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La festa di San Petronio

V° secolo - oggi

Schede

Quando sia incominciato fra i bolognesi il culto del Vescovo Petronio, non è facile stabilire. La più recente critica storica propende a credere che fino dalla morte del venerato Pastore, il quale tenne la cattedra episcopale di Bologna nel secolo V, dal 432 al 450 circa, si cominciasse ad onorarne, con religiose funzioni, la memoria e la santità della vita in quella chiesa di S. Stefano, da lui edificata a somiglianza delle costruzioni costantiniane del sepolcro di Cristo in Gerusalemme, e nella quale egli venne sepolto.

Ciò è in perfetto contrasto però con la leggenda che già trasse in inganno quasi tutti gli storici bolognesi, e che vuole fissata l'origine del culto petroniano al 4 ottobre 1141, giorno in cui il Vescovo Enrico, rinvenne appunto in Santo Stefano, con molte altre reliquie, anche la tomba di San Petronio di cui, nel corso dei secoli, s'era perduto il ricordo. Ma in realtà la tomba, stando a ciò che affermano importanti documenti, era nel 1141 perfettamente conosciuta e perciò appare logica l'ipotesi avanzata dal Lanzoni che in quell'anno il culto di San Petronio non si iniziasse, ma si ringagliardisse per il rinvenimento delle reliquie, molte delle quali pare fossero state nascoste dallo stesso Santo. Ad avvalorare poi questa ipotesi sta inoltre il decreto del Vescovo Enrico il quale ordinò che d'allora in poi, a solenne memoria dello straordinario avvenimento, si celebrasse il 4 ottobre di ogni anno nella città e nella diocesi, la scoperta delle reliquie insieme alla festa di San Petronio, il che dà adito a supporre che tale festa avesse luogo nella stessa data, e sia pure nel ristretto ambito della Chiesa e del Monastero di Santo Stefano, anche prima del 1141. Comunque è certo che da quell'epoca, col ringagliardirsi del culto di San Petronio, si moltiplicarono le leggende attorno al Vescovo bolognese. A lui si attribuirono, in progresso di tempo, e nei riguardi della città, benemerenze e virtù sempre maggiori, ed egli diventò, pur contro la verità storica, il ricostruttore di Bologna, l'instauratore del Comune, il creatore dello Studio, e tali leggende non solo si diffusero fra il popolo, ma vennero consacrate anche negli atti ufficiali del Governo. In questi atti San Petronio prese posto fra i protettori della città, e presto su di essi conseguì un primato assoluto. La ragione di questo eccezionalissimo caso di postuma esaltazione, vuolsi da alcuno rintracciare nella gratitudine dei bolognesi verso il Santo Patrono, a cui attribuivano gli effetti miracolosi dell'acqua del suo pozzo in Santo Stefano, e l'èra di relativa pace e di piena libertà da essi goduta per quasi cinquant'anni, dopo la definitiva cacciata dei Lambertazzi. Ma altri, considerando che la venerazione per San Petronio raggiunse il suo maggiore significato con il decreto di erezione del maestoso tempio nel 1390, crede di poter supporre che un movente politico si nascondesse sotto le apparenze del fenomeno religioso, e che la sostituzione del nuovo protettore cittadino al protettore precedente, San Pietro, al quale già da secoli era stata dedicata la Cattedrale, potesse significare una intenzione o un desiderio di indipendenza nei rispetti della Chiesa e del Papato.

Ma siano queste congetture possibili od azzardate, è fuor di dubbio che il diffuso fervore per l'antico Vescovo, aggiunse alla sua festa una maggior importanza e accrebbe la necessità di celebrarla con sontuose manifestazioni. Già una Provvigione del 15 settembre 1301 invitava per la ricorrenza petroniana tutto il clero a recarsi, di buon mattino processionalmente e col Vescovo in testa, alla Chiesa di Santo Stefano, e stabiliva pure che vi si recassero anche le Autorità comunali col vessillo del Carroccio, su cui erano dipinte le immagini di Sant'Ambrogio e di San Petronio, e con le società delle arti e delle armi per presentare, secondo gli Statuti cittadini, le offerte di cera al Monastero. Questa grande adunata religiosa e civile si ripetè così di anno in anno, mentre nel 1311 venne rinnovato l'ordine di solennizzare la festa nel giorno 4 ottobre, e mentre nel 1380 la testa del protettore di Bologna, fu tolta dal sepolcro e rinchiusa in un artistico reliquario di argento dorato.

Iniziatisi poi i lavori per la fabbrica del nuovo tempio, nacque vivissimo il desiderio di rendere partecipe dei festeggiamenti, non appena fosse possibile, anche la chiesa che al Santo era intitolata e così si giunse a poco a poco alla istituzione di quella duplice processione della vigilia e della festa che poi continuò quasi immutata fin verso la metà del settecento. Concorrevano a formare tale processione, che la sera del 3 ottobre partiva dalla Chiesa di San Pietro per recarsi a quella di Santo Stefano, tutte le compagnie temporali, i frati mendicanti, la compagnia dell'Ospedale della Morte, i fabbricieri e i canonici del Capitolo di San Petronio, gli stendardieri, le autorità politiche, municipali e religiose, l'intero Reggimento coi trombetti e il gnaccarino, i trombetti delle libere città toscane e i portatori dei Rotuli dello studio sui quali erano segnati i nomi dei Dottori, le materie d'insegnamento e le ore delle lezioni. Questi Rotuli venivano poi affissi alla porta dell'Archiginnasio ove avevano sede le pubbliche Scuole. Giunta a Santo Stefano, la processione prendeva in consegna il reliquario contenente il capo di San Petronio e lo portava trionfalmente alla Basilica in piazza maggiore. Nei primi tempi pare che tale consegna avvenisse senza speciali cerimonie, ma allorchè papa Clemente VIII stabili con sua bolla che la preziosa reliquia non potesse essere rimossa da Santo Stefano che per la festa del Santo, e per qualche altra eccezionalissima circostanza, i monaci stefaniani pretesero ogni anno dai fabbricieri di San Petronio una garanzia di diecimila scudi, risultante da un istrumento notarile, che rogavasi all'atto del provvisorio trasferimento della reliquia stessa. All'apparire del fastoso corteo sulla piazza, si sparavano le artiglierie e si suonavano le campane della torre del Podestà, poi il capo del Santo veniva collocato sull'altare maggiore della sua Chiesa e il rito religioso era concluso. Il giorno appresso, 4 ottobre, avevano luogo nella Basilica le funzioni tradizionali, gli Anziani offrivano sedici torcie di cera bianca, il Podestà, gli auditori di Rota e il Giudice dell'Orso ne offrivano otto, e le maggiori autorità presentavano dieci o dodici carcerati e concedevano loro la libertà. La celebrazione della messa solenne poi, portava con sè l'attrattiva di una grande esecuzione di musica sacra e la Chiesa era stipata di popolo, colà chiamato, non solo dal sentimento della fede, ma anche dalla irresistibile passione musicale. La Cappella di San Petronio, già celebre per il valore dei suoi Maestri, fra i quali son degni di memoria lo Spataro, il Giacobbi, il Colonna, il Perti, il Mattei, eseguiva ogni anno importanti e originali composizioni con l'ausilio di valentissimi interpreti chiamati da ogni parte senza riguardo a spese. E a questo proposito va ricordato, che nell'epoca in cui la voga dei cantanti evirati era più diffusa, si giunse sino a scritturarne quattordici in una sola volta per la messa petroniana. Ultimate le funzioni, si ricostituiva, nel pomeriggio, la processione della sera precedente, e la reliquia veniva riportata in Santo Stefano. Dalla ringhiera del Palazzo pubblico intanto, suonavano i trombetti ed i musici, e per via San Felice, come già prima per via Galliera, si correva un Palio da cavalli barberi.

Questa ormai secolare consuetudine durò fino al 1743, fino all'anno cioè in cui Benedetto XIV, richiesta ai monaci stefaniani la testa del Santo, la donò con nuovo e prezioso reliquario, alla Basilica bolognese. La definitiva traslazione avvenne, naturalmente, con la massima pompa, ma la processione della Festa, diminuì d'importanza e di solennità. Da quel tempo, tolta la reliquia, dalla sontuosa cappella edificata a spese del Cardinale Aldrovandi nel 1745, il corteo usciva dalla chiesa, percorreva all'intorno la pubblica piazza e rientrava sotto le maestose navate per collocare, come di regola, la reliquia sull'altare maggiore, e la sera seguente il Sacro Capo, portato processionalmente dall'interno della Chiesa sulla esterna gradinata, dava la benedizione al popolo e veniva ricollocato nella cappella aldrovandiana.

Siccome però in quegli anni le cerimonie religiose rappresentavano a Bologna non solo manifestazioni di fede, ma anche necessità d'ordine economico, così per mantenere sempre più vivo il culto del Protettore della città, e nello stesso tempo per riparare al danno della mancata seconda processione, fu chiesto ed ottenuto dal Papa il permesso di formare un nuovo ed annuale corteo nella domenica successiva alla Festa dell'Ascensione, per portare il Capo di San Petronio ad una delle quattro croci, che ora si conservano nella Basilica, ma che allora sorgevano in quattro punti centrali della città. In tal modo si giunse al periodo napoleonico, durante il quale la solennità cittadina subi qualche interruzione, ma non fu del tutto soppressa. Ripristinata, dopo la Restaurazione, nell'antica forma settecentesca, con relativa corsa dei barberi, essa perdette infine ogni pompa esteriore, alla costituzione del regno d'Italia. L'avversione del clero per il nuovo ordine di cose, impedi fino dal 1860 alle autorità municipali e politiche di partecipare alla festa e perciò, abolite le processioni, non sopravvissero, per qualche tempo ancora, che la modesta usanza della estrazione di una tombola nel pomeriggio del 4 ottobre, e la vecchia consuetudine di inaugurare, alla sera, la grande stagione d'autunno al teatro Comunale. Gli splendori tradizionali della Cappella musicale, ancora abbastanza vivi nella prima metà del secolo scorso, dopo la luminosa parentesi del Mancinelli dal 1881 al 1885, via via si affievolirono e San Petronio, che da indulgente Pastore, aveva perdonato il contrasto dei Canonici della sua Basilica e dei frati Celestini di Santo Stefano, disputanti per un intero quinquennio (1717-1722), sul presunto diritto dei primi ad impartire, con il suo venerato Capo, la benedizione al popolo davanti alla Chiesa dei secondi, s'acconciò cristianamente alla scomparsa dalla sua Festa di ogni esteriore fastosità, e perdonando pure le facili e frequenti dimenticanze dei suoi fedeli, continuò a proteggere e a benedire i bolognesi, anche se a lui si rivolsero con la monelleria di quel poeta dialettale che nel 1883 gli rivolgeva questa scherzosa e troppo utilitaria invocazione:

Dònca, dsi so, muviv a cumpassion,
S'a vli èsser al noster Protettour:
Dàs la vostra santessima benzión
E arcmandav per nuàtr' a Noster Sgnòur.
S'as fà cunteint, av dsèin del j urazion
E a fèin la fazzà nova in vostr' undur,
Se nò, a vgnèin tott insèmm, corpo de dis,
A tirarv' el jurèce in Paradis!

BIBLIOGRAFIA. Distinta relazione delle solenni sacre funzioni fallesi il giorno 30 e 31 maggio 1745 per il trasporto della processione del glorioso capo del massimo nostro protettore S. Petronio. Bologna, 1745. GASPARI GAETANO: Ragguagli sulla Cappella musicale di S. Petronio. In « Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna », 1868, anno VII. LANZONI Can. FRANCESCO: S. Petronio Vescovo di Bologna nella storia e nella leggenda. Roma, 1907. PETRACCHI don CELESTINO: Della insigne abbaziale Basilica di S. Stefano. Libri duc. Bologna, 1747. ROVERSI UMBERTO: Poesie. Bologna, 1891. Testo tratto da: Oreste Trebbi, Cronache della vecchia Bologna, Compisitori, 1938.