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Le Esposizioni nazionali

Sociale 1861 | 1898

Schede

Dopo l’Esposizione universale di Londra del 1851, Parigi del 1855 e in vista del nuovo evento londinese del 1862, le Esposizioni sono quanto mai in auge. Nell’Italia appena unificata gli esponenti del mondo politico e produttivo hanno numerosi motivi per organizzare una manifestazione, la prima del genere realizzata dal neonato stato italiano. Lo scopo principale è quello di mostrarsi realmente uniti, sia agli occhi degli osservatori stranieri che, soprattutto, a quelli degli italiani. Viene così organizzata l’Esposizione nazionale di Firenze del 1861 con l’intento esplicito di vincere il prevalere degli interessi localistici a danno di quelli nazionali e, naturalmente, favorire confronto, imitazione e commerci. Del resto, all’epoca è ancora diffusa l’idea che l’abolizione dei dazi interni sarebbe bastata, una volta fatti conoscere i prodotti italiani, a creare un mercato nazionale dinamico. Proprio per l’alta valenza politica della manifestazione, le merci provenienti da Veneto e Lazio, non ancora italiane, non sottostanno a nessuna preselezione e si permette, in generale, di far affluire le merci per tutta la durata dell’esposizione, che resta aperta per circa tre mesi. Il discorso di commiato è venato di ottimismo, nonostante la consapevolezza dell’arretratezza generale. Al momento della pubblicazione della relazione conclusiva, a sei anni di distanza, l’ottimismo però si è totalmente dissolto e prevale un desolato realismo. Innanzitutto le spese sostenute dallo Stato sono state esorbitanti (circa tre milioni e mezzo di lire), e il quadro non è confortante: l’agricoltura, ritenuta il nerbo del paese, è fortemente arretrata, scarsamente produttiva e l’allevamento è misero. Tutto il resto è ancora “in fasce”, ma per molti non è questa la vera preoccupazione. La paura di una industrializzazione all’inglese, con la possibilità che si crei il pericoloso proletariato, fa auspicare una modernizzazione blanda, con uno sviluppo basato prevalentemente sull’agricoltura accompagnato da una certa apertura verso la manifattura, ma solo se diluita sul territorio. Del resto la produzione industriale è ancora molto arretrata, non standardizzata e non specializzata. All’esposizione nazionale di vent’anni dopo, tenutasi a Milano nel 1881, la ditta Barbieri di Bologna, pur avendo la sua produzione di punta nelle macchine utensili per la lavorazione del metallo e del legno, propone una gamma di prodotti molto eterogenei, comprendente anche, per esempio, un macinino da caffè.

Nel 1871 Milano allestisce una esposizione solo nominalmente nazionale, dato che i partecipanti sono prevalentemente lombardi: la vera manifestazione italiana sarà quella del 1881. E’ questo il palcoscenico per la nuova atmosfera produttiva. Tante cose sono cambiate rispetto a Firenze, a partire dal fatto che nel ’78 erano state varate le prime misure protezionistiche, che avevano favorito l’avvio della trasformazione economica. Milano si inebria dell’orgoglio di sentirsi capitale morale del regno: i capitali privati, ammontanti a L. 790.300, prevalgono su quelli stanziati dallo Stato, di lire 510.000, una frazione, comunque, di quanto speso vent’anni prima. Non solo, il bilancio chiuderà in attivo. I partecipanti sono 7.139, più 740 per le Belle Arti. Non male visto che i costi di trasporto sono completamente a carico degli espositori – e infatti dal Meridione ci sarà scarso afflusso. Il Grande Ballo Excelsior, tenuto alla Scala in concomitanza con l’Esposizione, e celebrante le scoperte portentose e le opere gigantesche del secolo della potenza industriale, è il simbolo di questo desiderio di progresso. Il dibattito sui temi di politica economica, che accompagna sempre queste manifestazioni, coglie l’esposizione milanese come l’occasione per affossare definitivamente il libero scambio, giudicato ormai antipatriottico, e la supposta propensione agricola nazionale, dimostratasi falsa. Le relazioni sulla meccanica rilevano ancora una certa arretratezza, ma si sta infine uscendo dall’infanzia, per quanto proprio questo comparto, così moderno, insieme a quello chimico, non riceveranno alcuna protezione doganale. Per il 1885-86 viene ipotizzato l’allestimento di una Esposizione mondiale a Roma, ma l’iniziativa non sarà realizzata e la manifestazione successiva sarà a Torino nel 1894. L’elettricità fa il suo ingresso trionfale, illumina tutta l’area espositiva e costituisce il settore di punta. Si ha finalmente la piena conferma delle capacità industriali italiane e qualcuno comincia a vagheggiare una autonomia produttiva.

Le tre manifestazioni successive – Palermo 1891-92, Milano (parziale) 1894 e Torino 1898 - avranno tutte un buon afflusso di espositori (8.000 circa per la prima e la terza e 6.000 circa per la seconda). L’esposizione di Palermo è pensata per valutare la situazione dopo la svolta protezionistica, e la conseguente guerra doganale, la soppressione del corso forzoso e il ribasso dei prezzi agricoli. E’ inoltre l’occasione per far conoscere finalmente i prodotti del Sud. Proprio perché così motivata politicamente, noli, ricevimento e collocamento delle merci sono a carico del comitato organizzatore. Ma in generale, ritardi e problemi sono numerosi e anche il villaggio eritreo, scimmiottamento dell’esibizionismo coloniale alla francese, aveva dato non pochi grattacapi. Tuttavia, conclusesi finalmente nel 1898 tutte le pendenze, era stata giudicata in maniera soddisfacente. Torino 1898, allestita in occasione del cinquantenario dello Statuto, è connotata, anche in questo caso, da una forte carica politica che, nel suo ottimismo, non si lascia turbare da quanto sta avvenendo a Milano dove, da qualche giorno, sono scoppiati i tumulti che Bava Beccaris cercherà di sedare a cannonate. Finalmente la grande meccanica e il settore dell’elettricità sono in pieno sviluppo. La forza motrice per la Galleria delle Macchine è prodotta con caldaie e macchine a vapore italiane. La siderurgia splende con i lavori della Terni e anche i motori a gas, benzina e petrolio si sono emancipati dall’industria straniera. Torino del 1898 riconosce ufficialmente che la produzione nazionale è in grado di confrontarsi con successo con la concorrenza estera, tanto che all’Esposizione di Parigi del 1900 Pirelli, Tosi e Ansaldo otterranno il Gran Premio.

Maria Chiara Liguori