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Nicolo' de Lapi prima del supplizio

1857

Schede

Luigi Busi (Bologna 1838 - 1884), Nicolò de Lapi prima del supplizio. Olio su tela in cornice originale, cm. 215 x 165. Collezioni Fondazione CaRisBo. Presentato da un giovanissimo Luigi Busi, appena diciottenne, alla mostra della bolognese Società Protettrice delle Belle Arti, il dipinto attirò immediatamente l’attenzione della critica. Nella recensione alla esposizione, apparsa sulla “Gazzetta di Bologna” del 10 gennaio 1857, Gaetano Roncagli si era particolarmente soffermato a descrivere la scena del dipinto ambientata all’interno del Bargello, dove Nicolò de’ Lapi imprigionato tiene il capo della figlia in grembo, mentre i suoi due figli maschi, Lamberto e Bindo, travestiti da frati tentano inutilmente di indurlo alla fuga. La composizione, immaginata in un’ora vespertina, è completata dalla figura del vero frate confessore che conforta il condannato. “Un tale subietto tanto pieno di passioni diverse, così arduo a condursi, così difficile ad esprimersi mostra di quale indole valorosa sia colui che imprese a rappresentarlo”, scriveva Roncagli, il quale concludeva la sua critica con una sorta di profezia critica: “Veggo nella pittura alcune parti malferme altre ne vorrei più finite; veggo nel pittore un ardire soverchio, che s’arrischia in tutte le vie, che sfida le difficoltà con molta fidanza, ma veggo in pari tempo maestria non poca promettitrice di meglio; veggo molta rattenutezza e cognizione dei pericoli, veggo insomma…nel pittore i germi di valorosi artisti”. Meno reticente in merito alle influenze dei maestri sul giovane Busi era stato Giuseppe Bellentani, il quale, prima di dilungarsi nella descrizione del soggetto, scriveva: “Seguace del Muzzi, ma con maggiore effetto di luce pare Luigi Busi che, essendo giovinetto, colle ammanierate estremità e coll’ardimentoso tocco, accenna vizio vicino, ove non rattempri l’anelante suo genio, tranquillamente mirando natura, e consultando i più puri fra i celebri antichi. Egli ha fatto Nicolò de Lapi che, prima d’essere tratto a morte, perdona alla figlia sposata a un traditore della patria […] Ove il Busi ascolti diverrà Artista Grande” (Bellentani, 1856, p.26).

A dodici anni Busi era entrato nel Collegio Artistico Venturoli, dove seguiva l’insegnamento di Gaetano Serrazanetti, frequentando contemporaneamente i corsi degli anziani Clemente Alberi e Napoleone Angiolini all’Accademia di Belle Arti. Gli anni di studi accademici del giovane Busi sono contrassegnati da numerosi premi ottenuti in diverse discipline, che giustificavano le grandi aspettative riposte sul giovane, come indicano i commenti di Roncagli e Bellentani citati sopra. Le frasi dei due critici, espressioni di due opposte convinzioni, tradizionaliste del primo e progressiste del secondo, ci appaiono certamente criptiche, ma erano chiarissime ai loro contemporanei, i quali sullo sfondo di dibattiti artistici vedevano profilarsi ben più gravi dissidi politici. L’appartenenza al Collegio Venturoli era già circostanza sospetta ( da quella fucina verranno anche Luigi Serra e Raffaele Faccioli), e l’attenzione mostrata da Busi nei confronti della pittura di Antonio Muzzi, come giustamente aveva rilevato Bellentani, dimostra una precoce autonomia di giudizio per scelte controcorrente. Alla mostra della Protettrice del 1856, dove Busi aveva esposto il presente dipinto, Muzzi, infatti, aveva presentato la Prigionia di Galileo nel Santo Uffizio di Roma, aspramente criticato dalla “setta dei classicisti” per supposte scorrettezze esecutive (Bellentani, 1856, p. 26). Dal punto di vista contenutistico il dipinto di Busi si colloca sulla scia del romanticismo storico lombardo, iniziato a Milano nel corso degli anni Trenta da Pelagio Palagi e Francesco Hayez. Episodi storici o letterari erano pretesto per impaginare scene nelle quali lo scontro tra diversi affetti, spesso in ambito famigliare, evidenziavano virtù e coraggio dei protagonisti davanti alle avversità. Sullo sfondo delle guerre risorgimentali, la pittura storico romantica si prestava ad essere letta allegoricamente con riferimenti all’attualità, per aggirare i limiti imposti dalla censura. In questo senso può essere letto anche il Nicolò de Lapi prima del supplizio, ispirato a Busi dalla lettura del Nicolò de Lapi di Massimo D’Azeglio, pubblicato nel 1841 a Milano, nel quale il pittore, scrittore e presidente del consiglio del Regno di Piemonte dal 1849 al 1852, aveva descritto le tristi vicende della famiglia fiorentina durante l’assedio di Firenze del 1530. Sul fronte stilistico, è innegabile la derivazione dei modi di Busi dall’esempio di Muzzi, ma con una maggiore libertà esecutiva che abbandona preoccupazioni di disegno e finitezza per avviarsi verso una pittura di colori puri, alla ricerca di effetti di luce arditi e veri, anche se qui ancora utilizzati in funzione di sottolineatura dei contenuti emotivi della scena. Acquistato per 691,60 lire dalla Società Protettrice nel 1856, il dipinto è la seconda opera impegnativa eseguita dal giovane Busi, dopo la tela con Giacobbe e Rachele, anch’essa comprata dalla stessa società l’anno prima. Nell’inverno del 1857 Busi vinceva la Pensione Angiolini per gli studenti del Collegio Venturoli e si trasferiva a Roma per proseguire gli studi. Nella città eterna si avvicinò ad artisti quali Saverio Altamura, Domenico Morelli, Stefano Ussi e altri artisti “progressisti” che, attivi tra Roma e Firenze, avevano avviato la ricerca di una rinovata pittura di storia “in piena luce di sole”. Un esito di tali ricerche, di cui il Nicolò de Lapi prima del supplizio rappresenta una sorta di incunabolo, è il dipinto raffigurante Le ultime ore del doge Foscari (Bologna-Collegio Venturoli) , prova finale della pensione Angiolini, segnalato con menzione onorevole nel 1863 alla I Esposizione delle Accademie dell’Emilia Romagna, tra lo scandalo dei superstiti “classicisti”.

In collaborazione con Galleria de' Fusari, Bologna. Testo tratto da: Claudio Poppi (a cura di) 'Da Antonio Basoli a Luigi Busi: Bologna, Ottocento ...Senza macchia!', 2005.