maestri compromessi nelle stesse vicende. Per comprendere tanta bruschezza, bisogna accennare ai suoi rapporti col maestro. Essi si erano inaspriti fin dal 1822, quando il Lenzi aveva denominato "ginnasio" la sua scuola che dall'Arcivescovo era stata autorizzata a funzionare soltanto come elementare. Inoltre il maestro, appunto perché insegnante e direttore di un ginnasio, si faceva chiamare e si sottoscriveva col titolo di "protodidascalus" ossia professore e benchè diffidato che non poteva usare di tale qualifica, continuò a farlo, come dimostra il fatto di averla messa anche in una sua pubblicazione posteriore. Oltre questi atti, che all'Oppizzoni fecero apparire il maestro ambizioso, ne compì altri che glielo fecero giudicare indipendente dalli Superiori. Tra questi collochiamo il rilascio di certificati redatti non in conformità del regolamento, in forma canzonatoria, come il seguente sequestrato dalla Curia: Regimen Pontificium Dei nomine invocato Contins Philippus, domo Bononienni, Gymnasium meum seriennium coluit at linguae latinae, i cut ipse jactitabat, operam navaret. Quid tum...? Si studuisset forsan didicit. Sic ego tertari possum. Dat. Bononiae ex aedibus meis Kal. Nov. MDCCCXXXX. Cajetanus Lentius protodidascalus

E siccome l'interessato, cogliendo forse il pretesto dell'arbitrarietà della forma, riuscì a strappare un certificato con un giudizio diverso, il professore lo revocava apponendo in calce al documento le enti parole: Sic ego testatus sum Kal. nov. et iterum testor XVIII Kal. Decem. Et aliam testationem, quam coactus exaravi, abrogari cupio. Per questi motivi, dunque, non correva buon sangue fra l'arcivescovo e il maestro. A mantenere poi tese le loro relazioni intervenne nel 1849 il cambio della sede della scuola. Essendosi assottigliato il numero degli scolari per la moltiplicità delle scuole sorte in Bologna", il Lenzi pensò di trasferire la sua in un locale più ristretto. Lo trovò nel palazzo Guidotti in via S. Donato; ma siccome vicino vi era la scuola del maestro Gaetano Della Valle, questi protestò invocando in suo favore una disposizione della Sacra Congregazione degli studi, la quale prescriveva che, tra una scuola e l'altra, ci fosse la distanza di 700 passi, ossia di 100 canne architettoniche. Il Lenzi riuscì a spuntarla accontentando l'autorità col togliere il titolo di ginnasio alla sua scuola: così i superiori lo favorirono chiudendo un occhio sulle ragioni del concorrente. Ma questi se la legò al dito e quando, appena tre anni dopo, il Lenzi cessava di vivere a 71 anni e i suoi figli Pietro e Carlo, l'uno laureato in filosofia e matematica e l'altro maestro elementare, chiesero l'autorizzazione di continuare la scuola paterna, non l'ottennero per l'opposizione del Della Valle che fece valere le sue ragioni.

Così col Lenzi si spense anche la sua scuola dopo 35 anni di vita. Essa dunque ebbe la stessa fine delle due precedentemente illustrate e delle altre minori che, per la loro scarsa importanza, lasciamo nell'ombra. Per completare il quadro dell'attività del dinamico maestro, ricordiamo le sue pubblicazioni non menzionate: Descrizione dell'Istituto delle scienze di Bologna, Tip. Bortolotti, 1841 (per il volumetto l'A. ebbe da Gregorio XVI una grande medaglia d'argento) - Biografia di Francesco Argelati, estr. da l'Album di Roma 1842- Elogio del professor Francesco Bertelli, Roma, Tip, delle Belle Arti, 1843 - Vita di Mons. Giambattista Agucchi, Roma, Tip. delle Belle Arti, 1850. Inoltre lasciò inedite le opere: Prospetto biografico di tutte le donne bolognesi distinte in lettere, in scienze, in belle arti, che incominciarono a fiorire dopo i secoli barbari fino a nostri giorni, con un saggio di poesie di quelle che in tal genere si segnalarono - Novero biografico di tutti i Vescovi ed arcivescovi di Bologna dal primo fino all'Eminentissimo Oppizzoni - Elogio del Card. Lorenzo Campeggi. Lasciò incompiute: Regole per la lingua italiana Regole per la lingua latina - Corso di Rettorica e belle lettere.

RODOLFO FANTINI

Testo tratto da "Scuole di Bologna ottocentesca: la Scuola Lenzi", in "Strenna storica bolognese", 1956.