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Il moto di Savigno del 1843

1843

Schede

Si possono far risalire al maggio 1838 i prodromi del moto di Savigno, quando Nicola Fabrizi (1804 - 1885) invia a Pasquale Muratori (1804 - 1861) un documento ove delinea le caratteristiche della Legione Italica, l’organizzazione che costituirà l’anno seguente. Nelle sue intenzioni la necessità di fondare una nuova associazione è la reazione agli anni della tempesta e del dubbio mazziniani. Infatti, alcuni affiliati scambiano tale silenzio per apatia e sono attratti dalla Legione Italica che si propone l’azione poiché si considera il braccio armato della Giovine Italia. Giuseppe Mazzini (1805 - 1872) comprende immediatamente che le due associazioni non possono coesistere per la loro diversa concezione di popolo. Per Mazzini prima viene il pensiero e poi l’azione: “Non la sola guerra, ma ci corre debito preparare per ogni via la risurrezione e l'emancipazione del popolo, unico principio fondamentale che riconosciamo ai liberi Stati. Se anche gli eserciti regolari ci bastassero a vincere, noi dovremmo pur sempre promuovere colla parola e coi fatti la guerra sacra, la guerra del popolo.”(1) Per Fabrizi è l’inverso: “L'immaginarsi che una nazione come l'Italia divisa per forma di Governi differenti, pel modo e la forza che ne comprimono, ancorché unita nel pensiero della sua rigenerazione, possa alzarsi come un monco, ad un sol atto di volontà concorde e schiacciare tutto il peso che la opprime, è immagine fuori di ogni possibilità, e l'attendersi sull'accordo della volontà e dell'ardire un patto di tal sorta è una fiducia a ciò che sta oltre ogni umana potenza.”(2) Tutti gli sforzi di Mazzini di far recedere Fabrizi dal costituire la Legione Italica sono vani, i rapporti tra i due si raffreddano. Nel frattempo, Nicola Fabrizi ha intessuto relazioni e delineato un piano insurrezionale che dovrebbe iniziare il 31 luglio 1843. Così, il 24 luglio, Mazzini gli scrive, nell’estremo tentativo bloccare il moto di Savigno: “Giochi le speranze Italiane di otto o dieci anni: di tanto ci porterà indietro un tentativo fallito; e questo pure non importerebbe gran fatto se il portare indietro d'otto o dieci anni l'iniziativa Italiana non distruggesse il nostro più bel pensiero, quello dell'iniziativa Italiana stessa.”(3) Ma è troppo tardi per fermare l’ingranaggio organizzativo del progetto sovversivo ordito da Nicola Fabrizi.

La scelta di Savigno come luogo di svolgimento della sollevazione deriva da una concomitanza di eventi. A Bologna, da metà luglio 1843, cominciano a circolare voci che danno per imminente una sollevazione nei pressi della città e che degli emissari stiano arruolando degli uomini per tale scopo. Dapprima, il cardinale legato Ugo Pietro Spinola (1791 - 1858) non dà molto credito a tali rivelazioni ma, per verificare la fondatezza di tali confidenze, il colonello Stanislao Freddi (1782 -?) invia a Savigno ventiquattro carabinieri pontifici, comandati dal capitano Castelvetri, che il 12 agosto 1843 si acquartierano nella locale osteria per esperire le indagini. Intanto, ai primi d’agosto, Pasquale Muratori si dà alla macchia, ed accoglie i ribelli che, alla spicciolata, giungono da Bologna. Nel piano originario la rivoluzione sarebbe dovuta partire da Napoli, il 31 luglio, per poi risalire verso Nord fino a congiungersi con la sollevazione di Bologna. Proprio per definire gli ultimi dettagli, nel luglio 1843, il conte Tito Livio Zambeccari (1802-1862) si reca a Napoli ma, dopo che egli ha già lasciato la città partenopea, il locale Comitato retrocede dagli accordi. Nel frattempo, le indagini del capitano Castelvetri stanno irrimediabilmente compromettendo l’esito del moto, per cui Pasquale Muratori è costretto a rompere gli indugi e a scendere a Savigno, sia per impossessarsi dei verbali degli interrogatori, che per spronare i bolognesi a dar ugualmente corso all’insurrezione, anche senza l’appoggio di Napoli. La mattina del 15 agosto, alla testa di poco più di sessanta uomini, non tutti armati, scende da Mongiorgio diretto a Savigno. Quando i ribelli giungono in paese, i carabinieri all'interno dell'osteria sono tranquilli: da solo un quarto d’ora il capitano Castelvetri ha mandato, in perlustrazione lungo il fiume Samoggia, dieci uomini comandati dal brigadiere Clemente Paolini. All’arrivo degli insorti i carabinieri si barricano all’interno dell'osteria sprangando porte e finestre, mentre i ribelli si dividono in tre gruppi: uno fronteggia i dieci militi nei pressi del fiume, gli altri due si dispongono su due lati dell’osteria. Il drappello di Paolini cerca invano di rientrare nell’osteria poi arretra verso il fiume e per circa un’ora contrasta l’assalto dei ribelli, ma deve retrocedere. Muore il carabiniere Lambertini. Per tre ore i carabinieri asserragliati all’interno dell’osteria sostengono la battaglia ma i ribelli, ricongiunte tutte le forze nell’attacco all’osteria, riescono a sfondarne la porta d’ingresso. Nell’attacco muoiono i carabinieri Luppi e Pedretti e il brigadiere Marzari, mentre tre carabinieri vengono catturati, insieme al capitano Castelvetri e Antonio Barattini, volontario pontificio e speziale di Savigno. I ribelli, che non hanno subito perdite, legano tra di loro i prigionieri, eccetto il capitano. Quest’ultimo, mentre sta camminando tra Pasquale Muratori e Gaetano Turri, viene raggiunto dal volontario pontificio Ferrari, un messaggero inviato dal colonnello Freddi, con degli ordini per lui. Il volontario non comprende la situazione e consegna al capitano i dispacci, ma viene immediatamente bloccato e fermato. Dopo aver letto i documenti sequestrati i ribelli si mettono in moto. Il capitano Castelvetri cavalca tra Gaetano Turri e Pasquale Muratori quando, improvvisamente, vi sono diverse scariche di fucile: sia il capitano Castelvetri che il volontario pontificio muoiono all’istante, mentre il volontario Barattini rimane gravemente ferito. Scoppia un feroce diverbio tra Pasquale Muratori e Giovanni Marzari (1815 - 1866), detto il Romagnolo, colui che ha sparato a tradimento al capitano. Marzari però non è stato il solo a tirare ai prigionieri: infatti, durante il processo, alcuni ribelli indicheranno tra gli autori della sparatoria anche Saverio Muratori (1806 - 1873).

Fin dal 15 agosto a Bologna circola un proclama manoscritto che invita la popolazione alla ribellione. I ribelli per otto giorni rimangono nei pressi di Bologna, zigzagando intorno colline della città, per essere pronti a scendere al primo cenno di rivolta. Il 23 agosto, tallonati dalle truppe papaline, giungono al santuario del Monte delle Formiche, dove avviene il primo veloce scontro tra essi e gli inseguitori. I ribelli si sbandano, alcuni vengono immediatamente catturati, altri tentano di rientrare a Bologna come Matteo Pranzini, detto Morotti. Rimasto lievemente ferito ad un calcagno nello scontro di Savigno, Morotti insieme a due compagni si avvicina a Bologna. Il 24 agosto, il gruppetto è avvistato nei pressi della chiesa di San Nicolò a Villola, a Cadriano; vi è uno scontro a fuoco e Matteo Pranzini resta ucciso. A guidare le guardie pontificie al luogo dell’uccisione è l’ispettore di polizia Bianchi che, durante i disordini che seguiranno le giornate dell’otto agosto 1848, viene “giustiziato” da alcuni facinorosi penetrati all’interno della sua abitazione.(1) Intanto, sempre il 24 agosto, a marce forzate, i ribelli giungono a Castel del Rio. Pasquale Muratori tratta col colonnello Freddi le condizioni per una resa, ma la proposta non è accettata, quindi non gli resta che sciogliere la banda. Alcuni ribelli rientrano clandestinamente a Bologna per aggregarsi ai cospiratori che il generale Ignazio Ribotty de Molières (1809 - 1864) sta radunando, allo scopo di rapire tre cardinali che soggiornano alla villa cardinalizia di Torrano, col fine di effettuare uno scambio tra essi e gli insorti catturati. Ma anche tale progetto naufraga. Alcuni degli organizzatori del moto, come il conte Oreste Biancoli (1806 - 1886), il marchese Pietro Pietramellara (1804 - 1849), Giovanni Righi de’ principi Lambertini (1800 - 1870) cercano la salvezza riparando a Bastia in Corsica, così come i fratelli Pasquale e Saverio Muratori, Gaetano Turri, Giovanni Marzari, Luigi Giugni ed altri. Diversi ribelli sono riconosciuti dal cappello bianco all’arlecchina che indossano, simbolo di appartenenza alla banda. Il 26 agosto 1843, il cardinale legato Spinola intuisce una Commissione Straordinaria Militare per giudicare gli insorti. Sette di essi vengono condannati a morte. In via Castelfidardo a Bologna, nel luogo dell’esecuzione, il 20 settembre 1888 venne collocata una lapide commemorativa, con i nomi dei sei ribelli giustiziati il 7 maggio 1844, in ossequio alla sentenza dell’undici marzo 1844. Manca il nome di Giuseppe Gardenghi, contumace al momento del primo verdetto, e fucilato il 16 luglio 1844, in ottemperanza alla successiva sentenza del 26 giugno 1844.

L’odonomastica delle strade di Bologna ricorda alcuni dei protagonisti del moto di Savigno del 1843: troviamo infatti vie intitolate a Pasquale Muratori, Livio Zambeccari e Gaetano Bottrigari. A Savigno è intitolata la piazza principale, al cui centro si erge un obelisco, opera dello scultore Tullo Golfarelli (1853-1928), inaugurato il 15 agosto 1893 e, nel portico del Palazzo Comunale, il 3 settembre 1961, è stata collocata una targa a memento dei patrioti del 1843. Infine, a Bologna, nel Cimitero monumentale della Certosa è presente la cella dei coniugi Saverio e Teresa Muratori, sita nella Galleria degli Angeli, ornata da sculture di Carlo Monari (1831 - 1918).

Luciana Lucchi

Note: 1) MAZZINI GIUSEPPE, Della guerra d'insurrezione conveniente all'Italia, Marsiglia, 1833, fasc. V, pp. 159-97, in Scrittori politici dell’Ottocento, a cura di Franco Della Peruta, Milano, Ricciardi, 1969, tomo I, pp. 441. 2) Lettera di Nicola Fabrizi a Pasquale Muratori, Corfù, maggio 1838, Museo Risorgimento Roma, b. 513, 7, 1. 3) Lettera di Mazzini a Nicola Fabrizi, Londra 24 luglio 1843, in Scritti editi ed inediti, Imola (BO), Galeati, 1906-40, vol. XXIV (Epistolario, vol. XII), p. 198. 4) POMPEO BERTOLAZZI, Cronache Risorgimentali 1831-1849, Bologna, Costa Editore, 1999, pp. 46-47. Bibliografia di riferimento: LUCCHI LUCIANA, ‘Volevamo essere liberi’. Il moto di Savigno attraverso le testimonianze dei partecipanti, in Bollettino del Museo del Risorgimento, anno XLIV-XLV, 1999-2000, Bologna, Tipografia Moderna, 2000, pp. 239-299; Le insurrezioni del Risorgimento italiano. Il moto di Savigno del 1843, in Strenna Storica Bolognese, anno LXI, 2011, Bologna, Pàtron editore, 2011, pp. 261-288; Dieci lunghi giorni sui monti: la vita quotidiana dei ribelli del moto di Savigno del 1843, in Samodia, quaderno n. 11, anni 2010-2011, Funo di Argelato (BO), Tipografia MG, 2011, pp. 7-28; Il costo della libertà. La scelta di voler essere liberi: un confronto tra i ribelli del moto di Savigno del 1843 e i partigiani della Resistenza Italiana 1943-45, in Il Risorgimento italiano nella memoria, concorso nazionale seconda edizione 2020, Ravenna, Stampa Edizioni Moderna, 2020, pp. 10-16.