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Chiostro Maggiore - Chiostro Annesso al Maggiore

Di rilevanza storica

Schede

Questi ampi recinti ricalcano esattamente i terreni del monastero certosino coincidenti con Orto grande, Vigna piccola, Spasseggi per li monaci, Bosco ed altre delizie descritti nella grande veduta incisa da Girolamo Ruvinetti alla fine del XVII secolo. Nella pianta allegata alla Descrizione del Cimitero... edita dallo Zecchi nel 1829, viene descritto come Campo per la tumulazione comune degli adulti, e Portico con monumenti. Nei due pilastri del Chiostro Terzo corrispondenti al varco verso il Chiostro Maggiore sono murate due lapidi con una breve epigrafe latina. Ambedue datate all’aprile del 1801 segnalano i nominativi dei due primi adulti sepolti nel nuovo Chiostro, mentre nel Terzo venivano sepolti i fanciulli e le fanciulle. Le tumulazioni per le persone indigenti che non potevano permettersi una tomba perpetua, erano comunque garantite dal Municipio il quale, diversamente da quanto era successo per secoli nei cimiteri urbani, garantiva una sepoltura dignitosa e non entro fosse comuni. Il divieto di porre lapidi veniva compensato curando le aree come giardini, in cui si seminavano fiori.
L’attuale Chiostro Maggiore risulta ridotto rispetto all’impianto originario, in quanto negli anni ‘30 del Novecento è stato suddiviso, formando un nuovo chiostro denominato ‘Annesso al Maggiore’. Nel suo insieme risulta lo spazio più ampio del cimitero, delimitato da un semplice portico eseguito seguendo le idee di Ercole Gasparini (1771-1829), pur in parte modificato dagli interventi successivi. Del tutto fedele al suo progetto è l’Ingresso monumentale del Cimitero, terminato nel 1809 con la posa delle due grandi sculture in terracotta di Giovanni Putti (1771-1847), detti ‘Piagnoni’ o ‘Piangeroni’. Di poco successivo è la sistemazione dell’emiciclo adiacente, che segue fedelmente le idee di Gasparini, primo architetto coinvolto nella Certosa, che aveva ideato il lungo portico che collega la Certosa all'Arco del Meloncello e, attraverso il portico di San Luca, alla città. Aperto il cantiere del portico sotto la sua direzione nel 1811, verrà completato nel 1834 con alcune modifiche di Luigi Marchesini (1796-1882) e Giuseppe Tubertini (1759-1831). Il portico doveva terminare nell’emiciclo sud del Chiostro Maggiore, ma per motivi economici il cantiere terminerà all’altezza del Canale di Reno e l’emiciclo, invece che porticato come quello a nord, verrà progettato con un elegante gioco di nicchie per monumenti intervallate da colonne doriche. Per comprendere con quale ordine siano stati edificati i portici ci è di aiuto l’epoca di costruzione dei vari monumenti. Nel lato a sud si trovano quelli più antichi, tra cui diversi eseguiti ancora in stucco e scagliola. Sul lato a nord ogni arco coincide con una piccola abside che accoglie tre pareti per monumenti, per la maggior parte databili alla metà del XIX secolo. Il portico ovest ospita monumenti della seconda metà dell’Ottocento, mentre quello a est marmi e bronzi che dalla fine del secolo giungono fino al primo decennio del ‘900. Percorrendo tutto il perimetro è così possibile notare l’evoluzione della scultura bolognese durante tutto il XIX secolo. L’elenco dei monumenti di rilievo sarebbe molto lungo, ma si segnalano le opere eseguite da Giovanni Putti (Ferlini, Legnani) e dal figlio Massimiliano (Canestri, Lipparini), Alfonso Bertelli (Pallotti), Carlo Monari (Magistrini, Battilani), Tullo Golfarelli (Gancia, Cillario). Tra le presenze ‘forestiere’ è da segnalare il colossale ritratto Pallavicini di Giovanni Duprè, collocato entro l’elegante cappella progettata da Antonio Zannoni. Tra le sepolture di interesse storico si passa dalla grandiosa cappella Hercolani progettata da Angelo Venturoli alle semplice stele di Silvio Frugieri d’indole franca e leale che reduce garibaldino combatté col suo duce. Di assoluto rilievo il monumento scolpito da Cincinnato Baruzzi che ospita le spoglie di Marco Minghetti (1818-1886), la più eminente figura politica bolognese di epoca risorgimentale.
Molte le memorie dedicate a persone attive nel campo artistico e musicale, tra i tanti si ammirano il grande sarcofago dedicato al compositore Stefano Golinelli (1818-1891) e quello che ospita le spoglie del pittore Luigi Serra (1846-1888); l’arco con il ritratto del pittore Achille Frulli e dello scultore Giacomo De Maria; la grande stele neoclassica dedicata a Giovanni Colbran voluta da Gioacchino Rossini, in cui riposano le spoglie della prima moglie Isabella Colbran e dei genitori del compositore; infine il sepolcro in cui è ospitato Carlo Broschi detto il Farinelli, il più celebre cantante castrato del ‘700.
Il ‘Braccio nuovo’ e le aree perimetrali del campo ospitano diverse sculture eseguite tra la fine dell’Ottocento e gli anni ‘50 del Novecento, tra cui quelle di Tullo Golfarelli, Romano Franchi (Gatti Capi), Bruno Boari (Vigevani), Renaud Martelli (Largaiolli), Venanzio Baccilieri (Fava) e Sergio Cremonini (Zamboni).

Roberto Martorelli

Novembre 2011