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Leda o Nemesi

1833 | 1835

Schede

Il gruppo Leda e il cigno venne realizzato da Baruzzi a partire dal dicembre 1833, quando lui stesso dichiara di averne terminato la realizzazione plastica. Nel gennaio 1834 la creta fu esposta per otto giorni all’Accademia di Belle Arti di Bologna, secondo l’uso canoviano, per raccogliere pareri in base ai quali migliorarla prima della traduzione in marmo (Sulla Leda). Il gesso, ricavato nel febbraio dello stesso anno, identificabile con molta probabilità con quello ancora oggi conservato nella villa dello scultore, servì per la realizzazione del marmo, che venne esposto nel 1835, prima all’Accademia di Bologna e poi a Brera (Gualandi 1835). Le recensioni alla statua furono piuttosto positive, anche se da una lettura attenta degli articoli pubblicati pare che il pubblico abbia trovato nel soggetto e nel suo svolgimento molti argomenti per sottolinearne la sensualità eccessiva. Forse anche per questo motivo il gruppo rimase invenduto. Michelangelo Gualandi suggeriva a Baruzzi di proporre a Pelagio Palagi, che l’aveva molto apprezzata durante l’esposizione milanese, di cercarle un acquirente a Torino. Solo nell’agosto 1838 il marchese milanese Filippo Ala Ponzone acquisterà la scultura per la propria collezione. Attualmente si sono perse le tracce della statua.

Il gesso continuò ad essere conservato presso il suo autore, nel cui studio lo ammirava ancora Gioacchino Rossini nel 1858; trasferito in seguito nella villa dell’Osservanza viene descritto nell’inventario del 1873 e in quello testamentario del 1878. Attualmente collocata nella parte posteriore del salone centrale al piano terra di Villa Baruzziana, la Leda è rappresentata nell’atto di accogliere il cigno. La giovane donna è seduta su una roccia da cui scaturisce un rivolo d’acqua, che è parzialmente coperta da un ricco panneggio; ai suoi piedi si trova un vaso rovesciato. Anche in questa scultura Baruzzi si serve del contrapposto nel disporre la figura femminile parallela al piano dell’osservatore, al quale presenta il fianco destro. Il braccio destro è poggiato sulla roccia, mentre la mano sinistra, elegantemente appoggiata sul cigno, ne accarezza le piume. La figura è colta in un atteggiamento rilassato, le spalle sono curvate in avanti, mentre il volto è girato frontalmente verso l’osservatore. Le gambe, incrociate a livello delle caviglie, sono disposte a creare un incavo in cui è collocato il cigno, che protende il collo e il becco verso la donna. Colpisce il contrasto tra la nudità completa della figura e la complessa acconciatura composta di boccoli e trecce e raccolta da una rete, trattenuta al centro da un fermaglio-gioiello circolare. La statua suscitò nel pubblico commenti e critiche, puntualmente riferiti dalla stampa. Tra questi si registrano appunti sulle proporzioni di mani e orecchie e sulla magrezza del nudo, sulla poca decenza della nudità, del soggetto e della posa, sulla dimensione ridotta del cigno. Forse l’osservazione più interessante è quella riferita nella corrispondenza dello scultore fatta da un nobile inglese che la riteneva inadatta all’appartamento di un padre di famiglia, rivelando quindi un implicito giudizio di immoralità.

La complessa interpretazione simbolica fornita da Carlo Pancaldi della statua, che viene ribattezzata Nemesi e fatta risalire come origine iconografica ad Orapollo, giustifica ogni dettaglio incoerente, dal cigno di dimensioni ridotte, un piccolo alla ricerca di protezione, secondo la versione più rara del mito classico, presa come riferimento dall’autore, all’acqua, simbolo del caos primigenio, alla rete che trattiene i capelli, allusiva alla concatenazione che lega tutti gli esseri viventi (Pancaldi). Questa lettura così puntuale farebbe pensare ad un contatto precedente tra letterato e scultore, dalla cui conversazione il soggetto potrebbe essere scaturito o essere stato comunque perfezionato. La stessa complessa simbologia giustifica anche la freddezza imputata alla donna da un pubblico abituato alla rappresentazione in chiave di forte valenza erotica del soggetto, come nei dipinti del Correggio o nei disegni di Michelangelo. Leda-Nemesi, intesa come potente forza naturale che accorda protezione agli esseri più deboli, è impassibile e serena proprio perché posta su un livello emozionale superiore. Allo scultore si accostano modelli altissimi per la sua ispirazione: Raffaello, alla cui Fornarina si paragona il nudo liscio e flessibile della Leda, e Fidia, autore di una statua di uguale soggetto. Anche in questo caso sono presenti nella scultura dettagli estremamente descrittivi che permettono di affermare che si è già operato uno scarto dal gusto neoclassico a quello “restaurato”. Basta osservare il ricco panneggio bordato da una frangia di nappe o il vaso, dal fregio estremamente complesso. Su tutto si impone l’acconciatura neo-rinascimentale della figura femminile.

Antonella Mampieri

Testo tratto dalla scheda realizzata dall'autrice per il volume 'Cincinnato Baruzzi (1796 - 1878)', secondo numero della Collana Scultori bolognesi dell'800 e del '900, Bononia University Press, Bologna, 2014