Ferri Pietro

Ferri Pietro detto/a Luven

1821 - 18 Luglio 1890

Note sintetiche

Scheda

Sulla biografia umana e storica di Pietro Ferri (1821 - 1890) si basa parte del mito popolare del bolognese bonario, gaudente e godereccio. Di origini umilissime e appartenente quindi al ‘popolo’ felsineo, riuscirà ad arricchirsi vendendo letame come concime. Il suo soprannome in dialetto bolognese - Luven o Luvèin - indicava le sue umili origini, in quanto il lupino era uno dei legumi che erano alla base dell’alimentazione dei poveri. Tutte le numerose cronache contemporanee lo descrivono sempre vestito con lo stesso abito che usava sia prima che dopo il lavoro e il berretto da popolano bolognese. Non casualmente il ritratto collocato sulla sua tomba in Certosa lo delinea con una camicia grezza aperta sul petto, il berretto e l’espressione gioiosa. Lo scultore Italo Campagnoli (1860-1931) viene chiamato a consegnarci la sua immagine a quasi venti anni di distanza dalla morte, scolpendo quasi l'unico ritratto ridente del cimitero, e diventando simbolicamente l’alter ego di un altro popolano degnamente commemorato in Certosa, il ‘fabbro’ Gaetano Simoli, posto a pochi metri di distanza, nello stesso Chiostro.

Grazie a Giuseppe Fornasini abbiamo anche l’esatto indirizzo in cui abitava insieme ai figli ed alla altrettanto famosa moglie Maddalena Orlandi: via del Borgo 111-113. L’autore, nella sua guida La Chiesa Priorale e Parrocchiale di S. Maria e S. Domenico detta della Mascarella (1943), non manca di segnalare le emergenze storiche e artistiche del quartiere. A decenni di distanza la memoria di Luven è ancora fortissima nel suo quartiere, tanto che viene ricordato come “borghigiano puro sangue, il quale, salito da l'umile condizione di facchino della balla locale a ricco ed onestissimo”, nonché “popolarissimo tipo di petroniano antico, forte, intelligente e schietto”. Fornasini ci consegna anche alcune note biografiche: “Laborioso fino dai primi anni come garzone presso un buon patriota, Biagio Bernagozzi, attese di poi al commercio del pesce, dei detriti e delle spazzature e giunse lentamente ad accumulare un ingente capitale. Nel 1849, durante la famosa settimana del bombardamento, si arruolò nella milizia popolare e combatté bravamente alle mura ed alle porte della città.”

Su Pietro Ferri vi sono moltissimi aneddoti che lasciano trasparire una inossidabile vena gioviale e scherzosa. Qui di seguito vengono riportate fedelmente alcune delle tante cronache contemporanee, in quanto anche il linguaggio aiuta a comprendere umori e atmosfere dell’epoca. Bologna, con il suo Teatro Comunale, fu una delle capitali musicali europee dell’ottocento, e considerata la ‘capitale wagneriana’ italiana. La prima del Lohengrin di Wagner riscosse un clamoroso successo, tanto che popolarmente venne chiamata l’oca d’Negrèin. Anche in questo frangente Luven non mancò di farsi notare. Come riporta Alfredo Testoni nel suo Bologna che Scompare, edito nel 1905 e ristampato da Cappelli nel 1972, “perfino Luvein, il popolare facchino del Borgo S. Pietro, si fece vedere nel corso mascherato colla sua carretta, tutt’altro che inodora, tirata da un somarello... rivestito da cigno di cartone!”. L’autore lo ricorda nuovamente durante la descrizione dei caffè alla moda a Bologna e scrive come “tutte le signore dell’aristocrazia bolognese, dopo il teatro, andavano a prendere il gelato in quel caffè, e potete immaginare la meraviglia di tutti quando una sera Luvein entrò nella sala ad ordinare un sorbetto. Bisogna notare che il buon borghigiano, sebbene divenuto ricco, conservò, in tutte le sue abitudini, le tendenze e i modi del tempo della povertà: nessuno lo ricorda colla giacca e il cappello. Egli, in manica di camicia e con un berretto di lana in capo, guidava i cavalli, si presentava in casa dei nobili, sedeva sulle gradinate dell’Arena del Sole... e così si presentò al caffè delle Scienze. Gli avventori lo guardarono di sbieco, ma a lui, forse, balenò in mente il dialoghetto che ebbe con il professor Concato.” A questo punto Testoni ricorda la battuta del direttore delle Terme di Riolo: “Scusate, mio buon uomo; ci vogliono dei soldi a fare i bagni. E Luvein, mostrandogli il portafoglio gonfio di biglietti di banconote, bonariamente rispose: Signor professore, me ci ho da fare i bagni anche a tutta la sua famiglia, che guardi lei!”.

Anche la rivista umoristica bolognese “Ehi! Ch'al scusa..” non manca di ricordarlo nel numero del 23 giugno 1883: “Ho detto che è un popolano; ma un popolano ricchissimo - che conserva intatte tutte le sue abitudini, le tendenze, l'indole e i modi come quando cominciava, facchino modesto e nel suo rione rispettato, amato, salutato, come un re. Faccia bonaria e rossa, tarchiato, robustissimo, collo corto, occhi semichiusi, costantemente colla camicia aperta sul davanti, colla berretta bleu marino un po' inclinata sulla tempia, uno slecco o un corto gambo d'erba in bocca - ecco il suo ritratto. Da quell'ambiente in cui è nato e vissuto non si può sperare di ritrarlo giammai: le circostanze mutate, la deferenza con cui lo trattano i conoscenti e gli amici, le agiatezze della vita non hanno prodotto né produrranno in lui nessun cambiamento - né lo vedrà mai, per esempio, cambiar di vestito o compagnia. Un giorno, cedendo alle istanze della moglie Maddalena - un altro tipo completo di popolana, robusta, sorridente, come quelle che si veggono nei quadri o nella commedia colle mani sui fianchi, dondolantisi e rumoreggianti, piene di affetto e d'impero, incapaci di trattenere l'irruenza delle parole in un litigio, ma affettuose, caritatevoli e piagnucolanti per un nonnulle - un giorno, adunque, egli pensò di recarsi ai bagni di Riolo. Il professor Concato, vedendo un uomo in così tristo arnese, gli domanda con una certa diffidenza: - Avete poi la maniera di fare i bagni? - A stagh que ed cà, al mi car professòur! Risponde rozzamente il popolano battendo forte nel portafogli ripieno. Dopo qualche bagno egli si ripresenta al Concato e gli dice accomiatandosi: - A rivederla sgner Professòur... a vagh a Bulògna. L'acqua l'an me pias un azzidol! Am vol al mi vinett... quends o seds liter al de, e stiavi! Più di una volta lo si è veduto sui gradini dell'Arena del Sole, nei giorni di domenica e lunedì, piangere, insieme alla sua Maddalena, ai cast pietosi di Pia dei Tolomei, di Margherita Gautier, o di Maria Giovanna. Più spesso, con una brigata di amici, lo si è udito cantare e giuocare nelle Osterie del Borgo. In occasione della festa decennale nella sua strada, egli spese più di mille lire nel vestire venti fanciulle povere, nel distribuir vino ai suoi garzoni, nel comprare, in nome della sua Maddalena - creta rettòura della parrocchia - centinaie e centinaie di metri di tela per un telone lungo la via dell'addobbo, destinato poi a far camicie per le donne impiegate a cucirlo. E tutto questo semplicemente, rozzamente, senza ostentazione e senza sforzo, senza grandezza e senza vanteria. Buontempone per natura, dà spesso dei pranzi: e nell'ultimo - pochi giorni or sono - si celebrò nientemeno che il suo 40° anniversario del suo matrimonio! Si batterono le mani, si fecero auguri, si cantò, si bevette - e i due vecchi sorridevano, unendo le loro grida a quelle degli altri, pieni d'espansione, di cordialità, e di allegria vera. (…) Ciò mostra come il nome del nostro eroe fosse, allora come adesso, sulle labbra di tutti; e io confesso ingenuamente che questa figura d'un uomo del popolo, tutta d'un pezzo, sincera, semplice, onesta, priva di ire e di ambizioni, piena di operosità e di franchezza, questa aperta figura d'uomo del popolo mi seduce. Ceresa.”

Luven non mancava in partecipazioni estemporanee anche in teatro, come in occasione della commedia La gran cuccagna, del 1873, che ebbe un clamoroso successo. “Per quell'asino i bolognesi fecero addirittura pazzie (…), una folla di gente, su due fila, all'ingresso del teatro Contavalli, si radunava ogni sera per ammirare Pietro Ferri, il celebre Luvén del Borgo San Pietro, che si caricava sulle spalle l'asino di sua proprietà e lo portava trionfalmente sulle scale del teatro per deporlo sul palcoscenico.” Giuseppe Fornasini chiude la nota su Pietro Ferri trascrivendo un sonetto evidentemente molto noto che viene citato in occasione della visita di un 'forestiero' nel Borgo di San Pietro, quel giorno sontuosamente abbellito per il periodico addobbo parrocchiale. Così termina: La cà di Luvino al visto com l'è bèlla? / Chi è questo Lupino? Un milionari, / L'è al Re dal bourg, padron dla Mascarella / Forse negozierà in profumeria / Tutt'altr; in roba ch'puzza al fa di affari, / L'ha seimper trafficato in Merderia.

La rivista umoristica 'Bononia Ridet' non manca di canzonare ripetutamente Luven. Nel n. 68, in merito alla discussione sull'utilità dei bagni pubblici gli mettono in bocca queste parole: Par la madosca! Me av degh che al piò bèl bagn ch'al mònd as possa far, l'è d'bagnars int un tinazz pein d'vein. Nel n. 85 in un resoconto delle epigrafi della Certosa (tutte inventate), quella di Luvèin recita: Un sospiro ed un rimpianto volgi o pietoso visitatore a Pietro Luvin, vita e anima della società vespasiana bolognese. I figli che seguiteranno il santo esempio del loro amato genitore vendendo i loro prodotti all'ingrosso ed al minuto, a prezzi da non temere concorrenza; in attestato di riconoscenza questo monumento eressero. Nel n. 88 in merito alle vicende politiche locali "i buoni borgheggiani inviperiti pel timore d'essere menati pel naso dai componenti della Giunta, al fine di non rimanere senza sindaco, stanno organizzando una dimostrazione e preparando un ricorso per eleggere a capo del municipio Luvein, considerando che nessuno meglio di lui potrà trattare dell'argomento più vitale che si discuterà in fra breve, cioè il grave problema della fognatura.

I suoi figli allargheranno le dimesioni dell'attività, tanto che nascerà una vera e propria raccolta porta a porta degli escrementi e della spazzatura. E' giunto fino a noi un listino al metro cubo del materiale che veniva loro consegnato: Sterco cavallino misto a materie fecali: L. 4; Concimi di stalla in completa fermentazione: L. 3,50; materie di pozzo nero: L. 3; scoviglie o rusco di casa misto a materie fecali: L. 1,50; Sterco umano: L. 15

Roberto Martorelli

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