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Gli italiani di fronte ai prestiti di guerra

1914 | 1917

Schede

“Per fare la guerra occorre denaro. Per finirla ne occorre il doppio. La donna che ama poco fare la guerra e che preferisce vederla finita ha l’obbligo, l’interesse di offrire al Prestito anche l’ultimo dei suoi centesimi”.

La guerra aveva moltiplicato i bisogni della nazione. Per oltre quattro anni le energie produttive di tutti i paesi belligeranti erano state rivolte a sostenere l’impegno bellico. Spesso si trattava di beni che venivano distrutti appena prodotti o che diventavano inutili appena cessata la ragione per la quale erano stati fabbricati. Importanti si erano rivelate, inoltre, le condizioni economiche di partenza dei singoli stati. Per l’Italia vanno sottolineati due aspetti: la sua dipendenza dall’estero per le importazioni di materie prime ed energetiche, di cui era sprovvista, e la scarsa potenzialità dell’industria nazionale. Se il nostro paese aveva fatto nel primo decennio del XX secolo considerevoli progressi rispetto al ritardo con cui si era presentata alla competizione con gli altri paesi europei che già da tempo avevano compiuto la loro rivoluzione industriale, pur tuttavia, di fronte allo sforzo che le richiedeva il conflitto e alle capacità produttive degli altri stati belligeranti, la situazione italiana destava parecchie preoccupazioni, per la sua intrinseca debolezza. L’Italia aveva una produzione di poco più di 900 mila tonnellate di acciaio e nemmeno di 430mila tonnellate di ghisa all’anno, pochissimo se paragonato anche solamente alla produzione austriaca di 2 milioni e 600 mila tonnellate di acciaio e più di 2 milioni di tonnellate di ghisa. Le necessità della guerra, pressanti, crescenti e di vario tipo, spingevano a sollecitare l’incremento produttivo di una macchina di fatto debole e povera. La produzione ovviamente fu aumentata; attorno all’industria di guerra si concentrarono tutti i capitali e le energie; le altre attività, agricole, commerciali, artigianali, dovettero cedere il passo al settore industriale. Per sostenere le spese di questo rilevante impegno si dovette fare ben presto ricorso al prestito interno ed esterno. Il complesso dei prestiti esteri ricevuti dall’Italia in occasione della guerra 1915-18 così come risultò dalla regolamentazione determinata, a conflitto finito, dal piano Young ammontava a poco più di 24 milioni di lire oro del 1913. Successivamente i pagamenti dei debiti di guerra si trascinarono per molti anni e furono oggetto di molti accordi.

All’interno inoltre furono emessi, durante il periodo bellico, cinque prestiti. Significativi i momenti scelti: immediatamente dopo lo scoppio della guerra, per fare leva sull’entusiasmo interventista; nel 1915, quando si pensava alla necessità di sostenere lo sforzo offensivo; nel 1917, prima e dopo Caporetto, quando occorreva unire tutti i capitali, economici ed etici, contro il pericolo di un doloroso tracollo. Un sesto prestito venne lanciato, con i medesimi criteri e con uguale spirito, in fase di avvio della ricostruzione. Più dettagliatamente i prestiti furono:

D. 19/12/1914, n.1371 per un miliardo di lire.
D. 15/6/1915, n. 869 per somma illimitata. In complesso le sottoscrizioni ammontarono a 1 miliardo e 151 milioni di capitale nominale.
D. 22/12/1915, n.1800 per una somma illimitata. In totale furono emessi titoli per 4 miliardi e 66 milioni (oltre 2 milioni in contanti, il resto conferendo titoli precedenti.
D.2/1/1917, n.3 per somma illimitata. Per la prima volta si trattò di un debito consolidato e ne fu dichiarata l’inconvertibilità fino al 1931. Le emissioni ammontarono a 7 miliardi e 150 milioni, di cui poco più della metà in contanti.
D. 6/12/1917, n.1860 per somma illimitata. Le emissioni ammontarono a 6 milioni e mezzo di lire di capitale nominale. La novità rispetto alle precedenti emissioni fu una forma di assicurazione mista a favore dei sottoscrittori attraverso l’Istituto nazionale delle assicurazioni.

Se si guarda bene alle cifre investite si può affermare che la risposta degli italiani fu notevole. Si può però anche aggiungere che essi furono, a loro volta, “travolti” da una propaganda massiccia, coinvolgente, condotta con criteri “scientifici”, pari a quella delle moderne campagne pubblicitarie. “Gli organi direttivi del Governo – scriveva Emilio Grego in uno studio del 1918 dal titolo Come si lancia un Prestito di guerra e dall’ancor più significativo sottotitolo Studio di psicologia applicata - hanno compreso che la pubblicità, che la réclame è la sola forza efficace, l’unica vis a tergo che può spingere il pubblico a rendersi consumatore di ciò che offrono al consumo”. Pubblicità e propaganda vennero considerate quali condizioni essenziali per il successo dell’iniziativa. Per questo furono rilevanti due elementi: una buona presentazione del prestito, in modo che l’eventuale acquirente venisse sollecitato dai reali vantaggi che gli venivano assicurati; una chiara individuazione dei referenti. “E’ indispensabile studiare bene le classi di persone suscettibili d’interessarsi all’oggetto della propaganda, per indirizzare questa a influenzare il massimo numero di persone suscettibile di essere influenzato”. Interessante da questo punto di vista il ruolo attribuito a donne e bambini.

Alla donna ci si rivolgeva facendo leva sugli affetti personali (il figlio, il marito, il fratello impegnato al fronte) o sul ruolo di “conduttrice” di un’economia familiare, cui veniva metaforicamente assimilata la Patria, famiglia più grande e totalizzante. Nella vita di ciascuno, le si ricordava, ci sono momenti normali e momenti eccezionali. E’ in questi ultimi che occorre esaltare il proprio spirito, la propria esistenza. “Noi signore – affermava Gilda Chiari Allegretti, membro della Fondazione Emiliana del Consiglio Nazionale delle donne italiane, in una conferenza svolta presso l’Università popolare di Bologna il 20 gennaio 1916 – siamo ad un tempo, nell’ora attuale, spettatrici ed attrici di uno di questi periodi, e fenomeni psicologici e sociali, che si verificano ogni giorno in noi e attorno a noi, sono del più alto interesse scientifico e umano. L’intensità e la novità delle funzioni a cui il gruppo sociale è chiamato in quanto momento storico ne ha ringiovanito i vecchi organi e ne ha creati di nuovi, non solo, ma ha determinato fra essi una sinergia quasi perfetta, che la necessaria vicenda delle parti rende pressoché impossibile in tempi normali. Potete constatarlo in voi e fuori di voi: ognuno, da quando la guerra è incominciata, ha interrogato se stesso, cercando coscienziosamente in sé se non avesse, oltre a quelle ordinarie, qualche risorsa straordinaria da sfruttare per il santo scopo; e attitudini e disposizioni insospettate sono venute alla luce; si sono moltiplicati gli adattamenti; incanalate le energie disperse; raccolte e messe in valore tutte le forze materiali o morali improduttive, inerti o latenti; si sono sommate le ore, i minuti abitualmente perduti o disponibili; e ognuno ha trovato tempo per più cose; ognuno ha osato, e il ritmo della vita ne è riuscito più intenso, più raccolto e più celere”. E le energie, le attitudini, le forze materiali e morali dovevano essere guidate verso un solo pensiero, un solo obiettivo: le sorti della Patria. “Desidero – continuava la relatrice – solo invitarvi a raccogliere il vostro spirito e a meditare su gli argomenti che verrò esponendo, concedendomi l’attenzione che in ogni nobile spirito di donna trovano sempre le questioni dove si sommano e si intrecciano gli interessi riuniti del dolce focolare domestico e della Patria”. La donna è anche, per sua natura, risparmiatrice, in lei si sommano spirito di sacrificio e inclinazione all’ordine, pregi finora tenuti nascosti all’interno del focolare familiare; ora invece era venuto il tempo di rendere pubbliche tali virtù. “Questa vestale moderna è egualmente preoccupata di mantenere vivo il fuoco dell’ara e di provvedere e conservare il combustibile che lo tiene acceso. Ebbene per queste condizioni di fatto, la Federazione Emiliana del Consiglio Nazionale delle donne italiane ha pensato che grande vantaggio verrebbe al Prestito (ed alto significato sociologico ed etico avrebbe il fatto!) se si riuscisse a farvi affluire i mille e mille modesti rivoli del risparmio femminile; se si pervenisse a deporre questi prodotti nascosti della virtù e della previdenza muliebre nelle pie mani protese della Patria”.

Anche i bambini sono chiamati a volgere i loro “cuori di piccoli italiani” alle sorti della nazione in guerra. “Soldato anche tu, giovinetto – li esortava un opuscolo del 1918 intitolato Patria e riscossa – che alla guerra devi dare più di quello che non le abbia dato fino ad oggi”. Se la guerra ha privato le famiglie delle forze più valide, chi è rimasto deve occuparne il posto e raccogliere, in questo nuovo ruolo, tutte le sue forze. “Oggi ogni soldato si fa eroe e ogni cittadino, uomo o donna, vecchio o bimbo, deve imitarlo superando il dovere, dando fino all’impossibile. Anche tu, giovinetto”. Ai bambini si chiedevano risparmi e sacrifici sui loro bilanci personali. Li si esortava a non esagerare in “balocchi, dolciumi, libri, quaderni, cinematografo”. E’ però poco credibile che nelle ristrette economie delle famiglie italiane nel 1918 si potesse dare ai bambini del denaro per caramelle, svaghi di lusso o che si potessero acquistare capi di abbigliamento ricercati o superflui. Molto spesso in effetti l’enfasi della propaganda finiva per sbagliare o meglio eccessivamente accentuare toni e contenuti. Questa osservazione induce ad altre sottolineature circa i fattori su cui tendeva fare leva la campagna propagandistica a favore dei prestiti. Come si può leggere ancora nel testo del Grego, fondamentale risultava accentuare i “fattori sentimentali emotivi”, ma anche legarli all’idea della convenienza. “Così, nello studiare le condizioni di emissione, sia come prezzo, sia come metodo di pagamento, sia come tecnica generale, dell’emissione medesima, lo Stato e gli Enti garanti avranno procurato di dettare le norme più vantaggiose e allettanti per i sottoscrittori”. Per raggiungere l’obiettivo risultavano quindi indispensabili approfonditi studi sulla “complessa psicologia” e sulla “mentalità” del sottoscrittore, per creargli intorno un’atmosfera di interessi talmente intensa e tale da fare emergere “il bisogno” di sottoscrivere. “Sottoscrivere al Prestito Nazionale significa compiere un atto patriottico: assistere con sollecitudine fraterna coloro che combattono, dare un contributo alla vittoria. Sottoscrivere al Prestito Nazionale significa fare il migliore impiego del proprio capitale, il più sicuro, garantito dalla firma dell’Italia” (L.Bertelli Il segreto della vittoria, 1916).

Ma ancor più interessante è, a tal proposito, l’opuscolo “…e vincere bisogna” del 1916, quando (ancora in occasione dell’emissione del IV prestito), per evidenziare l’aspetto di investimento sicuro dell’operazione, scesero in campo autorevoli voci di economisti: Luigi Einaudi, professore di Scienza delle finanze a Torino, Federico Flora, docente della medesima materia a Bologna, Giuseppe Prato, docente di Economia a Torino, Camillo Supino, docente di Economia a Pavia, Ghino Valenti, professore di Economia a Siena, Francesco Coletti, docente si statistica a Padova. “Potranno gli odierni Stati belligeranti, all’indomani della guerra, pagare gli interessi dei colossali prestiti pubblici contratti per sostenere il conflitto? E’ la domanda che ad ogni nuovo appello dello Stato in armi, si rivolsero sempre vicendevolmente i risparmiatori di tuti i paesi, non appena il prestito divenne l’unica entrata straordinaria capace di sostenere l’aspra prova della guerra. L’estrema facilità con cui gli interessi dei prestiti bellici vennero di poi pagati, e molta parte di essi estinta, confortata anche dall’esempio della Spagna, del Giappone e della Russia, non valse ad impedire che la domanda, viva e urgente, si ripetesse. E ciò specialmente in questi nostri giorni, grigie ferrigni, per la grandezza romana assunta dalla lotta che dall’agosto 1914 all’ottobre 1916 costrinse le sei maggiori Potenze, avvolte nella tempesta, ad emettere 312 milioni di prestiti che esigeranno, per il loro servizio, non meno di 15 miliardi di nuove imposte. Tale preoccupazione, oltremodo nociva alla resistenza della Patria, è del tutto infondata. Per quanto ingenti, non difetteranno mai ali Stati moderni le entrate per pagare puntualmente e integralmente gli interessi dei prestiti di guerra e per estinguerli all’epoca convenuta”. Questa la fiduciosa certezza espressa da Federico Flora cui si accompagnava l’immagine forte del paese che dava Ghino Valenti: “Ora finalmente l’Italia si presenta agli occhi del mondo come una grande Nazione. Questo accresciuto nostro prestigio ci gioverà sovra tutto economicamente. Mantenendo pertanto la solidità della nostra Finanza, noi prepareremo nel miglior modo quello sviluppo avvenire, agricolo, industriale e commerciale, a cui tutti gli italiani anelanti volgono lo sguardo come al loro meritato premio”.

Anche Gilda Chiari Allegretti rivolgendosi alle donne non mancava di rassicurarle sul fatto che esse avrebbero potuto in qualsiasi momento recuperare il loro investimento senza nessuna perdita, perché i titoli rimborsabili a data fissa non ribassavano mai notevolmente; inoltre, finita la guerra, le nuove obbligazioni sarebbero enormemente cresciute di valore e quindi facilmente commerciabili. “Signore – affermava l’Allegretti – qualcuna di voi potrà, da un punto di vista ideale, meravigliarsi ch’io abbia fatto appello al tornaconto prima che al patriottismo. Non questo dovrebbe essere il motivo subordinato a quello dominante della nostra condotta in questo momento, ma viceversa. Senza dubbio nel campo dell’etica pura il motivo disinteressato è il più alto. Ma io mi permetto di rispondere alla possibile osservazione così. Prima di tutto i maestri in scienza delle finanze insegnano che la fortuna dei Prestiti di guerra è connessa a ragioni economiche prima che politiche; che in materia di Prestiti pubblici l’adempimento di un dovere civico deve risolversi sempre in un beneficio. Secondariamente le mie sollecitazioni sono rivolte soprattutto al piccolo risparmio, e in coscienza nessuno potrebbe onestamente pretendere che questa guarentigia della consistenza economica della famiglia, e segnatamente della donna, venisse, senza adeguato, immediato compenso, concessa allo Stato; che questo prodotto della rinuncia e del sacrificio fosse anch’esso rinunciato e sacrificato. Ciò che del resto, per gl’intimi legami esistenti fra lo Stato e gli istituti minori che si svolgono nella sua cerchia, si risolverebbe in un danno, non in un vantaggio dello Stato medesimo. Duro era il giudizio riservato a chi non si faceva coinvolgere, in alcun modo, da questa martellante opera persuasiva. Chi per indifferenza o egoismo personale non capiva le necessità della Patria assumeva un atteggiamento colpevole pari a quello di un soldato che in guerra non avesse voluto sparare contro il nemico per risparmiare le pallottole; “colui che in tempo di guerra non presta allo Stato i suoi risparmi fa la stessa speculazione idiota e malvagia”. L’uomo, si diceva, in momenti tragici, quando maggiore è la necessità di essere tutti uniti per un solo fine, deve ragionare col cuore. “E il prestito nazionale apre appunto la via al cuore dei nostri combattenti per mettervi la fede, poiché dà loro la sicurezza che il cuore di tutta la Nazione palpita col cuore dei suoi soldati”. (L.Bertelli, Il segreto della vittoria)

Ma in ogni individuo tutte le azioni, se ridotte a due cause, dipendono dal cuore (amore o odio, riconoscenza o rimorso, paura o eroismo) e dal denaro (avarizia o risparmio, furto o industria, frode o onesto commercio). Il prevalere di un impulso sull’altro genera solo infelicità; “felici invece coloro che seppero giustamente far prevalere il sentimento sull’interesse, e si servirono del portafoglio proprio per fare il bene della famiglia e della società” (Il cuore e il portafoglio, 1918). Nella situazione presente, al contrario, si offriva l’occasione, unica forse nella vita, di congiungere sentimento e interesse; col prestito si dava corpo alle voci del cuore (con l’aiuto concreto a chi stava mettendo a repentaglio la propria vita per tutti) e a quelle del portafoglio (il denaro prestato era garantito e sicuro era un buon profitto). Il prestito diveniva, dunque, “l’unico esempio in cui il cuore e il portafoglio non sono fra loro in contrasto, ma si danno per così dire la mano per consigliare ad ognuno una cosa sola: sottoscrivere….. Perché qui, veramente, /il cittadino/ può sottoscrivere con due mani: con la mano del cuore ed anche, perché no? Con quella del portafoglio”. Oltre che con un vero e proprio diluvio di parole, le campagne pubblicitarie condotte ad ogni emissione di prestiti cercarono il coinvolgimento del pubblico attraverso l’uso dell’immagine suggestiva (manifesti, locandine, striscioni, cartoline illustrate) e la riproposizione insistente di figure e slogan. Con forme suggestive di propaganda si cercava di rendere più facili le associazioni di idee e di messaggi; gli oggetti, le figure, i simboli dovevano essere semplici, ma tali da creare un immediato e stretto rapporto tra idea e scopo per cui essa era stata presentata. E nelle città i muri, le case, i più piccoli spazi vennero tappezzati con l’immagine del soldato di Mauzan, che con il dito puntato incitava alla sottoscrizione o con il cartellone di Girus, in cui l’oro e il cannone si fondevano in un unico simbolo. E la propaganda diede, come si è già visto, notevoli frutti, specie a partire dalla seconda emissione. Può essere ancora significativo ricordare che il prestito che coinvolse maggiormente il piccolo risparmiatore fu il terzo, quando fu raggiunto il massimo delle sottoscrizioni in piccoli tagli da 100 a 1000 lire e quando anche la propaganda ebbe uno svolgimento più intenso e massiccio.

Terminata la guerra continuarono a moltiplicarsi le esigenze economiche di una nazione che molto aveva speso in uomini (morti, mutilati, prigionieri) e in mezzi. Il costo finanziario del conflitto, come risulta da dati attendibili, fu di 157 miliardi di lire correnti, e il forte indebitamento dello Stato non cessò al chiudersi delle ostilità. Francesco Saverio Nitti, ministro del Tesoro nel 1918 e successivamente capo del Governo, fece ricorso, ancora nel 1919, a un prestito interno, il sesto. L’autorevolezza politica del proponente, insieme all’entusiasmo per la vittoria e alla fiducia in una ripresa rapida dell’economia del paese, se adeguatamente sostenuta, portarono a risultati ragguardevoli: il prestito fu coperto per 21 miliardi di lire. Ma non certo sufficienti a risolvere i problemi vecchi e nuovi che la guerra aveva, ad un tempo, sopito e accentuato. Gli aspetti emergenti della situazione italiana nel primo dopoguerra furono il grave disavanzo nel bilancio dello Stato; l’aumento enorme del debito pubblico; l’inflazione crescente; il forte disavanzo della bilancia dei pagamenti con l’estero. Ma non solo. Al governo si presentavano alcuni problemi immediati e difficilissimi. La riconversione delle industrie legate alla guerra in industrie adattabili ad un momento di pace; la necessità di fronteggiare il continuo aumento dei prezzi; la necessità di riassorbire o quanto meno attenuare la disoccupazione che la smobilitazione dell’esercito avrebbe provocato insieme alla inevitabile crisi di alcune industrie gonfiate dalla guerra; infine, più grave di tutti, la decisione su chi far ricadere il costo della guerra, se sulle masse dei lavoratori e dei contadini oppure, in qualche misura almeno, su quei ceti che dalla guerra avevano tratto profitto.

Fiorenza Tarozzi

Testo tratto da L'oro e il piombo - I prestiti nazionali in Italia nella Grande Guerra, Bollettino del Museo del Risorgimento. Bologna, anno XXXVI, 1991. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti