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Briganti e banditi nelle terre pontificie

1800 | 1865

Schede

Fenomeni di banditismo ed avversione violenta all’ordine costituito, motivati essenzialmente dalla povertà endemica, erano presenti sul territorio italiano ed in particolare nelle Legazioni sin dai secoli precedenti l’Ottocento. E’ pressoché impossibile parlare in poche righe di banditismo e coprire tutte le manifestazioni che nel XIX secolo si ebbero nella penisola: cause ed espressioni diverse infatti caratterizzarono il banditismo meridionale, a forte componente bracciantile, da quello ad esempio dell’area padana, in cui il contrabbando giocava un ruolo rilevante.

Nell’area bolognese e delle Legazioni esistevano sacche di banditismo sin dal Settecento, con manifestazioni molto diverse nelle aree urbane o nelle zone rurali. All’interno delle mura cittadine esistevano fenomeni di controllo del territorio e delle attività economiche, così come qualcosa di simile succedeva nelle campagne, dove ad essere taglieggiati erano non tanto i grandi proprietari, residenti in città anche lontane, ma i mezzadri ed i piccoli proprietari, assimilati nell’odio “di classe” ai ricchi ed ai potenti.

Il passaggio della tempesta napoleonica andò a rimpinguare le fila dei “briganti” per due cause in particolare: da una parte fenomeni di “insorgenza”, ovvero di avversione anche oltre i limiti della legalità al nuovo ordine politico costituito in epoca imperiale, e dall’altra fortissime sacche di protesta verso la leva militare obbligatoria, una novità sentita come una costrizione non solo della persona, ma anche dell’ordine familiare. L’epoca francese infatti, con spoliazioni, requisizioni, tasse, coscrizione, aveva suscitato non poco allarme e, in molti, un sentimento di timore e quasi di odio, fomentato dalla predicazione del clero e da lauti contributi in denaro che agenti austriaci distribuivano, almeno fino al 1809, a gruppi di ribelli e disertori. La mitizzazione della figura del bandito, in atto sin dal Settecento, era funzionale ad interessi precisi: in tal modo le classi dirigenti, sia di ancién regime che in seguito rivoluzionarie ed imperiali, giustificavano l’estensione dell’autorità centrale a discapito delle residue autonomie locali incapaci di far fronte a situazioni endemiche e pericolose per la popolazione locale e per i viandanti, consentendo un accentramento di funzioni e di potere prima mai visto.

Sul versante popolare, spesso la figura del bandito veniva assimilata a quella del vagabondo e del diseredato, assumendolo a rappresentante di una rivendicazione sociale ancora confusa; non bisogna dimenticare la solidarietà che spesso i “briganti” incontravano, in questa epoca, da parte di contadini che non osavano opporsi all’ordine costituito ma vedevano nei ribelli una sorta di vendicatori e giustizieri. Tale solidarietà, a volte trasformata in semplice passiva accettazione della presenza del bandito, cui non ci si poteva opporre pena rappresaglie, a volte in vero e proprio fiancheggiamento, resistette sino a quando, nel secondo Ottocento, i concetti di rivendicazione sociale e dei diritti personali assunsero contorni più definiti, e queste figure passarono definitivamente nella leggenda e nelle storie del passato.

Fu proprio questa protezione messa in atto dal territorio e dal tessuto sociale che consentì ai briganti di agire per anni alla macchia, nonostante, in verità, anche le più rocambolesche e leggendarie figure abbiano avuto parabole brevissime: in pochi anni in genere le loro vicende trovavano una fine, nella maggior parte dei casi drammatica e definitiva. Catturati e giustiziati, o colpiti a morte in conflitti a fuoco, tutti i più famosi banditi passarono come meteore nella storia ottocentesca, lasciando comunque una traccia profonda nell’immaginario collettivo: si pensi, nella provincia bolognese, alle figure di Prospero Baschieri (che agì tra il 1809 e il 1810, morendo in un conflitto a fuoco) e di Gaetano Prosperi detto Lo Spirito (attivo e latitante tra il 1860 e il 1865, morto giustiziato), o al più famoso di tutti, il Passatore, che fu attivo tra la Romagna e il bolognese nel 1850-1851, morendo anch’esso in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine.

Mirtide Gavelli