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Il Re a Bologna

Politico 1 | 4 maggio 1860

Schede

Con i plebisciti dell’11 e 12 marzo 1860 si conclude il processo di annessione di Bologna al Regno di Sardegna iniziato il 12 giugno 1859 con la fine del governo pontificio. Nell’intera Emilia Romagna, su 427.512 votanti i voti per un fantomatico “Regno separato” furono appena 756, quelli nulli 750: si trattò insomma di una votazione davvero “plebiscitaria” e, al tempo stesso, di una grande rito collettivo molto ben organizzato: il popolo “accorreva a frotte” alle sezioni elettorali, accompagnato da bandiere e al suono delle bande, e votava “in corpo”. Come ebbe a confessare Marco Minghetti, uno dei registi dell’operazione, “veramente abbiamo veduto gran cose, e potremmo cantare il nunc dimitte”. Il “momento sublime” fece passare in secondo piano quelli successivi, anche se forse più concretamente significativi: il regio decreto con cui le nuove provincie entravano a fare parte integrante del Regno di Sardegna (18 marzo) e le elezioni politiche (25-29 marzo 1860) che, a causa di un suffragio estremamente ristretto, interessarono una percentuale minima di popolazione.

Tuttavia, nella memoria collettiva della città anche i plebisciti, che pure, come annotò un cronista, “furono due giorni di gran Festa ed’allegria”, furono superati da un altro evento per il quale, come prosegue il nostro, “per quanto potrò dire, non dirò mai bastantemente tutto quello che si è fatto e veduto”: la venuta di Re Vittorio Emanuele II a Bologna (1-4 maggio 1860). Anche le condizioni atmosferiche contribuirono a renderlo memorabile: era piovuto per quasi tutto il mese di aprile, ma “come per portento la pioggia si ristette al suo arrivo”, il tempo rimase bello e soltanto a festa conclusa arrivò “una grande burrasca”. L’entrata in città da Porta Santo Stefano (il Re proveniva dalla Toscana) fu uno dei momenti più partecipati: le vie del corteo erano tutte ornate di vasi d’agrumi e di bandiere nazionali, “non v’era casa che non fosse ornata di drappi colle armi del Re e con Bandiere, e da tutti i balconi le signore sventolavano i loro bianchi fazzoletti, facevano piovere sul legno reale un nembo di fiore ed una polvere d’oro”. La progettazione degli apparati decorativi fu affidata al giovane architetto Giuseppe Mengoni. Il Re si recò in San Petronio, poi nel Palazzo Municipale, infine giunse al suo alloggio a San Michele in Bosco.

Il 2 maggio fu dedicato a incontri e ricevimenti: quello delle 10 a Palazzo Comunale, riservato alle autorità civili e militari, poi alle 15 all’Archiginnasio, destinato alle “primarie Signore della nobiltà e Cittadinanza di Bologna, insieme a molti dei principali cittadini”, infine alla sera al Teatro Comunale, in una sala “accalcata da circa 5 mila persone”, dove si svolse una grande festa da ballo, preceduta dall’esecuzione di un “inno allusivo alle circostanze”, cantato da sessanta signore vestite di bianco con fiori rossi e foglie verdi. Quando le danze iniziarono il Re, “con squisita gentilezza” scese dal palco reale nella platea e “vi si trattenne quasi un’ora”, conversando “con alcune delle più distinte signore della aristocrazia” e con “qualche bella e gentile cittadina” e suscitando così grande entusiasmo e commozione. Dato che si temeva che, con tanta gente, non tutti conoscessero le buone maniere, all’interno della sala alcuni ispettori mantenevano l’ordine, presentando i signori non conosciuti e procurando che ogni signora avesse un cavaliere per ballare e un posto dove sedere (facendo eventualmente alzare gli uomini).

La festa si protrasse fino alle cinque del mattino e fu allietata da un grande buffet con gelati, bibite, caffè, tè e paste d’ogni tipo, organizzato dalla già nota pasticceria Majani. Ai Bolognesi rimasti esclusi da questi incontri non rimase che accalcarsi per assistere agli eventi del giorno dopo: la rivista militare alla Montagnola e la grande luminaria della sera, con la facciata di San Petronio “rappresentata mercé la luminaria come fosse compita”, e “tutti gli edifizii intorno illuminati a disegno”, la Torre Asinelli che “splendeva tutta intera di luce”, il Mercato di Mezzo che “pareva un giardino”. La mattina del 4 il re partiva “fra gli applausi e le benedizioni di tutti”. In realtà pochi giorni sarebbero bastati per mostrare che quanto questa unanimità fosse apparente. Il 13 maggio il governo volle obbligare i sacerdoti a cantare in San Petronio il Te Deum in onore del nuovo Stato, questi si rifiutarono e il Vicario vescovile che capeggiava il dissenso venne imprigionato e condotto alle carceri del Torrone. D’altra parte, le notizie delle imprese garibaldine provenienti dalla Sicilia alimentavano vecchi contrasti insieme a nuove speranze: il 15 maggio Minghetti invitava un amico a scoprire e sventare le mosse del partito mazziniano che “s’infinge, grida Vittorio Emanuele… e tenta di dissolvere e di ruinare il nuovo regno”.

La distanza che ancora separava il “paese legale” da quello “reale” rimaneva enorme, e anche Bologna, passata l’emozione della visita del Re, dovette rendersene conto ben presto.

Otello Sangiorgi

Dal Diario di Filippo Buriani, 1 maggio 1860. Bologna, Collegio Artistico venturoli.
“...Il Re perciò, entrando in città, vide tutte queste strade che ho nominate, in mezzo agli applausi universali, ma non tanti come si credeva essendo la gente mezza indispettita per vedere il tempo a sommo adirato e forse ancora perché S.M. Era indisposta per cagione d’aver viaggiato in legno, cosa che gli dà fastidio, e non potè dimostrare quella tanta compiacenza che sentiva in vedersi sì ben accolto...”

Da Francesco Majani, Cose accadute nel tempo di mia vita, a cura di Angelo Varni, Venezia, 2003, pp. 278-285

Per quanto potrò dire in questa mia narrazione, non dirò mai bastantemente tutto quello che si è fatto e veduto nella nostra Bologna nell’occasione della venuta del nuovo nostro Rè Vittorio Emanuele. Quasi tutti li giorni del Mese di Aprile sono stati sempre di piogia con un Cielo fosco e turbidissimo, ed’alla fine di questo Mese il Rè si prese da Torino ed’andiede a visitare la Toscana, in quei pochi giorni che percorse quelle Città fu sempre tempo cattivo di maniera chè le loro feste e preparativi furono disturbati dal cattivo tempo, era qualche giorno che si atendeva la sua venuta quì a Bologna, Il nostro Monicipio era qualche tempo che preparava il tutto per il ricevimento di questo nuovo Rè tanto desiderato, ed’aveva fatto varie Comissioni che attendessero ai vari rami di questi preparativi e cioè, una per la villa di San Michele in bosco per tanti letti mobiglie e corredo per tanti personaggi, Un altra per la direzione dei Teatri, Una per le beneficenze ai poveri e vestizione di N 400 fanciulli di Anni 7 ai 11 mettà maschi e mettà femine, ed’una per i lavori da farsi fuori alla Bariera di Santo Stefano che formarano un semicircolo di ponti e palchi per tutte le Autorità con delle antenne altissime da porvi in cima delle bandiere e stemi con un bellissimo apparato, quì si preparava nella piazza grande un gran lavoro per la Illuminazione coprendo tutta la facciata di San Petronio con un Armatura di legno che deve portare Migliaja di lumini che debono rapresentare tutto il disegno come dovrebbe essere la faciata se fosse terminata, ed’in mezzo alla Piazza formarano un armatura con delle scaffe rotonda ma sfaciata da porvi sopra tanti vasi di fiori con altri per terra che formava una gran giardiniera tutta quanta illuminata col Gas avendo fatto appositamente un condotto con tanti giri di cannoni di piombo che gli giravano attorno, e nel mezzo avevano fatto un altro condotto coll’aqua del Cigante, che asendeva a una certa altezza e tramandava fuori tanti piccoli spinelli di aqua contornata da fiori, che veramente la sera illuminata era una cosa magica da vedere, con tanti altri preparativi in tutte le altre facciate sia quella del palazzo del Podesta e portico del pavaglione, piazza del Cigante e per tutta la Città, che una Illuminazione simile non si era mai veduta, e sarà cosa difficile il vederne un altra consimile.

Finalmente venne l’avviso che il Rè sarebbe venuto a Bologna il primo giorno di Maggio in martedì alle ore quattro pomeridiane, e come ho detto sempre pioveva come pure seguitò tutta la mattina sino ad’un ora doppo mezzo giorno che cessò la piogia, io non ero sortito di casa e non mi sentivo la volontà di andarlo a vedere al suo arrivo se non fosse altro per la gran Strada cattiva che non si sapeva ovve porre li piedi per non infangarsi, e anche perchè da un momento all’altro poteva ritornare a piovere, nonostante alle ore trè mi risolsi di andarvi, presi la mia Ombrella ed’andai sotto il portico della Gabella vecchia e viddi che la cavaleria dei lancieri chiudeva tutta la strada guardando verso il mercato di mezzo ossia verso la torre, con una folla di gente che non si poteva passare, traversai la strada didietro alla fila dei Cavalli e potei inoltrarmi alla cantonata del Palazzo in facia alla prima bottega dei Scafieri, ovve avevano fatto diversi ponti che erano pieni di gente, sino in piedi a dei fittoni di macigno che sono in quella località, mi fermai non potendo andare più avanti dalla calca, davanti a mè vi erano molte persone sino alla fila dei Soldati che tenevano apperta la strada ovve doveva passare il Rè, benchè ero didietro essendo alto di statura ed’avendo sotto un piano un poco ellevato vedevo benissimo, ma mi rincreseva stare del tempo coi piedi su quel paltano, come pure frà tanta calca, ma la fortuna volse che il Rè solecitò ed’in vece delle ore quattro arrivò poco più delle trè e un quarto che lo viddi benissimo e me nè ritornai subito a casa ec.

Quanto il Rè arrivò al Casino Mazzacorati nel Suo legno da Viaggio che è fuori di Strada Stefano mezzo miglio, entrò in un legno scoperto del sudetto Mazzacorati lui ed’il Ministro Farini, arrivato alla Barriera si fermò in mezzo al cerchio ovve vi erano tutti li Magistrati che forse gli presentarano le chiavi della Città ad’un Rè che è diventato il padrone, non è a dire li Evviva ed’il chiasso delli astanti, il tutto era apparato con stemi e bandiere, tutti quei palchi erano pieni di Signori e Signore, la nostra guardia Nazionale e Cavaleria li faceva scorta e corona, Entrò in Città la strada era tutta apparata con piedistalli fatti all’altezza d’un vomo con vasi d’agrummi e fiori, voltò per cartoleria nuova, Strada Maggiore, Mercato di mezzo, voltò dal Cigante ed’entrò in San Petronio che fù ricevuto da dieci o dodici Preti di quelli senza il codino, che chi sà che sorta di relazione sarà andata a Roma a suo carico, che in questi momenti se potessero gli manderebbero la Scomunica, la privazione di poter dire la Messa, di Confessare, sarebbero spretati ed’imprigionati ec ec.

La Chiesa era tutta apparata con un bellissimo Altare di cera vi erano ad’aspettarlo tutti i Coleggi e Tribunali con un popolo grandissimo. Il Rè andò nel suo scabello dimostrando una gran devozione, subito fu esposto il SS:mo ed’intuonarano il Dedeum che la grande orchesta di Musica lo proseguì, doppo fu cantato il Tantum Ergo indi la Benedizione, doppo la quale il Rè andò per pochi istanti in palazzo, ed’entrò in una carozza coperta così detta un brun ed’andò su per san Mamolo a san Michele in bosco che in tutto quel tratto di Strada nessuno lo poterono vedere. In molti punti delle strade che percorse, vi erano delle bande che suonavano al suo pasaggio, tutte quante affolate di Popolo che non si stancava di aplaudirlo, essendo venuto a Bologna una quantità di Forestieri e campagnoli benchè il tempo e le strade erano cattive. Sorge la mattina del Mercoledì 2 Maggio a dispetto dei retrogradi Serenissima, che sembrò di risorgere, doppo più di un mese di cattivo tempo, appena giorno subito un movimento per la Città che si legeva nel volto di tutti una certa allegria e contentezza, a tutte quante le finestre furono messi fuori li tapeti che in tutti vi era nel mezzo lo stema dipinto e dorato in carta della Casa Savoja. Alle ore nove il Rè si prese da San Michele in bosco e venne in Città in un legno scoperto, jo ero fermato dal mio barbiere in San Mamolo dai Celestini che vi era tanta gente schierata che aspettava per vederlo passare, ma nel piu bello voltò dalla barchetta che tutti noi restassimo a bocca asiutta, andò per il pavaglione traversò la piazza d’avvanti a San Petronio ed’andò in palazzo, subito la piazza venne piena di gente che gridava Evviva il Rè Evviva Cavur, il Rè si affaciò più volte ad’una di quelle finestre di sopra vicino a quella Madona che io lo viddi per due volte, si fermo in palazzo sino al mezzo giorno che ritornò a San Michele a pranso esendo avvezzo a pransare presto, circa alle ore quattro ritornò in Città ed’andò all’Archiginasio ovve vi erano tutte le Dame e Signore promotrice del regallo fatto al Rè della valdrappa sella e finimento per il suo Cavallo, tutta ricamata da esse in argento e gemme, come pure tutto il finimento guernito con le fibbie e Staffe d’argento tutte cislate dai migliori artisti, e la testiera del Cavallo tutta guernita di gemme a trè colori ec.

Dal Archiginasio passò alla Università quasi sino a sera, e non sò se ritornasse a San Michele ho rimanesse in Città sino alle ore dieci in punto, che andò alla gran festa di ballo al nostro Teatro Comunale che vi stette quasi sino alla mezza notte. Li capi della Comissione per la direzione dei preparativi al detto Teatro erano il Conte Giovanni Malvezzi, il Conte Agostino Salina, il Principe Simonetti, il Signor Severino Bassi e forse altri ec li quali non risparmiarano nulla per rendere quel Teatro di una fogia Maestosisima che fece meravigliare il Rè con tutti quelli della sua Corte, e masimamente tutti i forestieri restarano sorpresi al vedere una tanta munificenza, che tutti quanti il giorno doppo nè parlavano facendo mille eloggi, la qual festa durò sino alle ore cinque della mattina, avevano diramati circa quatro milla biglietti ai primari Signori ed’Ufficialità; non posso descrivere le toelette e vestiario con le gioie delle Signore, appena che il Rè fu entrato nel suo palco che al difuori vi era un panno di veluto rosso con in cima una maestosa corona tutta dorata, Sesanta Signore diletanti di canto che stavano in mezzo al Teatro entro ad’un recinto contornato da un cordone sostenuto da tante piccole aste fermate nel pavimento, ovve vi erano quattro piani e forti, queste Signore doppo che furono cessati li Evviva e le aclamazioni fatte al Rè, cantarano un Ino di salute al Rè diretto dal bravo Maestro Liverani, e doppo questa cantata cominciarano le due Orchestre a suonare per le danze, pocco doppo che fu cominciato il ballo il Rè col suo seguito venne giù a mescolarsi fra li altri girando per il teatro e si fermò per qualche tempo stando a vedere ballare, e rivolse qualche discorso con due o trè delle nostre Signore forse a quelle che le andavano piu a suo gegnio, fra le quali ad’una certa Dalolio; Vi era un altra orchesta per ballare anche nell’Atrio, il quale e tutto Apparato di Veluto rosso con dei grandiosi specchi, perchè avevano chiuso ed’apparato il portico che questo venne a formare il primo Atrio ovve entravano tutti i Signori, doppo il quale vi era l’altro come ho detto con l’orchesta per ballare, di lì si entrava nel gran Teatro che era un vero incantesimo per le gran lumiere e bracci a tutti i palchi contornati con festoni di fiori, da pertutto vi erano nei pavimenti dei bellissimi panni d’arazzo.

Nei loccali che sono a destra ed’ha sinistra del Atrio, avevano formato due lunghe tavole fatte quasi a semicircolo apparechiate e guernite di candelabri con una quantità di Alzate piene d’ogni sorta di bomboneria e dolciari, in questi due luoghi si dispensavano gratuitamente a tutti in generale, gelati in pezzi di varie sorta, Sorbetti e granite, Semate, bibite di varie qualita, Caffè nero e Caffè col latte, in ogni tavola vi erano Dieci o dodici Camerieri dalla parte didentro che mantenevano sempre li Cabarè pieni di ogni sorta di gelati e bibite, altritanti Camerieri erano al difuori per servire tutti quelli che si presentavano che sempre vi fu la calca. Altra tavola più bella e piu lunga era in fondo alla sala del Teatro fatta anch’essa a semicircolo, che si poteva vedere la belezza dell’apparecchio di quella tavola sia per li candelabri, sia per le Alzate di cristallo piene di dolci e bomboneria, per tutti li piatti e cabarè d’argento ripieni di dolciari con una alleganza sorprendente, con vari vasi d’argento fatti in diverse forme per il servizio dei Tè dei Caffè ec, anche a questa tavola una quantità di camerieri parte didentro e parte di fuori tutti in abito nero coi guanti bianchi ec.

Il consummo di questo rinfresco dato al Teatro alle sudette trè tavole a Gratis, fu circa di trè milla pezzi gelati di varie qualità, altre trè Milla sorbetti, due Milla granite che queste in tutto sono Otto Milla, senza le migliaja di bibite di limonata, di Arance, di flambos, di Marena, di Tè, e di Caffè, Con circa dodici ho tredici Milla fra paste e bomboni. Il vedere il maneggio che vi era nelli ambienti didietro alle sudette trè tavole che servivano da bassi comodi ovve vi erano tutti i Mastelli colle sorbettiere con tanti altri recipienti necesari per le aque. Venivano li Camerieri uno doppo l’altro a due a trè alla volta coi cabarè pieni di piatine e bichieri sporchi, questi da una parte con solecitudine si sgomberavano vicino a quelli che avevano la incombenza di lavare e siuttare, passavano dai gelatori che avevano la roba netta e sempre riempivano che non facevano la parrata, vi erano altri che la sua incombenza non era altro che riempiere li bichieri dalle diverse aque, un andare e venire senza confusione perchè tutti avevano una sola incombenza, vi erano quattro Vomini che la sua incombenza era soltanto di mantenere l’Aqua perchè la dovevano andare a prendere con dei bigonzi li in faccia al Teatro in Casa Malvezzi, in tutto questo smanezzo lavoravano fra Camerieri gelatori, lavatori e siugatori Cento venti persone, e non sò dire la quantità di biancheria che ci volse per siugare tanta roba, E non si ruppe che trè ho quattro piatine, sette ho otto bichieri che erano tutti fini rodati, come pure le piatine e cappe erano tutte di porcellana, e fra circa un quatro cento cochiarini d’Argento soltanto due andarano perduti. Riessì tutta roba squesita perchè fatta senza risparmio da dei bravi gelatori, che il capo direttore era un certo Leandro N.N.

Sono costretto in questa circostanza e con mia consolazione di dare lode a Giuseppe Majani mio Nipote che ha avuto tanto coraggio di prendere un simile lovoro totalmente sotto alla sua direzione e responsabilità in faccia ai primi Magistrati di Bologna, in faccia a tutta la Nobiltà ed’Ufficialità, Forestieri, ed’a tutto il Publico, che in un affare così imponente vi era la maniera di farsi corbellare, soltanto per li atrezzi necessari che gli mancavano, che se non era Amico e ben volsuto da vari caffetieri che gli prestarano mastelli e sorbettiere con altri ogetti ec Che grazia Iddio il tutto andò con ordine senza il minimo inconveniente. Ho fatto la retro detta descrizione perchè la stessa sera giocai in casa mia come il solito sino alle ore dieci, e presi il mio capello ed’andiedi al Teatro non già fra mezzo ai Signori, ma bensì fra mezzo ai lavoranti caffetieri e camerieri che jo viddi il tutto, perchè vi erano due porte latterale ed’una nel mezzo che metevano alla gran tavola che restava entro il Teatro, quanto io arrivai era già finita la cantata delle sesanta Signore che avevano cominciato a ballare, mi tratenni in quel divertimento sino doppo le due doppo mezza notte, presi due ho trè gelati con una qualche pasta dolce, che in quella sera vi sarebbe stata la maniera di gellarsi la pancia chi fosse stato un ghiutone.

Ho detto quì adietro a carte 459 che vi erano dieci ho dodici Preti a ricevere il Rè in San Petronio, onde giorni doppo ho rillevato da una gazetta il Coriere dell’Emilia che erano in trentaquattro frai quali due Cannonici ec. Ritorniamo al nostro Rè, la mattina del Giovedì 3 Maggio andò a visitare il Tempio di San Lucca e passò alla Certosa il dopo pranso alle ore quattro si prese da San Michele in bosco e venne in Città a cavallo con tutto il suo stato maggiore, che io ero all’ultima finestra vicino alla porta San Mamolo in casa del Signor Luigi Berti al piano di mezzo che lo viddi benissimo, come pure lo viddi jeri alla stessa ora che venne in legno che mi trovavo sul marciapiedi del giardino Salmi che avevo preso una sedia che quanto passò mi levai il capello salutandolo chinando piu volte la testa, apunto mi guardava e vedendo questa testa coi capeli bianchi salutarlo, anch’esso chinò la sua Raviola, ed’andò nella Muntagnola a fare una rivista alla Truppa e ritornò a San Michele perchè la sera vi fù la grande illuminazione distribuita prima dalle ore otto alle nove grande Illuminazione a San Michele, con fuochi del bengallo in tutte le colline atorno anche di qualche distanza, tutti fuochi di diversi colori che era una cosa magica da vedersi, ed’in varie località si vedeva sendere dei fuochi artificiali con delle belissime piogie ec. ec. Dopo le ore nove il Rè venne in Città in carozza per vedere la generale illuminazione che girò in tutti i migliori punti della Città ovve vi erano delle belle prospettive, prima la gran piazza che non si può descrivere, soltanto la faciata di San Petronio era tutto un bel disegno tutto quanto illuminato, la piazza del Pavaglione, la strada delle chiavature, quella delli Orefici e Spaderie, erano cose belle tutte illuminazioni una diversa dall’altra, il portico della Gabella vecchia, il mercato di mezzo e la Torre che da cima in fondo sembrava che bruciasse, era una cosa belissima la Mercanzia, e strada Maggiore sino ai Servi, che quì poi esendovi il quartiere della Guardia Nazionale avevano fatto in mezzo a quel cortile ad’una certa altezza un trionfo composto di tante Armi che nel fondo vi erano quattro cannoni con davanti le sue muchie di palle, sopra dei giri rotondi di fucili e carabine, sciabole squadroni e pistolle, tamburi e trombe, Amblemi e bandiere, il tutto ben disposto in una bella simetria, guernito il portico tutto attorno e nel Cortile di tanti vasi d’Agrumi e fiori, con una certa illuminazione di tanti bichierini a vari colori composti in tanti festoni ed’Archi che tutta quella località era una meraviglia da mirarsi, che anche il Rè restò sorpreso. Nel prato di Sant’Antonio li Ingenieri del Genio adetti alle fortificazioni, avevano fatto una altissima collona composta di tanti borgotti di quelli che guerniscono le fortificazioni, ed’il piedistallo era fatto di tanti fassi di vimine che anch’essi servano per le fortificazioni, e lungo il prato nei due latterali avevano fatto altre tante piccole collone che dall’una all’altra portavano un festone di tanti baloncini di carta a diversi colori che la sera il tutto illuminato mi dicono che era una cosa bella che io non andai a vedere in causa della gran calca che non si poteva girare quasi in tutte le Strade della Città, perchè io e mia Moglie doppo aver veduto così alla meglio la piazza e la faciata di San Petronio, volevamo andare a vedere la torre la Mercanzia ed’i Servi, ma nel fare il Mercato di mezzo andassimo a rischio di rimanere sfritolati, che con gran stento arrivassimo dalla Torre, ma non potemmo avvicinarsi alla Mercanzia, che presi il consiglio di andarmene via giù per li viccoli del Inferno e venire a casa, perchè tanto jo che mia Moglie fra tanta calca non potevamo resistere effetto della Vechiaja ec.

E stato un gran prodigio, e una vera grazia di Dio che nel fare e disfare tante machine ed’Armature, soltanto quel gran lavoro della facciata di San Petronio nessuno sia pericolato, e che tutti quanti i lavori di sì grande altezze come la torre siano tutti andati bene senza il minimo inconveniente, e che non si è sentito fra tanto popolo nessuno insulto, nessuna offesa, nessuno rubamento, nessuna coltellata, nessuno aresto, nessuno Allarme, in mezzo a tanta forestiraglia che in tutti si legeva nel volto la Allegria e contentezza. Avanti che ritorna una cosa simile a questa, come pure quanto venne Masimo d’Azeglio paseranno molti Anni, ma io posso dire di essere campato tanto per vedere quello che ho veduto, tutte cose che al certo li nostri antenati non hanno mai veduto, perche tutte le sienze ed’arti in questo secolo hanno fatto uno slancio non plus ultra.

Il Rè dopo aver girato per la Città in carozza a mirare la illuminazione ritornò a San Michele a dormire sino alla mattina del Vanerdì 4 Maggio, che alle ore Nove lasciò San Michele venne in Città per partire, traversò Bologna per andare fuori di porta Gagliera alla Stazione della strada ferrata, tutte le strade erano piene di gente che lo salutavano con delli Evviva, quanto fu al Vapore li Cannoni anunziarano la sua partenza ec. E prima di partire rivolse al Senatore o Sindaco Pizzardi le seguenti parole; Significhi a tutti la mia sodisfazione e il mio agradimento pel modo affettuoso con cui sono stato accolto, e nè ringrazi cordialmente tutti. Dica che ho interpretato le dimostrazioni fattemi come una conferma dei sentimenti che la Città di Bologna ha sempre professato per la causa Italiana ec. [...]. Ho letto in una gazetta che il Rè lassiò varie somme per dei lavori e beneficenze, che non mi ricordo nè le somme e nè come debbono essere errogate, come pure ho letto che Onoreficò del tittolo di Cavaglieri molti dè nostri Signori.