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Cronache vere ed immaginate dal cimitero della Certosa

1801 | oggi

Schede

Il cimitero bolognese può essere considerato il primo recinto funebre moderno d'Europa, in quanto inaugurato tre anni prima dell'editto napoleonico di Saint-Cloud, legge da cui sono sorti gran parte dei camposanti del continente. La Certosa fu inoltre l'unico grande recinto funebre d'Italia per decenni, basti pensare che Staglieno a Genova apre nel 1851 ed il Monumentale di Milano nel 1864. Ad arricchire il luogo era poi la presenza di molti monumenti databili dal medio evo al settecento, provenienti dalle chiese soppresse, salvati dalla distruzione esponendoli in apposite sale. Non deve dunque stupire se per tutto il l'ottocento la Certosa fu meta del turismo internazionale, luogo irrinunciabile di visita per ogni turista. Era comunque un cimitero, luogo dedicato alla memoria dei propri cari, ma anche 'città dei morti' in cui dover ricordare i personaggi illustri; i momenti salienti della storia bolognese ed italiana. Similmente agli altri grandi cimiteri italiani, anche in Certosa era d'uso inaugurare i monumenti in occasione di Ognissanti, in una gara tra famiglie per la realizzazione della memoria più bella o eseguita dallo scultore famoso. Giornali come Il Resto del Carlino ne davano ampia testimonianza ogni anno con articoli e servizi pubblicati solitamente nei primi giorni di novembre. Caratteristica tutta bolognese era la presenza delle abitazioni dei dipendenti, che qui risiedevano con i propri familiari in diversi appartamenti posti nel cortile d'ingresso. Il cimitero era gestito da due custodi - uno per le sepolture, l'altro per i monumenti - e furono generazioni di personaggi che una volta incontrati non si potevano dimenticare, come dimostrano i ricordi di Lord Byron, Jules Janin, Charles Dickens e molti altri. Non deve dunque stupire se fino a noi è giunta un'ampia letteratura dedicata alla Certosa, che si può dividere in due grandi ambiti: scritti o documenti di eventi realmente accaduti; memorie e bibliografia di fantasia, in cui il cimitero è teatro di eventi a volte ben più che curiosi. Qui di seguito ne diamo un'ampia selezione in ordine cronologico.

Cronache dalla Certosa

George Gordon Byron, il più celebre scrittore romantico europeo, visitò spesso il cimitero durante il soggiorno bolognese del 1819. In una di questa passeggiate descrive l'incontro con il custode Brasa che lo accompagna in una sala dove sono collocati i teschi dei personaggi illustri: “Sono ito al bel cimitero di Bologna, fuori dalle mura, ove ho trovato oltre alla magnificenza del luogo, un originale di custode che mi ha ricordato il becchino di “Amleto”. Costui ha una collezione di Crani di Cappuccini che portano ciascuno il proprio nome scritto sulla fronte e prendendone uno mi disse: “Questo fu frate Desiderio Berò che morì di quarant'anni... uno dei miei più cari amici. Io ne domandai la testa ai suoi confratelli ed essi me la diedero”. La posi allora nella calce, e quindi la feci bollire. Eccola coi suoi denti ottimamente conservati. Egli fu il più arguto compagnone ch’io mai conoscessi.”

James Augustin Galiffe non fu uno dei visitatori più famosi, ma nel suo libro Italy and its Inhabitants, an account of a Tour in that Country in 1816 and 1817, così descrive il cimitero: "Un altro monumento della medesima devozione è la Certosa, fuori porta San Felice, la cui attrattiva consiste essenzialmente nelle dimensioni spropositate. Le pitture che sono conservate nella chiesa non meritano nemmeno il disturbo di andarle a vedere, a meno che sia pretesto per una passeggiata in una giornata di bel tempo."

Con la fine del governo napoleonico, Bologna nel 1816 rientra sotto lo Stato Pontificio. In questa occasione si decide di mantenere la chiusura al pubblico del cimitero se non per l'accesso dei cortei funebri, mentre i visitatori possono accedervi solo suonando la campana apposita all'Ingresso principale. Le aperture generali restano confermate per la domenica successiva al 2 novembre con proroga a quella seguente e della domenica in Albis. Confermata anche la data del 30 settembre in onore di San Girolamo, anche se quest’ultima non trova riscontro negli avvisi destinati ai cittadini. Durante l’apertura al pubblico vengono chiuse le strade limitrofe al traffico a cavallo e si può procedere solo a piedi. L’accesso al cimitero è disciplinato dal regolamento e i visitatori devono depositare al portinaio bastoni e ombrelli, potendo portare corone di fiori e ricordi che dovranno essere rimossi quindici giorni dopo.

La scrittrice irlandese Lady Sydney Morgan (1776-1859) nel 1821 pubblica il resoconto del suo Grand Tour compiuto in Italia: "La Certosa, o Chartreuse, di Bologna, potrebbe rivaleggiare con l’abbazia certosina di Pavia. I suoi vasti chiostri presentano un labirinto oscuro e freddo. Soppresso nel periodo della Rivoluzione, e spogliato di molte delle opere migliori, suscita un interesse considerevole essendo stato deposito di tutti gli antichi documenti, reliquie, statue, e così via, portati via dai loro siti e abbandonati, nei primi, tumultuosi fermenti di quell’evento sconvolgente; ed è ancora visitata come una sorta di gabinetto di antichità ecclesiastiche. Alcune delle proprietà della chiesa qui preservate, seppur nate da un disegno ben concepito, sono, nella pratica, terrificanti. La tomba del Salvatore, apparentemente ben tagliata, contiene una figura immensa e triste, enorme, avvolta in un vero panno macchiato di sangue; e c’è in uno dei chiostri una gigantesca, scura madonna dai fissi occhi di vetro, che spaventerebbero perfino la devozione di un religioso delle isole Sandwich. Il cimitero contiene una serie di splendidi monumenti, antichi e moderni, ma le iscrizioni e gli ornamenti richiamano troppo il cimitero di Père La Chaise, quell’epitome di falsi sentimenti e cattivo gusto."

Fino a noi è giunto un ampio carteggio del pittore Felice Giani (1758-1823). In una lettera a Gian Battista Muttoni ricorda una visita illustre alla Certosa: "Bologna, li 10 ottobre 1821. Signore stimatissimo. Lunedì 8 corrente ho riscosso dal signore dottore Mattei napoleoni sedici, semestre scaduto dal signore Simoni, sichè vostra signoria disponga che ora sono tutti incassati. Trefogli [Pietro], ieri ebbe l'onore di una visita, nel suo lavoro al campo santo, della signora imperatrice [Maria d'Asburgo Lorena] e si trattenne nel suo gabiotto da loro ben 15 minuti e, nel partire, volle farne una delle sue solite baciandoli la mano; ieri sera si gonfiava dicendo "O' baciato la mano alla moglie di Bonaparte" e non li toccava la camicia al sedere: certo è che ebbe un onore che nessun altro in Bologna ha avuto.

Davide Bertolotti (1784-1860) scrive nel 1823 un volume dedicato ai cimiteri, il cui titolo ne fa capire fin da subito il tema affrontato, Amore e i sepolcri. La Certosa ha un posto di rilievo e nella lunga descrizione viene segalato anche come in "quel recinto de’ morti non manca anch’esso delle sue istorie di amore. Un giovane ufficiale francese, perdutamente acceso della famosa Maria Giorgi, nome caro all’armonia, all’amicizia, all’amore, andò ad uccidersi sulla tomba di questa donna adorna de’ pregi più cari. Egli venne sepolto nella Certosa, ma non so se le sue spoglie vengano indicate da un funebre sasso. Avrei desiderato raccogliere le particolarità che precederono ed accompagnarono questo disperato atto di un amore che dinanzi al gelo della tomba avvampò sì vorace, per poterne tesserne il fiero e compassionevol racconto." Non è ben chiaro chi sia questo 'ufficiale', e molto probabilmente si riferisce alla celebre compositrice e cantante Maria Brizzi Giorgi (1775-1812), personaggio centrale della cultura musicale bolognese d'età napoleonica, nota e celebrata in tutta Europa. Tommaso De' Buoi nel suo Diario delle cose principali accadute nella Città di Bologna, annota il 6 maggio 1806 che "un francese alloggiato presso il Signor Angelo Gandolfi in Strada Saragozza si passò il core con una pistolettata per gelosa passione per Madama Giorgi, o come più altri vogliono per aver intaccata la Cassa essendo Commissario."

Un libro che ogni bolognese dovrebbe leggere è Ricordi di Francesco Majani (1798-1865), fondatore dell'omonima industria dolciaria. Nel diario diligentemente tenuto nell'arco di tutta una vita non mancano ricordi legati al cimitero, tra cui uno in occasione della morte di sua sorella "che dovette soccombere la notte delli 16 dicembre 1825 lasciando li suoi trè figli che il più grande aveva cinque anni; e qualche giorno prima della sua Morte mi chiamo dal letto racomandandosi la sua famiglia, masimamente mi racomandò suo marito dicendomi che né aveva piu bisogno lui che li suoi figli della mia assistenza. Il tutto fu sempre a nostro carico che pensassimo alla sepoltura, ed’in questa circostanza comprai il Deposito alla Certosa nella gran sala delle Tombe per tutta la nostra famiglia, ed’ella fu la prima ad’andarvi aspetandomi anch’jo che ci vaddi a farci compagnia, Ma sino ad’ora ho indugiato, e bisognerà poi che mi risolvi andarci ma il più tardi che potrò."

Una fonte inesauribile di aneddoti sono i numerosi libri che l'artista Alessandro Cervellati (1892-1974) dedica alla sua città. In Bologna Popolare ci segnala come "la Certosa, il luogo di più alto significato spirituale, nella cruda realtà non è sempre testimone di fatti edificanti: fu anche teatro di delitti. Il primo custode della Certosa fu un certo Mazzoli che aveva combattuto sotto le bandiere napoleoniche. Costui, di maniere brusche e rudi, avendo trattato male due inservienti muratori, certi fratelli Parucchi, fu da questi ucciso, a colpi di scure al capo entro il cortile d'ingresso della Certosa." E' il 7 ottobre 1828, e il cantiere era quello del Pantheon dei bolognesi illustri. Un triste destino per il primo Custode del cimitero, atteso all'uscita del “magazzeno dei ferramenti” all'epoca collocato nel braccio ovest del cortile della Chiesa.

Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal (1783–1842) nel suo Rome Naples et Florence del 1827 ci dà una sintetica ed impietosa impressione: "la vanità degli abitanti di Bologna va fiera del loro cimitero: è una Certosa a un quarto di lega dalla città. Le tombe daranno da vivere a qualche scultore povero."

Basile Joseph Ducos (1767-1836) è tra i tanti viaggiatori da Grand Tour e immancabilmente deve lasciare una traccia scritta delle sue impressioni. In Itinéraire et souvenirs d’un voyage en Italie en 1819 et 1820, ecco come viene ricordata la Certosa: "prima dell’occupazione francese in Italia, i morti erano sepolti nelle chiese. Un’antica certosa posta a due miglia da Bologna è stata convertita in cimitero. Tutta la superficie è divisa in più chiostri. l’amministrazione vende, a perpetuità o tempo determinato, le tombe aperte lungo i muri. Mausolei, bassorilievi, pitture allegoriche, o semplici pietre sepolcrali distinguono queste ultime dimore. A vedere, leggendo le iscrizioni, tante creature virtuose, amate, rimpiante, si sarebbe tentato di credere che la migliore metà dell’uman genere sia salita al cielo e non abbia lasciato sulla terra se non il rifiuto. Fortunatamente non è così, e anche fra i morti, come fra i vivi, c’è la tendenza a nascondere i propri difetti. Queste gallerie meritano di essere percorse. Vi si legge di dolori, di vedovanze che han lasciato il posto a nuove gioie, di rimpianti che non costano più lagrime, e forse ancora, e sarebbe penoso dubitarne, l’espressione di affetti e di amicizie costanti che non saranno giammai traditi. Gli artisti vi hanno esaurite le pose della disperazione. Eccone uno che s’è contentato di collocare alla porta della tomba una bella figura della speranza, assisa, il cui aspetto contenuto e lo sguardo vago aprono l’anima alla consolazione. Qui regna l’eguaglianza come l’ha fatta la natura, che non ammette alcuna eccezione. I ranghi sono confusi insieme. Il ricco dorme a fianco del povero, il debole del potente. Il sepolcro della Banti, celebre cantatrice, è proprio accanto a quello dei Marescalchi, ove riposa colui che sotto il regno di Napoleone fu ministro degli affari esteri d’Italia e che è ancora ricordato a Parigi per la sua squisita finezza e per la lealtà. Tuttavia non sono mescolati le età e i sessi: gli uomini, le donne, le ragazze, i giovinetti, occupano chiostri separati. Poi viene quello dei preti. Per una strana bizzarria le cappuccine ne hanno uno apposta per loro e un ossario è stato riservato pei crani dei cappuccini, che sono collocati in file, come i libri di una biblioteca. Una listarella di carta incollata sull’osso frontale di ciascuno indica il nome e l’età del frate cui apparteneva. I protestanti e gli ebrei hanno essi pure dei recinti particolari. Tutte le religioni e tutte le sette sono riunite in questo che è destino comune per tutti. I posti sono stati distribuiti, ma nessuna intolleranza ha proclamato l’esclusione. Niuno s’è eretto giudice tra la divinità e gli uomini, la vita e la morte, il reale e i misteri dell’eternità."

Una tra riviste italiana piuttosto diffusa - Cosmorama Pittorico - nel 1837 dedica una ampia descrizione della Certosa. Lo scritto di Giuseppe Sacchi si apre in maniera encomiastica ed al termine ritorna come sempre il ricordo del custode di turno il quale, come avevano fatto con Byron, mostra "un teschio annerito coperto da una campana di cristallo." Questa volta è quello del pittore Guido Reni e Giuseppe Sacchi non può trattenere le lacrime: "io vedeva in quell'avanzo calcareo tutta una vita, e tutto un nome, e qual vita, e qual nome!"

Il francese Jules Janin (1804-1874) fu tra i più influenti critici musicali del continente e grande amico di Gioachino Rossini. Fu questo motivo che probabilmente lo spinse a visitare Bologna, per stare vicino al celebre compositore. Di questo soggiorno Janin diede alle stampe a Parigi un ampio resoconto. Non essendo sempre benigno provocò anche le ire di Marco Minghetti. La Certosa ha un posto particolare nei suoi ricordi, ed ancora una volta i protagonisti sono i custodi. Uno di essi così si rivolse a Janin riferendosi a Gioachino Rossini: "Signore, esclamò con piglio solenne, lo conosco; egli non permetterà, no, che si sotterri in quel caos che si chiama Père Lachaise! E poi farò per lui ciò che Firenze fece per Michelangelo, anderò a rubare la sua salma notte tempo. Non ha più il diritto di dormire altrove, lo si volesse anche seppellire nel Campo Santo di Pisa. E cosa gli abbiamo fatto perché egli ci dica, a noi, uomini di Bologna, una parola che non ho mai potuto capire in bocca al grande Scipione: Ingrata patria, tu non avrai le mie ossa!" Il critico, una volta raggiunto il suo amico nel palazzo di Strada Maggiore, gli ricorda che in Certosa vive il suo più grande ammiratore: "un tipo spassoso, il custode della Certosa, il quale, anzi, attende che il mesto luogo assuma altro aspetto e gloria con la tua definitiva cittadinanza nella felsinea dimora dei defunti.” Risponde ridendo Rossini “Ah! Tocco ferro e vengo a te. Diamine! Ci si può mettere d'accordo anche con quel galantuomo mio ammiratore: abbia solo pazienza ad attendere, non abbia premura.” E soggiunse ammiccando gaiamente: “io però sarei proclive a temporeggiare....”.

Giuseppe Barilli (1812-1894) alias Quirico Filopanti, fu una delle figure più note della Bologna ottocentesca. La sua presenza in Certosa così viene ricordata nel 1929 nel libro Aneddoti bolognesi dell'editore Formiggini: "Nel 1840 mentre seguiva i suoi studi sui fuochi fatui, che dovevano meritargli la nomina a membro dell'Accademia delle Scienze di Bologna, Quirico Filopanti usava andare, durante le notti d'estate, al Cimitero della Certosa con un canapo in cima al quale aveva fermato un batuffolo di stoppa per esperimentare se le intermittenti fiammelle appiccassero fuoco. Una notte, mentre egli aggiravasi attento per i claustri deserti, il dimostratore del cimitero, Marcellino Sibaud, curioso tipo di glottologo, ed archeologo sui generis, volle fargli una burla, ed accesa una piccola lanterna cominciò a muoversi in diverse direzioni. Appena scorse la fiammella vagante, il buon Filopanti si diede ad inseguirla, ma il Sibaud correndo anch'egli per lo stesso verso gl'impedì sempre di avvicinarla e perciò quella strana corsa, fra le tombe bianche e silenziose, durò per qualche tempo, finché il Sibaud stanco del gioco si diresse ad un tratto verso l'ingenuo scienziato, ed alzata la lanterna all'altezza del suo viso, lo salutò con una sonora risata.”

Antoine Claude Pasquin Valery (1789-1847) pubblica nel 1842 il volume Bologne, Ferrare, Modene, Reggio, Parme, Plaisance et leurs environs. Nella descrizione della città emiliana non manca la Certosa dove "la chiesa offre ancora qualche opera notevole: il Giudizio Finale, e i due santi che lo accompagnano, di Canuti, una Ascensione di Bibiena, che si potrebbe credere dell’Albano, suo maestro; la Cena in casa del Fariseo con la Maddalena adorante, di Andrea Sirani, dipinto vigoroso; il Battesimo di Gesù Cristo, eseguito a ventisei anni da sua figlia Elisabetta che ha inscritto il suo nome su questa vasta composizione. La vicinanza di queste due tele ha qualcosa di toccante, se ci si rammenta che la sfortunata fine di Elisabetta causò la morte del padre; l’Entrata di Cristo a Gerusalemme, il Cristo resuscitato sono di Pasinelli; la Crocifissione, la Preghiera al giardino degli Olivi, la Deposizione della Croce, di Cesi; alcuni begli affreschi e ornamenti dorati, dello stesso. Il Cristo affresco a mezzobusto, è di Ludovico Carracci; lo stesso soggetto, di Lucio Massari, pittura graziosa, è espressivo, diversificato, terribile. Sebbene la fondazione del camposanto non risale che al 1801, esso ha l’aspetto e il carattere di un monumento più vecchio, e può essere considerato come il vero modello di cimitero di una grande città. Diversi sontuosi mausolei che esso racchiude non sono sicuramente irreprensibili sotto l’aspetto del gusto, ma l’insieme ha qualcosa di magnifico. Le iscrizioni, dovute all’abate Schiassi, sono notevoli per la purezza e l’eleganza della latinità. Una cinta particolare è riservata ai protestanti e agli ebrei, ma non ci sono esclusioni, nel cimitero, per tali persone: non sono respinti neanche i suicidi; seppure, a Roma, ci sia una bolla di Benedetto XIV, santo Papa, grande teologo, che dichiara il suicidio un atto di follia."

Presso l'Archivio Storico del Comune di Bologna sono confluiti gran parte dei documenti del Municipio relativi al cimitero. Moltissimi i carteggi, i progetti, le cronache che ci consentono di riscrivere anche episodi minori della vita quotidiana all'interno della Certosa. Così lo scalpellino/scultore Carlo Vidoni si rivolge al Comune in una lettera datata 20 dicembre 1844: "Eccellenza. Carlo Vidoni Marmorino, e Tagliapietre di questa Città, che ha direcente attivato una Segaria da marmi in costruzione idraulica, la quale, in seguito anche di modificazioni in essa praticatesi, trovasi ora in stato servibile con moltissimo risparmio di tempo, e perfezione di lavoro, e non potendo coll'esercizio soltanto della sua Officina mantenere l'uso continuo di detta Segaria, e quindi non sentire il vantaggio proporzionato alla spesa vistosa fin qui sostenuta pel nuovo impianto, ricorre alla E. V. onde voglia degnarsi di esporre a codesta Eccelsa Magistratura Comunale, che il Presente alfine di ottenere l'uso continuo predetto propone di somministrare le lastre di qualsiasi marmo, e misura a baj. 10 di meno del prezzo comune per ogni Piede di misura Bolognese, e fa caldissima istanza perchè venga considerata questa sua esibizione nelle occorrenze dei diversi Rami, che sono soggetti al sullodato Consiglio, ed in modo speciale per quello del Cimitero, al quale più d'ogni altro occorrono marmi. Il presente nel proporre un vantaggio implora nel tempo stesso da questa Comune d'essere animato e protetto onde gli riesca di mantenere l'uso della predetta Macchina non solo, ma di perfezionarla in modo di renderla in progresso di tempo vantaggiosa anche di più, promettendo dal canto suo di nulla risparmiare per riuscire nel suo intento. Il Vidoni poi non si allunga presso l'E. V. perchè la presente sia appoggiata con premura, giacchè conosce perfettamente di quale interesse le siano le cose che in qualche modo siano di decoro e vantaggio per questa nostra Città, e con umilissimo rispetto, ossequio, e considerazione si protestarmi U.mo, Dev.mo ed Obb.o Dell'E. V.a." Si tratta di una 'supplica' per convincere il Comune a tenere conto dei servizi della sua ditta per lavori da effettuare nel cimitero.

Charles Dickens visita la Certosa nel 1844. Nella documentazione d'archivio del cimitero non ve ne è traccia diretta, ma l'occasione di studio dei documenti di quell'anno ha consentito di rivelare uno spaccato di vita quantomeno singolare. Il custode Marcellino Sibaud è costretto ripetutamente a lamentarsi del 'cantinaro' e delle sue due figlie. Nell'angolo nord ovest del Cortile della Chiesa era collocata una cantina, oggi diremmo il bar dei dipendenti. Il 13 agosto 1844 Sibaud rivolge una lamentela al Comune: Illustrissimi Signori! Si sono presentati più volte a me dei Muratori lagnandosi del Tonelli pel vino. Io li ho esortati ad aver pazienza, che chi sa non sia una combinazione del momento, e in seguito non si avere del migliore. Ma finalmente avendomi in oggi portati in Archivio i loro fiaschi i Mastri Vecchi, Marchesini e Grazia, e i Manuali Stagni, Trombetti, Rappini, Gamberini e Guidetti, con dichiarazione di non volerlo perchè fila ed è malsano; io mi faccio un dovere di accompagnarne un fiasco alle SS. LL. Il.me: mentre gli altri sono consegnati parte a me, e parte all'Ispettore alle tumulazioni: e questo perchè non si sospetti del cangiamento del vino. Il Regolamento – Cap. 14 Art. 22. - provvedeva in questo disordine, perchè le Deputazioni addietro e la Ill.ma Magistratura avevano verificati tali continui inconvenienti, al cui impedimento riusciva appieno inefficace la visita del S.r Ingegnere Marchesini. In un momento propizio al Tonelli, alcuni Muratori suoi parenti, congiunti ed aderenti per obblighi verso di lui, fecero istanza per avere il vino in natura e non il danaro corrispondente: la quale istanza ognuno vede chiaramente che non chiedendo un forma-conto, ma forzata da dei riguardi, da delle minacie ecc. (...) In tutti i modi, oggi i Muratori non solo, ma altri ancora, che non mi hanno portato il fiasco perchè l'avevano incominciato, piuttosto intendono di bere acqua che quel vino; il quale viene loro dato in n. 7 boccali soltanto, e in conto de bajocchi 8 che il Tonelli ha per ogni Muratore dall'Azienda." Il 17 agosto è il turno delle figlie: "Taluna volta sono accorso al suono della campana dei forestieri, ed ho trovati i medesimi in istretto colloquio con lei, seduti ne' muriccioli, colle loro mani sulle di lei ginocchia; ed io sono stato costretto - con poco mio decoro - ad aspettare che il dialogo finisca e gli appuntamenti sieno dati. I forastieri invece di curasi del Cimitero, hanno tentato di sapere da me ciò che è relativo a Lei; e ributtato da me tale discorso, hanno chiesto di uscire, dichiarando che il Cimitero è meno interessante di una ragazza, ed il Custode di un mezzano." Il Comune chiederà alle due figlie ed al padre un comportamento più rispettoso, inutilmente. Pochi giorni dopo Sibaud deve nuovamente relazionare: "Dopo questo, io sono andato al Cimitero dei Protestanti, e mentre stavo aservando il lavoro, tutte due le figlie di Tonelli sono venute sul Cancello e chiamarmi fuori con indolenze e minaccie. Che venga fuori, qui, qui che la discorriamo. Io ho risposto che non ho niente a che fare con loro, che badino di aver giudizio perchè se non si regoleranno bene perderanno il benefizio dell'abitazione. Io sono stanco di soffrire questi modi. Sulla strada, se mi mostrano mi ridono in faccia, mi dicono dietro del buffone: ed un giorno mentre accompagnavo con mia moglie delle persone distinte fuori di Certosa quelle sguaiate incontrandoci ci gridarono dietro a me e a mia moglie che vi venga un accidente."

Uno dei più noti scrittori della sua epoca, Charles Dickens (1812-1870) è autore di Pictures from Italy, pubblicato nel 1846. Con questo libro può essere considerato un anticipatore dei 'blogger', in quanto la descrizione del suo viaggio non è il consueto elenco di luoghi e opere ammirate, ma il resoconto di impressioni ricevute dalla quotidianità, dalle persone incontrate. Non manca il ricordo della sua breve sosta a Bologna, segnalata sostanzialmente attraverso due luoghi: l'Albergo del Pellegrino e il Cimitero. Nelle diverse pagine dedicate alla Certosa il protagonista è ancora una volta il custode: "Comunque sia è un fatto che la domenica mattina successiva mi trovavo, insieme con una folla di contadini, a passeggiare nel bel cimitero di Bologna, fra le tombe di marmo e i maestosi loggiati, accompagnato da un piccolo cicerone di quella città, il quale, avendo molto a cuore la reputazione del luogo, procurava con grande sollecitudine di distogliere la mia attenzione dalle tombe più modeste, non stancandosi mai di lodare quelle belle."

Il celebre storico Theodor Mommsen (1817-1903) in Italienische Reise del 1844-45 così ricorda di essere andato "poi al Cimitero, dove conduce un braccio del portico; un lusso enorme, una mezza città, sala accanto a sala, pieno in parte di (cattivi) monumenti dei secoli passati, in parte di nuovi, presso i quali ora sono proibiti quelli dipinti, solo il marmo è consentito! I poveri giacciono nel mezzo sotto l’erba: lì si dorme più leggeri e non costa niente."

Il bolognese Savino Savini (1813-1859) nel 1847 è chiamato a dare un'ampia descrizione della Certosa per la rivista Il mondo illustrato - Giornale universale di Torino, pubblicata in più numeri. Non manca di segnalare anche opere meno note ma che possono raccontare storie curiose come la lapide ora murata alla destra dell'ingresso della Chiesa, anticamente dedicata al rabbino Gioabbo da Rieti: "quell'anno appunto, 1571, che certo Albizio de' Duglioli comprò dalle medesime suore un marmo sepolcrale bellissimo, in cui da una parte la narrazione della vita di un certo rabbino da Rieti per nome Gioabbo, e dall'altra alcuni versetti in lingua ebraica. Duglioli volse la prima parte del monumento alla memoria del padre suo Rinaldo, e lasciò intatta la parte opposta: ma quel che non osò fare Duglioli, ordinò il prof. Card. Mezzofanti, sono pochi anni, e segatosi il marmo nella sua grossezza, la memoria del rabbino si trasportò dal cimitero all'abitazione del custode." La lapide della Certosa ha il testo ebraico abraso, ma fortunatamente al Museo civico Medievale è presente l'altra metà, giunta a noi intatta.

Lo scrittore e politico François-René Chateaubriand (1768-1848) nelle Memorie d’Oltretomba del 1848: "Bologna mi sembra meno deserta rispetto all’epoca del mio primo viaggio. Vi sono stato ricevuto con gli onori che vengono inflitti agli ambasciatori. Ho visitato un bel cimitero: non dimentico mai i morti; sono la nostra famiglia."

16 agosto 1859, Giuseppe Garibaldi visita la Certosa per commemorare la morte dell’amico Ugo Bassi, suo amico e compagno di fuga dopo la caduta della Repubblica Romana. Davanti alla sua tomba pronunciò un breve discorso: UGO BASSI - COMMEMORAZIONE DI GIUSEPPE GARIBALDI. Bassi si riunì alla prima legione italiana a Rieti. Cappellano maggiore dell'esercito romano, ei volle servire nella legione da semplice soldato. Uomo valoroso, assisteva ai combattimenti disarmato, preferiva un focoso cavallo, e siccome forte e svelto della persona cavalcava egregiamente. Nei conflitti, il più forte della mischia era il suo posto, ove la sua cura primiera era il trasposto dei feriti. Il suo cavallo, le sue spalle, servivano sovente al pietoso officio. La sua voce animatrice udivasi spesso nella battaglia. Il 30 aprile, Bassi rimaneva prigione de' Francesi per non abbandonare un ferito, ad onta delle sollecitazioni de' nostri. Il petto di Bassi portava segni d'onorevoli cicatrici. I suoi panni erano forati da palle nemiche. Aiutante mio in varie fazioni, io poteva difficilmente trattenerlo vicino a me. Sovente mi diceva egli con quella sua angelica ingenuità: «Io voglio chiedervi una grazia; mandatemi ne' luoghi, alle commissioni di maggior pericolo ». - Bassi! Masina!.... Quando Bologna non vi erga una statua coi piedestalli che sostengono i simulacri delle sozzure e delle nostre vergogne, o sarà schiacciata sotto il peso di barbare dominazioni o di Bologna non si troveranno nemmeno le vestigia! Bassi accompagnò la legione; ovunque la sua parola potente affascinava le popolazioni - e se Dio avesse ultimate le sciagure d'Italia, la voce di Bassi avrìa trascinato le moltitudini sui campi di battaglia! All'Italia, tornata al cimento, Dio non tolga la favella d'un Bassi! - Egli non vacillò ad accompagnarmi nell'ultima prova, quando la speranza di difendere l'immortale città era svanita. Egli s'adoprò meco a rialzar lo spirito de' nostri compagni, abbattuto dalla mancanza de' prodi morti o feriti. Io lo chiamai nella mia barca a Cesenatico, ove la fortuna ci sorrise per l'ultima volta. Quale sorriso di congedo! Nella barca fatale quali persone io guidavo! Bassi, Ciceruacchio e due figli, e la donna dell'anima mia! Bassi, Anna, cadaveri all'altro giorno!... Ciceruacchio ed i figli smarriti nelle foreste di Ravenna e perseguitati come belve! Bassi sbarcò meco nella Mesola ed a pochi passi dissemi: «Io ho pantaloni rossi (li aveva indossati per mancanza d'altri) e posso compromettervi: vado in cerca di cambiarli». Io sorreggeva la mia compagna spossata, morente, senza un sorso d'acqua dolce per calmare la sua sete. Bassi s'incamminava, io lo vedevo allontanare con indifferenza. Era schiaccialo dalla soma delle sciagure...e Bassi si incamminava al supplizio!

Venerdì 7 ottobre 1871. I partecipanti del V° Congresso Internazionale di Antropologia e Archeologia preistoriche visitano gli scavi etruschi della Certosa. La visita è guidata dall'ingegnere Antonio Zannoni, scopritore della necropoli e che svolse un lavoro di tale rilevanza che ancora oggi viene considerato uno dei primi esempi di scavi scientifici della storia dell'archeologia. L'importanza dei reperti rinvenuti e la qualità degli scavi furono tra i motivi che portarono il quinto congresso proprio a Bologna. In ricordo di questo momento venne murata una lapide a destra della porta d'ingresso della Chiesa di San Girolamo della Certosa.

Nel corso di decenni non mancano cronache dei vari quotidiani locali. Così L’Ancora pubblica il 14 ottobre 1873: "Il pacifico silenzio della nostra Certosa veniva domenica profanato dal tumulto di popolari dimostrazioni e tribunizi discorsi. Il rispetto alle tombe la rivoluzione non lo conosce; si dica quel che si vuole, si faccia pure anche astrazione dal concetto religioso, che benedice col suo mistico amplesso la nostra ultima dimora, ma sarà sempre una sconvenienza il convertire il cimitero in un’arena politica. Che un partito voglia onorare la memoria del suo campione si capisce e va da se, ma solo la rivoluzione può scegliere per teatro dei suoi chiassi il recinto sacro alla morte. I giornali liberali cittadini ci danno ampie descrizioni di quella che essi chiamano, con linguaggio rapito alla Chiesa, una funebre cerimonia. (…) Al Campo Santo dove per tanti di noi riposano nella pace del Signore, le ceneri del padre o della madre, dei fratelli o degli amici, andiamo a pregare e ad inginocchiarci su di una tomba, e non a gridare viva o morte a nessuno."

Lo stesso quotidiano il 10 ottobre 1874 dedica ampio spazio al breve soggiorno bolognese dell'ex presidente francese Adolphe Tiers (1797-1877): "Thiers se n’è andato. Partiva egli in unione alle sue signore ieri alla volta di Firenze col diretto dell’una pomeridiana. I redattori del Monitore che all’arrivo del vecchietto avevano avuto l’onore di dare di braccio a monsieur e madame dovettero intender male, quando Thiers usò la cortesia di dir loro che rimaneva due o tre giorni in Bologna. Fu un lapsus linguae in cui certamente per la gran commozione, caddero quei signori, che presentarono a Thiers i loro omaggi in nome della stampa liberale Bolognese! L’ex presidente veniva nella sera del suo arrivo visitato all’albergo dal ff. di Sindaco e dal R. Prefetto. In questo colloquio egli, dice la Gazzetta, si mostrò di una amabilità straordinaria, e s’interessò soprattutto delle condizioni economiche e industriali della nostra città, e manifestò la propria ammirazione per il felice cambiamento operatosi in pochi anni nella nostra Italia, che disse essere in continuo progresso. Nel mattino poi di ieri gli illustri ospiti visitavano la Certosa, San Petronio e percorrevano in carrozza alcune delle principali vie della città." Anche in occasione di brevissimi soggiorni il cimitero rimaneva una meta irrinunciabile.

Sempre L'Ancora in occasione di Ognissanti, il 4 novembre ricorda che "Il giorno dei morti moltissima fu la gente che si recò al monumentale camposanto della Certosa a dire un requiem ai cari defunti. E’ sempre assai commovente lo spettacolo che presenta in quel giorno il luogo ove riposano gli avanzi mortali dei nostri fratelli e noi, nel vedere tanta gente accorrere a versare una lacrima ed a fare una preghiera sulla tomba dei poveri trapassati, non potevamo a meno di considerare quanta differenza passi fra i sublimi riti della nostra santissima religione che considera le ceneri dei morti come cosa sacra e le brutali usanze del paganesimo, che alcuni falsi scienziati vorrebbero di bel nuovo introdurre fra noi, dopo 19 secoli di cristianesimo. La invereconda usanza della cremazione dei cadaveri potrà esser buona per coloro che ritengono che l’uomo non è stato creato da Dio, ma scende in linea retta da una scimmia, da un rospo o da un maiale perfezionato; ma per coloro che hanno un tantin di fede e sono fermamente convinti dell’immortalità dell’anima e degli ineluttabili destini della vita futura tanto pei buoni come pei malvagi, per questi il ritrovato del Mantegazza e socii non è altro che una turpe e servile imitazione della barbarie pagana." Il 10 novembre segnala poi che "Mentre Domenica pochi fanatici facevano visita alle urne elettorali, immenso era al contrario il numero dei visitatori alle urne sepolcrali del Campo Santo alla Certosa. Nelle prime ore e dopo il meriggio una folla che presentava in se tutte le gradazioni sociali, ingombrava ogni via conducente alla monumentale necropoli, sfidando imperterrita il fitto polverio sollevato dalle carrozze (il Municipio piuttosto che innaffiare la strada, dovea pensare ad innaffiare le gole degli scrutatori elettorali diseccate dagli infruttuosi appelli nominali). Benchè i visitatori fossero tanti, non molti però eran quelli che eransi colà condotti mossi da sentimenti d’affetto e di dolore. La curiosità ed il desiderio d’una passeggiata protetta da una magnifica giornata d’autunno avean mossa la maggior parte di quella folla variopinta, che entrava in quel luogo di pace passeggiava, e chiacchierava, come se si fosse trovata in un pubblico passeggio, con in bocca il sigaro e con all’occhiello dell’abito un mazzetto di fiori, tolto bene spesso alle ghirlande che una pietà più o meno sincera avea deposto sulla tomba dei suoi diletti. Era uno spettacolo, che faceva male a vedersi; una profanazione, che allontanava di là con dolore chiunque possedeva un animo ben fatto: e noi ce ne allontaniamo senz’altro."

Un capitolo a parte ha nelle cronache il 'cappello di Ugo Bassi'. Il celebre padre barnabita fu fucilato dagli austriaci l'8 agosto 1849 a poca distanza dalla Certosa. Il trasporto del suo cadavere e del compagno Giovanni Livraghi avvenne di notte in gran segreto, ed il custode Sibaud fu tra quelli chiamati ad occuparsene. Durante il trasporto riuscì ad impossessarsi del cappello di Bassi in un momento di ditrazione dei militari, per conservarla come una reliquia del martire. Il Resto del Carlino del 4 ottobre 1917 riporta "con esattezza la storia del cappello che Ugo bassi portava quando fu tratto al supplizio. Chiude egli il suo articolo (Morini ndr.) affermando “non essere né improbabile né inverosimile che il sig. Carlo Sibaud, custode dimostratore della Certosa, dopo la fucilazione del padre Ugo Bassi, che profondamente venerava e che chiamava santo e solo banditore del Vangelo di Cristo, avesse detratto nella notte stessa del sacrificio dalla fossa di Ugo Bassi il cappello di lui e, ripostolo nella camera del suo ufficio, lo mostrasse, come diceva il rapporto dell'Opizzoni, a' suoi amici “i quali lo baciano idolatrandolo”. In realtà la storia fu più complessa, ed a causa di una 'soffiata' fu oggetto di una perquisizione da parte della polizia pontificia. Il possesso di oggetti come quello potevano essere gravemente compromettenti, punibili anche col carcere. Da quel momento Sibaud murò il cappello dietro il camino e lo espose solo dopo la fine del governo papale nel 1859. Con grande probabilità è il copricapo posseduto dal Museo del Risorgimento, conservato insieme ad una zolla di terra intrisa del sangue di Ugo Bassi. Nel volume I contemporanei italiani. Galleria Nazionale del secolo XIX del 1862 abbiamo ulteriori notizie sui resti del martire del Risorgimento: "Il dì 7 agosto 1859, dietro istanza della famiglia, i resti del Bassi furono di nuovo con molto mistero rimossi e vennero trasportati nel sepolcro dei suoi, nel celebre cimitero della città. La madre era sopravvissuta al suo Ugo, ma lo zelo pietoso de' parenti riuscì a farle ignorar sempre la crudele sua fine. Essa morì il 5 gennaio del 1850 in età di 76 anni, persuasa che il figliuolo vivesse relegato in una fortezza austriaca. Quando il Garibaldi potè rivedere quelle provincie, per esso tanto funeste dieci anni innanzi, dopo aver visitato il camposanto modesto ove riposavano le spoglie della madre dei suoi figli, visitò anche la tomba dell'amico e ne commemorò la morte con una pagina dettata dal cuore." Effettivamente Giuseppe Garibaldi fece visita in Certosa per onorare la memoria di uno dei suoi più cari amici, non mancando di fare un discorso davanti alla sua tomba, fortunatamente giunto fino a noi.

Una notizia singolare è ricordata da Enrico Bottrigari nella sua Cronaca di Bologna (Zanichelli, 1960). Nella notte del 4 giugno 1860 "venne sorpreso ed arrestato un caporale dell'arma del Genio, qui stanziata, che da tre notti prendevasi lo spasso di dissotterrare e denudare i cadaveri nel Camposanto della Certosa. Interrogato disse sulle prime che lo faceva per servirsi dei cenci onde fasciarsi i piedi; poi soggiunse essere questa una sua particolare missione: non potere aggiungere altro per essere astretto da un giuramento. Dicono che è un italiano disertore austriaco e poi soldato nell'armata nostra. Il Custode del Cimitero gli esplose contro un colpo d'arma da fuoco che ferì il soldato in una mano".

Siamo nel 1871, l'ingegnere-archeologo Antonio Zannoni (1833-1910) dovendo relazionare sui suoi sensazionali scavi archeologici della Certosa ricorda come tutto era iniziato: "Erano già cominciati gli scavi quando venni a sapere, che il signor Marcellino Sibaud, figlio del dimostratore della Certosa appunto verso il 1835 erasi data cura di raccogliere i frammenti fittili e di bronzo allora venuti all'aperto, e che anzi ne aveva impresa pubblicazione. Fatto capo di subito al medesimo seppi difatti ciò esser verissimo, ma che nulla ei più possedeva di quanto nel 1835 era emerso, […] ed aggiungeva il Sibaud che verso il 1840 egli aveva rassegnato il tutto nelle mani del Conservatore signor dottor Venturoli. […] Ringraziamo il signor Marcellino Sibaud dell'averci conservato questi primissimi monumenti di Felsina, e di aver dato modo colle sue esatte indicazioni di rinvenirli." Il rinvenimento della prima grande necropoli etrusca di Bologna ed il lavoro svolto da Zannoni furono una tappa fondamentale nella ricostruzione della storia della città e della pratica dell'archeologia, tanto che il cantiere bolognese è ancora oggi considerato il primo esempio di scavo archeologico eseguito con metodi scientifici e moderni.

Per gran parte del XIX secolo in Certosa era vietato apporre fiori e corone funebri se non per un funerale o durante la settimana di commemorazioni dei defunti. Dopo tali occasioni venivano tutti buttati dopo circa due settimane. Comprensibile che con il passare del tempo arrivassero le lamente dei cittadini. La Gazzetta dell'Emilia del 6 novembre 1884 ricorda il "Decreto barocco. ...Un decreto impedisce che possono essere ornate le tombe da corone di fiori finti o di perle! Spesso è l'offerta più tenue, è la ghirlanda di fiori mal fatti ...che commuovono di più perché fa pensare alle ore sottratte al guadagno od al sonno per metterle insieme. Anche il periodico umoristico Ehi! cha'l scusa... del 22 novembre 1884 gli dedica spazio: "Pizz e bccòn... (…) Circola per la città una protesta, che noi pure abbiamo firmata, contro il famoso editto Municipale che vietava le corone alla Certosa... Questa protesta va riempendosi di un numero considerevole di firme. Che cosa risponderà la nostra benemerita Giunta Municipale innanzi ad essa?; sarà ascoltato il reclamo? Ci vuol pure tanto bene, che per proteggere la nostra salute... ha fatto affogare nel canale.. perfino i melloni e i fichi!”.

Ancora Ehi! cha'l scusa... Il 30 maggio 1885 dedica spazio a Giuseppe Ceri (1839-1925), uno dei più noti polemisti della città. Tra le tante diatribe da lui portate avanti vi fu quella per il progetto del Chiostro VII di Antonio Zannoni, per cui espose un proprio progetto alternativo presso la libreria Zanichelli: “Le disgrazie de l'ing. Ceri. (biografia satirica) ...Dopo così grande risultato l'ing. Ceri si è occupato di musica – con ugual successo – e tanto per non lasciare l'abitudine ha rifatto per suo conto il Claustro N. 7 della Certosa e il suo disegno a suscitato tanta commozione nell'animo della giunta che i lavori sono seguitati come prima e l'ing. Ceri ha parlato al vento.”

Non mancano cronache 'rosa'. Il Resto del Carlino del 19 agosto 1909 così riporta: "Alcuni manovali avevano notato l’assiduità di un giovane prete “un moretto vestito con eleganza” che era solito indugiare nei chiostri silenziosi e nelle gallerie sotterranee. Negli stessi giorni, qualche minuto dopo entrava sempre una giovane signora, bella di aspetto, gentile, in compagnia di una bimbetta di tre o quattro anni. La guardia municipale Bernasconi, divenuto sospettoso, travestita da muratore, si appostò nell’attesa, quando, verso le undici, i due e la bimbetta entrarono da ingressi diversi e, mentre la bimba saltellava per proprio conto, parve al Buscaroli che i due si baciassero. Li fermò e li condusse all’ufficio del Custode, e chiamando telefonicamente il capo delle guardie. La signora fu fatta uscire dalla porta secondaria ed il prete si ebbe i fischi dei muratori e dei becchini."

Il cimitero è stato ovviamente anche teatro di avvenimenti edificanti e virtuosi. Gida Rossi (1862-1938) pubblica nel 1934 un libro di ricordi, Da ieri a oggi: (le memorie di una vecchia zitella). Gida fu una delle donne più attive sulla scena pubblica bolognese di inizio novecento. Promotrice di moltissime iniziative sociali durante la Grande Guerra, ricorda come alcune sue alunne del Liceo Laura Bassi "il 24 maggio 1918, dopo aver celebrato alla scuola l'entrata in guerra, vollero portar fiori sulla tomba dei caduti al nostro Cimitero Monumentale. Ma quel reparto non apparve degno dei Caduti. Abbandonato all'iniziativa privata, ed essendo i morti di tante regioni lontane, non poteva esser curato come l'anima giovinetta sognava, nella luce del culto per gli eroi. Poche eran le tombe dove si sentiva una cara mano; erbe e sterpi quasi dappertutto e povere croci nascoste fra l'erbe. Mi si strinsero intorno. “Signorina, ci faccia lavorare, verremo qui per turno nei giorni di vacanza; la mattina presto, prima della scuola, ci faremo giardiniere di questo nuovo giardino, e scriveremo alle mamme lontane che siamo qui a vegliare sui loro morti”. Fu proprio così. Lanciata l'idea, essa di allargò e si completò, sorse il Comitato per la cura e l'abbellimento delle tombe di guerra. Fece il progetto il pittore Casanova: piccole lapidi per ciascun morto, con l'insegna della Croce Rossa, un'aiuola all'intorno e piante di alloro al limite del recinto. E giovinette e signore al lavoro. (...) Venne una volta dalla Basilicata una madre, spinta dall'infinito desiderio che la tomba del figlio non fosse deserta. E quando vide intorno a essa il nostro giovane stuolo, e vide i fiori e le aiuole nascenti e i verdi allori della vittoria, fra nuove ardentissime lacrime che le inondavano il viso, esclamò: “Ecco, io non piango più, parto felice. Filippo, tu non sei più solo. Hai intorno mamme e sorelle, che verranno per me a deporre un bacio sulla tua tomba. - E voi, beate voi, che gli potete stare vicino!".

Alessandro Cervellati, divenuto vedovo, dedica alla moglie il volumetto Certosa Bianca e verde, ancora oggi una delle fonti più importanti di notizie curiose e poco note del cimitero. Tra le tante segnaliamo questa: "la tradizione popolare non ha aneddoti che riguardino fantasmi nella nostra Certosa. Ma fatti incredibili accaddero ugualmente: Il 7 agosto 1925 alcune donne recatesi alla Certosa, scorsero verso le 10,15 una macchia nera in una nicchia nel campo sotterraneo a ponente: era un uomo morto al quale, per misterioso caso, non si era data sepoltura. Accorsero il cav. Bernardi, custode della Certosa, il sacerdote Augusto Bastelli e due guardiani municipali. Mentre il prete stava per dargli l'assoluzione, s’avvidero che il morto respirava, e che anzi, con uno sbadiglio, stava ritornando in vita: infatti si trattava di certo Antonio B., abitante in via sant'Apollonia, che così dichiarò: per godere il fresco, dopo una solenne bevuta, non aveva trovato di meglio che farsi rinchiudere nel Cimitero e trovarsi un letto ideale in una tomba della Certosa."

In occasioni di grandi avvenimenti religiosi o visite di alti prelati non potevano mancare visite o cerimonie nel cimitero. In occasione del IX Congresso eucaristico nazionale di Bologna, il Resto del Carlino del 6 settembre 1927 ci consegna la cronaca di "una cerimonia alla Certosa. Ieri mattina S. E. il Cardinale Arcivescovo a chiusura delle Santi Missioni celebrate in città, in preparazione al Congresso Eucaristico, si è recato a celebrare la Messa alla Chiesa della Certosa ed a benedire le tombe del Cimitero. Alla Messa ha assistito una folla imponente che ha partecipato in gran numero alla Comunione Generale distribuita per più di un'ora, dallo stesso Arcivescovo. Terminata la Messa il Cardinale preceduto dal clero e seguito da gran folla, è entrato nel Cimitero e ha dato l'assoluzione alle tombe. Prima del Sacro rito, S. E. ha improvvisato un commovente discorso ricordando i cari defunti che il popolo bolognese circonda di così vigile e delicata pietà. Riferendosi allo scopo di quella funzione, il Cardinale disse che esso era triplice: rendere partecipi i defunti del frutto delle sante Missioni; implorare l'aiuto della loro preghiera; comunicare spiritualmente anche a quelle care anime la gioia per il trionfo eucaristico che si celebra a Bologna. Le parole del Cardinale suscitarono in tutti profonda commozione. S. E. passò poi a benedire le Tombe. Egli diede prima l'assoluzione generale a tutti i Defunti. Poi si recò a benedire in particolare le tombe dei Soldati morti in guerra e finalmente quella del compianto Cardinale Ranuzzi De Bianchi."

Il cimitero monumentale era meta anche delle scolaresche, provenienti anche dalle cittadine limitrofe, come la classe elementare del Comune di Medicina, in visita il 12 maggio 1929: "Ieri non feci lezione e i miei alunni ebbero vacanza perché io, insieme alle maestre di quarta e quinta femminile, accompagnai le loro alunne a Bologna. Andammo a S. Luca, al Littoriale, alla Certosa; visitammo la chiesa del Corpus Domini dove si vede S. Caterina da Bologna, che dopo 400 anni dalla sua morte, conserva il corpo intatto, poi le chiese di S. Pietro e di S. Petronio. Le bambine si divertirono assai. Domani ci sarà la premiazione al Campo sportivo".

Sulle epigrafi della Certosa esistono ampie documentazioni nonchè pubblicazioni che ne riportano i testi. In Aneddoti Carducciani del 1932 viene ricordato come il Premio Nobel Giosue Carducci ne odiava “la esposizione di lacrime e singhiozzi un tante righe, mezze righe e righettine", e nelle epigrafi in genere “l'importanza voluta dare a codesta prosa letteraria”, “letteratura genere Florindo”. Ma non poteva sempre vitarsi la noia ed il fastidio di dettarne. Quale meraviglia se Marcellino Sibaud, custode del cimitero e detto “L'Etrusco” perchè pretendeva di aver preceduto Alfredo Trombetti dimostrando che l'etrusco era il ceppo di tutte le lingue, potè vedere preferita una sua epigrafe (veramente Adolfo Albertazzi aveva un tremendo dubbio che fosse stata scritta o da Monsignor Golfieri o da don Mignani) a quella scritta dal Carducci per un ricordo al Ricovero." Ad oggi sono poche le epigrafi del cimitero certamente dettate da Carducci, tra queste quella dedicata al piccolo Bruto Ricci, collocato nella Galleria degli Angeli.

9 novembre 1935, si conclude il programma in occasione del centenario della nascita del “vate”, il poeta ufficiale della “terza Italia”. Con una solenne cerimonia viene traslato il corpo di Giosue Carducci, spostandolo dalla semplice tomba che il poeta aveva acquistato per la famiglia nella zona ottocentesca del cimitero. E’ una mossa di propaganda del regime fascista, in quanto il nuovo monumento è in diretto rapporto visivo con il Monumento ai martiri della rivoluzione fascista ed a quello dei caduti della Grande Guerra, inaugurati tra il 1932 e l’anno successivo. Questa operazione si completa nel 1940 con la traslazione di Ugo Bassi -martire del Risorgimento italiano- all'interno dell’ossario della Grande Guerra. "Nel pomeriggio, presenti i famigliari del Poeta, S. E. Federzoni, le autorità cittadine, Associazioni universitarie, Istituti superiori secondari, scuole femminili e maschili del Comune e una folla reverente e commossa, con alta austera cerimonia ebbe luogo alla Certosa la traslazione della salma di Giosue Carducci nel monumento fatto erigere dal Comune di Bologna e tratto da un masso donato nel 1907 dagli Italiani di Alessandria d’Egitto e del Cairo. Salutiamo i resti mortali di Colui che l’Italia onora come uno dei suoi figli maggiori".

Un ricordo molto vicino alla nostra sensibilità ci viene da Giuseppe Raimondi nella sua Estate di San Martino del 1954: "Ogni anno, da tanti anni, io e il mio amico ci infiliamo su di un tram, dove l’odore acuto dei crisantemi, misto a quelli dei cappotti invernali appena levati dalla naftalina, prende alla gola i passeggeri di quelle ore mattutine. Il tram ci riporta attraverso il sobborgo popolare, abitato da marmisti e fiorai, incontro al colle di San Luca, che una leggera nebbia tiene sospeso in cielo, in una lontananza incerta. Scesi dal tram ci incamminiamo per il portico della Certosa, che un pallido sole da estate di San Martino illumina sotto gli archi gialli. E’ in noi la tristezza della stagione. Un senso di trapasso. Una benigna inerzia di cose che tramontano. Rechiamo un mazzetto di garofani, affondando l’altra mano gelata nel pastrano. E proseguiamo la nostra lenta, smemorata visita alla città dei morti. Riconosciamo i bianchi angeli di gesso, assisi alla soglia di porte di sasso, misteriosamente socchiuse. Assonnate figure di donna in gramaglie fluenti e pietrificate, dal capo velato; e fanciullini ignari in atto di pianto. Fummo povere creature di carne. Sarà questione di tempo. Il tempo d’altra parte è dei morti. La mente, girando qui intorno, non coglie che un’idea di favolosi granai, di grandiose dispense, di ordinati magazzini per l’eternità degli uomini. Con l’amico che m’accompagna sostiamo a volte a interpretare stentatamente una scritta latina sulle tombe dei vecchi bolognesi, così garbate e gentili. Sappiamo di non avere fretta. Il tempo è lento a passare. Il nostro passo è quello solito, di ogni giorno, quello con cui, da anni, facciamo la strada insieme. Qui torneremo ancora e sapremo aspettare che il tempo trascorra e si consumi, affabilmente conversando. Ritroveremo cari amici perduti. Il sole di una placida estate di San Martino ci scalderà un poco."

Fino a date tutto sommato recenti la commemorazione dei defunti in occasione di Ognissanti era il momento di una affluenza enorme nei nostri cimiteri, difficilmente comparabile con quella di oggi. In Bologna Popolare, Alessandro Cervellati ricorda l'affluenza dell'anno 1959: "circa duecentocinquantamila bolognesi affluirono alla Certosa nei giorni dedicati ai Defunti senza dar luogo al minimo incidente. Una sessantina di motrici tranviarie e cinque autobus funzionarono nei giorni 1 e 2 novembre initerrottamente, facendo registrare sulla via Andrea Costa frequenze inferiori al minuto. I fiorai della Certosa vendettero circa 400mila fiori, in prevalenza crisantemi e garofani; e non è possibile fare un conteggio di quelli acquistati altrove."

Una lunga descrizione poetica e struggente, frutto delle sue numerose visite, ci è stata consegnata da Cristina Campo - nom de plume di Vittoria Guerrini (1923-1977) - in Sotto falso nome, edito da Adelphi nel 1998. In essa la Certosa è una "imponente distesa di abitazioni funerarie e cimitero dissimile da ogni altro: tenebroso palazzo dalle grandi fughe di porticati, corridoi, cortili, simili a uno scenario di tragedia spagnola rappresentata all’epoca dell’Alfieri: tutta demenza romantica, votata al mal sottile, agli amori proibiti e alle guerre redentrici, ma sempre e solo, per me, tenebroso palazzo di fate."

Dal 2009 nel cimitero durante l'estate si svolge un ricco calendario di appuntamenti: visite guidate, concerti, performance teatrali. La Certosa svela le sue storie tra le luci e le ombre dei suoi chiostri. Le forme del passato, la scoperta del presente. Molti artisti sono intervenuti nel cimitero dopo il 2000, chiamati a realizzare allestimenti ed opere d'arte ispirate alla Certosa o legate al tema della memoria e del ricordo.

20 luglio 2021, da Fuzhou in Cina arriva la notizia che Bologna è ufficialmente la Città dei Portici con la nomina di Patrimonio Mondiale UNESCO. Da dieci secoli i portici sono protagonisti dell'ospitalità e del buon vivere, ancora oggi riconosciuti dai bolognesi e dai visitatori come elementi identificativi della città. La lista UNESCO comprende diversi tratti significativi della storia urbana e tra questi c'è anche il portico della Certosa. Insieme alle vie coperte sono inclusi anche gli edifici per cui sono stati realizzati, per cui anche gran parte dell'area monumentale del cimitero è ora parte dei "Portici di Bologna" Patrimonio UNESCO.

Il cimitero immaginato

La Certosa diventa teatro di amori impossibili. Nel romanzo Clelia, ossia Bologna nel 1833, edito nel 1845, è presente un'unica incisione. E' la Certosa nell'angolo sud est del Chiostro Terzo, punto in cui l'autore immagina l'ultimo sguardo tra una giovane nobildonna decaduta che prega sulla tomba dei genitori e il suo spasimante, un militare austriaco. Un amore impossibile in tempi di rivendicazioni nazionali e rivolte patriottiche. Lo scambio di sguardi avviene oltretutto alla presenza del secondo contendente, un fervente rivoluzionario da lei non corrisposto. “Come rimanesse il capitano Bernstein al contegno di Clelia può immaginarlo chi siasi mai per avventura arrischiato di manifestare il proprio amore, e interrotto. Neppure fargli un cenno di saluto, neppure uno sguardo! Ed ella parlava col romagnolo, con quel furibondo che ella cordialmente odiava! Io non so se una mesmerica virtù possa farci sentire di avere su di noi lo sguardo di chi ci ama, certo è nondimeno che Clelia in quel momento pareva di aver sopra gli occhi di lui, come in un fatale istante!”

Bernardo Gasparini nel 1845 pubblica un breve pamphlet intitolato Due notti alla Certosa di Bologna: una raccolta di cantici ognuno dei quali è ispirato a un sepolcro del cimitero cittadino e a chi vi riposa. L'autore immagina di essere nel cimitero di notte: qui incontra i suoi personaggi quali fantasmi, apparizioni eteree di defunti ansiose di dialogare con un uomo ancora facente parte del mondo dei vivi.

Le opere d'arte sono sempre state fonte di ispirazione per componimento poetici, e anche quelle della Certosa non possono essere da meno. Enrico Panzacchi (1840-1904) nel 1877 dedica una poesia a Giulia Majani, che volle farsi ritrarre da Carlo Monari in preghiera sulla tomba di famiglia in un bel altorilievo collocato nella Galleria degli Angeli: Presso la porta dell'avel fraterno, Il dì e la notte, ai caldi soli e al verno / Sta la bianca fanciulla inginocchiata / Assorta da un mestissimo pensier; / E la credono in marmo tramutata / Come l'antica Niobe / Quando i suoi nati esanimi / Si vide al piè cader. / Non mutan piega i suoi veli fluenti, / Non si riscuote al passo dei viventi: / Immoto il seno, immoti e senza pianto / Non guardano i soavi occhi nel ciel, / Guardando fiso il tumulo soltanto, / E par che dica: "schiudimi / L'asil della tua requie, / O mio dolce fratel!" / E verrà l'ora. Mentre a notte bruna / Entra pè claustri tacita la luna, / Si sentirà la porta dell'avello / Lentamente sui cardini girar, / E sommessa la voce del fratello, / "Vienmi più presso, o pallida / Suora, e meco riposati! / Fra l'ombre sussurrar, / E il suon lieve d'un bacio.... A poco a poco / Cesseran l'ombre del funereo loco, / Fra le croci e sui cippi indifferente / L'alba rosata ancor sorriderà: / Ma il dì, compresa da stupor, la gente / Questa fanciulla candida / Presso il fraterno tumulo / Indarno cercherà.

Giosue Carducci nella sua raccolta Odi Barbare del 1879 compone Fuori alla Certosa di Bologna, un lungo canto che ripercorre la storia del cimitero, terminando con una invocazione dei morti verso i vivi: "Dicono i morti - Beati, o voi passeggeri del colle / circonfusi da' caldi raggi de l'aureo sole. / Fresche a voi mormoran l'acque pe 'l florido clivo scendenti, / cantan gli uccelli al verde, cantan le foglie al vento. / A voi sorridono i fiori sempre nuovi sopra la terra: / a voi ridon le stelle, fiori eterni del cielo. / Dicono i morti - Cogliete i fiori che passano anch'essi, / adorate le stelle che non passano mai. / Putridi squagliansi i serti d'intorno i nostri umidi teschi: / ponete rose a torno le chiome bionde e nere. / Freddo è qua giù: siamo soli. Oh amatevi al sole! / Risplenda su la vita che passa l'eternità d'amore.

Tornando alla polemica tra Antonio Zannoni e Giuseppe Ceri, il periodico umoristico Ehi! cha'l scusa... del 22 novembre 1884 evoca con la fantasia la presenza notturna del polemista: “Una rabbia di sole meridiano incombeva sulle campagne e sul bianco polveroso delle strade. Dalle acque stagnanti e melmose veniva su una nebbia grassa, fumante che perdevasi in istriscie gialle come lamine fulve circondanti la faccia del sole d'oro matto. Un silenzio afoso prepondeva all'intorno. Come dovevano essere felici i mori in quel tepore meridiano! Nessuno per le vie e pei campi deserti. Il solo ing. Ceri vagava circospetto colla sua tuba e il suo lungo stifelius, che al sole meridiano avevano lampi e guizzi di oro matto. Brasachof chiamato Brasa in Italia, il figlio delle steppe russe che ha nelle vene il sangue dei Vandali, dei Nichilisti e degli iconoclasti, il cui programma è “morto e distruzione distruzione e morte!” vide il Ceri, si ammiccarono, si strinsero la mano. Erano fatti per intendersi. Ceri fu introdotto - le porte si spalancarono davanti a lui come per incanto. Era corso fra loro un patto diabolico di distruzione e di strage. Le corone artificiali dovevano essere immolate e la Stella d'Italia, con uno de' suoi raggi che sembran sogghigni di scherno, avrebbe illuminato la canizie del Sindaco e la euritmica tetraggine del luogo. Brasa e Ceri avevano in essa guardato e si erano compresi!!! Ceri si fermò davanti ad una portucola che dal Chiostro N. 7 metteva, valicando un vicolo – rigagnolo, nel Chiostro Monti. Quale vista! Io griderò ai quattro venti, disse Ceri che le colonne d'un Chiostro non infilavano quelle dell'altro - ciò è orribile. Tubertini e Dall'Olio non le hanno infilate... Sono ancora in tempo di rendere una grande giustizia - gli ignobili dell'Ufficio di Edilità dovranno tremare alla luce di Ceri e al fuoco di Brasa. E' notte, la luna d'argento matto illumina i muri della Certosa che lampeggiano lampi di cobalto ed anche un poco di rame. L'aria profumata dà dei baci di vitriolo alle piante che fremono e si attorcigliano come serpi in amore. I due piagnoni alle colonne d'entrata al Camposanto ravvolti nei loro mantelli lugubri sembrano due fotografi in azione. Tutto è silenzio - i pippistrelli solo svolazzano, svolazzano zirlando e tracciando vicoli che vanno man mano restringendosi attorno alla tuba dell'ing. Ceri nascosto fra le tombe del Chiostro N. 7. Allo scoccare della mezzanotte – quattro uomini dalle faccie sinistre appaiono sulla portuncola ed illuminano quattro facce ed altrettanto sinistre di muratori senza franchi con fiaccole che danno fiamme di sangue aranciato. Dio degli dei - terrore d'averno - brutalità della forza - orrore - maledizione esclama Ceri. Essi chiudono - i manigoldi! - la portucola; il pubblico non vedrà domani che le colonne non si infilano più. - Io sono disonorato!.. Pronunciate queste ultime parole Ceri svenne, ma le sue voci corsero portate sulle ali dei venti certosini che si sprigionarono tra le tombe ove eran rimasti tanti anni. L'indomani Burzi Medardo e Gino Calzoni e coi loro occhi si accertarono che la portucola era stata chiusa - Da chi? - perchè quella nicchia se non doveva essere che un pietra-intaglio? Si temette vi fosse stato murato tutt'ora vivente il Ceri ma così non fu... Burzi tremò - tremò fino Calzoni e finalmente andò la Commissione edilizia - Azzolini - Samoggia - Faccioli ecc. ma dissero che sarebbero tornati a vedere, tanto i fiacres sono pagati. Ognuno dei fiacre che li conduceva aveva il N. 13 Fatalità! Fatalità!”

Nel n. 85 del novembre 1889 nella rivista umoristica Bononia Ridet è alle stampe un articolo sulle epigrafi della Certosa. Tutte inventate: "In questi ultimi tempi la réclame ha preso in Italia, ed in ispecie a Bologna, delle proporzioni enormi, sì da far concorrenza a quella d'America. Un nuovo sistema di réclame, certo poco rispettoso pei poveri morti l'ho visto adottato nel nostro Cimitero, da me visitato Domenica scorsa. Ad esempio: nel monumento a Giacomo Zanichelli vi sono dei libri in marmo colla dicitura G. Carducci, Odi barbare, L.3. Postuma di L. Stecchetti, L. 2,50; e così di seguito. Ed altrove: Pietro Bortolotti, inventore della premiata Acqua di Felsina e via di questo passo. Se il Municipio non l'impedirà, la réclame andrà a prendere maggior piede e fra non molto si potranno leggere, ad esempio, le seguenti epigrafi: QUI GIACE N.N. Fabbricante di tagliatelle da suora, e tortellini con Spaccio in via..... - IN QUESTA FOSSA RIPOSANO le sante ceneri di A.C. Notissimo salumiere, che si procurò onestamente un'opulento stato, colla vendita di Mortadella a L. 2,40 la scatola, Cotechini a L. 1,40 l'uno ecc. - UNA PRECE. PACE ALL'ANIMA DI F.Z. integerrimo pizzicagnolo, che in quest'epoca di inganni e malafede, seppe mantenersi onesto, esitando Prosciutti di vera Carne di majale a L. 30 l'uno e più, secondo il peso. Il suo esercizio è continuato dagli eredi in via Ugo Bassi, collo stesso onesto procedere. - Un sospiro ed un rimpianto volgi o pietoso visitatore a PIETRO LUVIN, vita e anima della società vespasiana bolognese. I figli che seguiteranno il santo esempio del loro amato genitore vendendo i loro prodotti all'ingrosso ed al minuto, a prezzi da non temere concorrenza; in attestato di riconoscenza questo monumento eressero. - UN ULTIMO VALE al fu carlo Z. che trascorse l'intera sua vita frabbicando stoviglie, vasi da notte nel suo esercizio in Broccaindosso, 6, soggiacendo infine al destino comune, andando a far terra da pentole. - ISIDORO CARLETTI. Di carattere piacevole e dolce sicchè dalla natura parve destinato precisamente al destino di pasticciere da lui esercitato, in via Santo Stefano: - Qui riposa - Bimbi piangete e ridete! Piangete perchè perdeste un pasticciere esemplare, ridete perchè potrete comprare dai suoi figli le Caramelle di Torino a L. 4,20 al Kg. paste, confetti, ecc. ecc. - La serie dell'epigrafe potrebbe continuare; ma per amore delle lettrici vi pongo fine. Accennerò soltanto ad un'ultima che fra mille anni si leggerà nella nostra Certosa, a piedi di un colossale monumento equestre. DORMONO IL SONNO DEI GIUSTI Maschera di Ferro e Rata Langa che colla loro guida elettorale del 10 novembre 1889 venduta al prezzo misero di L. 0,40 rendendo immensi servigi agli elettori furono benemeriti della patria e del mondo intero."

Il Canto dell'odio, una delle più celebri e discusse poesie di Olindo Guerrini (1845-1916) alias di Lorenzo Stecchetti, viene pubblicata nella raccolta Postuma del 1896 sotto lo pseudonimo di Argia Sbolenfi, da lui usato quando le liriche erano satiriche, irriverenti o erotiche. Difficile non pensare che questa scena non sia stata immaginata in Certosa. Sono le parole di un amore non corrisposto, così poco e male appagato che l'amante giunge di notte sulla tomba dell'amata, ne scoperchia la bara ed a lei vengono rivolte frasi e parole molto forti, terminando così: "Quando tu dormirai dimenticata sotto la terra grassa / E la croce di Dio sarà piantata ritta sulla tua cassa / Io con quest'ugne scaverò la terra per te fatta letame / E il turpe legno schioderò che serra la tua carogna infame. / Ma non sei tu che agli ebbri ed ai soldati spalancasti le braccia, / Che discendesti a baci innominati e a me ridesti in faccia? / E son la gogna i versi ov'io ti danno al vituperio eterno, / a pene che rimpianger ti faranno le pene dell'inferno. / Qui rimorir ti faccio, o maledetta, / piano a colpi di spillo, e la vergogna tua, / la mia vendetta tra gli occhi ti sigillo."

La Certosa è poi anche teatro di favole per bambini. Ne L'Italia a ... salti di burattino (1911) Pinocchio gira per l'Italia e ne descrive i luoghi, seguiti da dialoghi con altri burattini: "La Certosa monumentale è una specie di Pantheon, ove ho visto il simulacro di re Giovacchino Murat; essa ci desta nell'animo anche ricordi patrii, perocchè qui venne fucilato dagli austriaci il povero Ugo Bassi, il frate che seguì il Garibaldi nella sua ritirata da Roma, nel 1849."

Recentemente il cimitero è tornato ad essere presente nella letteratura. Silvia Aquilini e Katia Brentani nel romanzo Ti lascio una storia da raccontare del 2011, partono dal Monumento Baldi Comi per rievocare con la fantasia la vita di due donne separate dal tempo ma unite dal fascino della Certosa. Il thriller di Barbara Baraldi Osservatore Oscuro del 2018 prende i primi passi all'interno del cimitero, a causa del ritrovamento di un corpo orrendamente mutilato di fronte ad uno dei monumenti più celebri, dedicato a Raffaele Bisteghi. Ancora il ritrovamento di un cadavare è per Sergio Pozzi lo spunto per scrivere Il delitto della Certosa di Bologna. Il maresciallo Sammarco è chiamato a risolvere un nuovo caso: il misterioso ritrovamento di un corpo lasciato ai piedi del monumento al prefetto Pietro Magenta, vestito con abiti dell'800 trafugati dal Museo del Risorgimento. Negli ultimi anni sono state realizzate dal Museo del Risorgimento due volumi dedicato al Cimitero monumentale, la Guida turistica (2016) e 101 cose da sapere sulla Certosa di Bologna (2023), ambedue edite da Minerva.

Roberto Martorelli

2017, ultimo aggiornamento maggio 2023.