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Gioacchino Murat

25 Marzo 1767 - 13 Ottobre 1815

Scheda

Joachim Murat nacque in Francia a Labastide-Fortunière, oggi Labastide-Murat, nella regione del Midi-Pirenei, il 25 marzo 1767 e morì fucilato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815. Figlio di un taverniere, aderì alla Rivoluzione ed ebbe una fulminante carriera nell'esercito francese. Partecipò a tutte le campagne di guerra della Grande Armée dal 1792 in avanti, scalando le gerarchie militari in virtù del suo coraggio e delle capacità che dimostrò, in particolare nell'arma di cavalleria, conquistandosi anche la fiducia di Napoleone Bonaparte. Promosso Generale di brigata nel maggio 1796, durante la campagna d'Italia, partecipò anche alla campagna d'Egitto, ove ebbe una parte di primo piano nella battaglia delle Piramidi, a Gaza, a S. Giovanni d'Acri e ad Abukir. Affiancò Napoleone nel colpo di stato del 18 brumaio (9 novembre 1799) e rafforzò tale legame sposandone la sorella Carolina, con la quale ebbe quattro figli: Achille, Letizia, Luciano e Luisa. Con l'Impero, Gioacchino divenne maresciallo e grande ammiraglio. In qualità di comandante di cavalleria affiancò l'imperatore ad Austerlitz nel 1805, a Jena nel 1806, nella campagna di Polonia ed in particolare ad Eylau nel 1807 (in questa occasione guidò la celeberrima carica di cavalleria immortalata in libri e film), in Spagna nel 1808, in Russia nel 1812, a Dresda nel 1813. Il 15 luglio 1808 fu designato ufficialmente re di Napoli col nome di Gioacchino-Napoleone. Qui si dedicò al miglioramento della gestione dello Stato (e, in parallelo, all'aumento della propria popolarità): amnistie di disertori, soppressione di commissioni militari, grazia per condannati a morte, restituzione di beni ai parenti degli emigrati, libertà di pesca alle popolazioni della costa, pagamento delle pensioni militari furono alcune delle sue prime decisioni, che incontrarono il favore dei suoi nuovi sudditi ma non piacquero troppo a Napoleone, che le riteneva pericolosamente antifrancesi.

Le tante e controverse scelte amministrative (nuovo catasto, imposte personali applicate a tutti ma non agli indigenti, opere pubbliche legate alle acque, alle foreste, all'edilizia della città, alla cultura, ecc.) portate avanti anche con l'appoggio di eminenti esponenti locali, in particolare Giuseppe Zurlo, ebbero tra i risultati anche il raggiungimento del pareggio di bilancio, ottenuto il 1° marzo 1813. Gioacchino si comportò spesso in modo autonomo in politica interna ed estera, entrando in conflitto con Napoleone che considerava il Regno di Napoli una propria “colonia”; la moglie Carolina, poi, era fedelissima al fratello, e per questo entrò spesso in contrasto con il marito, riuscendo però in più di una occasione a mediare tra i due e a salvaguardare il trono del marito nei momenti più critici. A partire dal 1813 presero corpo in lui idee di autonomia da Napoleone, che lo portarono a cercare accordi con l'Austria, formalizzati nella Convenzione di Napoli dell'11 gennaio 1814. Pur tra mille ripensamenti e dubbi, oscillanti tra la sua fedeltà residua all'imperatore e la volontà di crearsi un ruolo autonomo in Italia, alla luce delle traballanti sorti dell'impero, iniziò a pensare all'ipotesi di unificare sotto di sè l'Italia fino al Po. L'abdicazione di Napoleone (aprile 1814) e i primi mesi del congresso di Vienna (iniziato nel settembre 1814) accelerarono il problema napoletano, che però, su iniziativa austriaca, fu subito rimandato. All'inizio del 1815 si riavvicinò alla madrepatria, conscio che solo in questa prospettiva avrebbe potuto conservare il trono: nel marzo, avuta notizia dell'avanzata di Napoleone verso Parigi, pur con il parere contrario della moglie, decise di muoversi contro gli Austriaci in modo autonomo, con l'intento dichiarato di liberare la penisola italiana dal dominio austriaco. Il 30 marzo, pochi giorni dopo l'inizio delle ostilità, emanò da Rimini un proclama in cui inneggiava alla libertà e all'indipendenza dell'Italia e prometteva una costituzione; ma il proclama, considerato in seguito il punto di partenza del Risorgimento italiano, non ebbe sul momento molte adesioni. L'iniziativa militare di Gioacchino, al comando di un esercito poco numeroso e poco motivato, però non ebbe successo: il 3 maggio venne sconfitto a Tolentino. Gioacchino riuscì a raggiungere fortunosamente il proprio regno: il 17 maggio era a Napoli e il 19, senza la moglie e i figli, tentò la fuga via mare, pochi giorni prima dell'arrivo delle truppe austriache. Per sfuggire alla flotta inglese dovette sbarcare a Ischia e poté raggiungere la Francia (Cannes) il 25, raccolto da una nave munita di salvacondotto inglese per il trasporto di ufficiali francesi. Napoleone però si rifiutò di riaccoglierlo nel suo esercito, rinfacciandogli i tradimenti precedenti e l'imperizia dimostrata nelle recenti vicende d'Italia.

Tramontato definitivamente l'astro napoleonico a Waterloo (18 giugno) Gioacchino, oramai senza appoggi, rifiutò comunque di abdicare, come richiestogli in cambio d'un rifugio sicuro da Inglesi e Austriaci. Continuò invece a pensare alla possibilità di un ritorno nel suo regno, e a fine agosto riuscì a imbarcarsi con pochissimi uomini per la Corsica, dove riunì alcune centinaia di bonapartisti e patrioti. Con essi il 28 settembre mise in atto un estremo tentativo di riconquista del Regno di Napoli. Sbarcato a Pizzo Calabro il 7 ottobre con solo una trentina di uomini (gli altri, sulle altre imbarcazioni, si erano dispersi o lo avevano abbandonato), fu attaccato e catturato da gendarmi e contadini. Condannato a morte da una commissione militare rapidamente nominata, venne fucilato il 13 ottobre 1815 nel castello di Pizzo. Il suo corpo venne sepolto in una fossa comune, ed ancora oggi non se ne sono trovati i resti. Tra il 1802 ed il 1815 Gioacchino Murat ebbe diverse occasioni per passare o fermarsi a Bologna: l'11 maggio 1802 alloggia in casa Tanari; il 15 marzo 1810 "Passò il Re Gioachino per andare alle Nozze di Napoleone; il 1 novembre 1813 "Gioacchino Murat attraversando rapidamente la Germania, la Svizzera, e la Lombardia giunse precipitosamente a Bologna e dopo poche ore ripartì per la volta del Regno di Napoli"; il 1 febbraio 1814 entra con le sue truppe napoletane, passando da Porta Maggiore, accompagnato da truppe austro-ungheresi e inglesi, Piazza Maggiore è tutta illuminata con fiaccole e torcie, suonano le bande militari tra le acclamazioni del popolo e va ad alloggiare al palazzo Imperiale, "La città era tutta illuminata, così pure il Teatro del Corso, ove portossi il Re salutato con grandi evviva"; febbraio-maggio 1814 torna in città più volte, sempre fermandosi alcuni giorni, emana leggi, va a spettacoli, ecc.; 2-4 aprile 1815, di nuovo in città, illuminazione, Teatro del Corso prima di partire per le sue ultime battaglie; 13-15 aprile 1815 torna dopo la sconfitta subita nel modenese.

La regina Carolina Bonaparte, diversamente dal consorte, al momento della caduta del Regno, di fronte all'ostilità crescente della popolazione e visti i rovesci militari del fratello e del marito, accettò la resa senza condizioni impostale dagli alleati: s'imbarcò con i figli e il seguito il 20 maggio 1815 sulla nave britannica "Tremendous" che li condusse a Trieste. Da qui raggiunse poi Vienna mettendosi sotto la protezione dell'imperatore d'Austria e di Metternich, che non lesinò aiuti e consigli. Carolina, che aveva assunto il nome di contessa di Lipona (chiaro anagramma di Napoli) visse dapprima a Trieste e poi a Firenze, affrontando anche difficoltà finanziarie (alla salita al trono di Napoli aveva dovuto abbandonare le proprietà in Francia; doveva far fronte ai debiti contratti dal marito per l'ultima spedizione e doveva restituire ai familiari forti prestiti). Le sue principali preoccupazioni erano rivolte all'avvenire dei figli maschi Achille e Luciano, che vennero mandati in America presso lo zio Giuseppe. Le due figlie femmine invece contrassero ottimi matrimoni con due nobili famiglie dello Stato pontificio: Letizia sposò il marchese bolognese Guido Taddeo Pepoli e Luisa il conte Giulio Rasponi di Ravenna. Entrambe diedero vita a dinastie di patrioti votati alla causa dell'indipendenza italiana. Negli anni seguenti Carolina tentò anche di rientrare in possesso dei beni ai quali aveva dovuto rinunziare nel 1808, senza riuscirvi. Tuttavia, lo Stato francese le concesse nel 1838 una pensione di 100 mila franchi annui. Morì a Firenze, dove conduceva una vita ricca di trattenimenti e relazioni sociali, il 18 maggio 1839, e venne sepolta nella chiesa di Ognissanti.

Mirtide Gavelli

Bibliografia: Fiorella Bartoccini, Carolina Bonaparte Murat, regina di Napoli, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 20 (1977), ad vocem; Silvio de Majo, Gioacchino Napoleone Murat, re di Napoli, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 55 (2001), ad vocem.