Autoritratti - Fioresi Garzia

Autoritratti - Fioresi Garzia

1933

Scheda

Il dipinto di Garzia Fioresi (1898 - 1968) è pervenuto al Collegio Venturoli di Bologna attraverso una donazione: raffigura il pittore in piedi di profilo con il camice da lavoro bianco in atto di reggere il pennello e la tavolozza.

Sullo sfondo si vede un angolo dello studio con un lenzuolo che copre parzialmente un quadro. La singolarità del dipinto è però quella di presentare sul retro una seconda versione dell’autoritratto lasciata allo stato d’incompiutezza: il pittore è intento alla lettura di un giornale o di una rivista. Un’altra particolarità che rende così curiosa e interessante l’opera è la quantità considerevole di cartellini incollati sul retro che documentano l’intensa vicenda espositiva del quadro dal 1940 al 1989. Il dipinto, insomma, ci ricorda che anche l’arte del Novecento - al centro di dibattiti critici astratti e spesso estenuanti - è dotata di una forte “materialità” non molto diversa da quella dell’arte antica che la distanza dal tempo di esecuzione ci permette ormai di apprezzare.

Si inizia, infatti, da due cartellini della XXII Biennale di Venezia (1940) dove il dipinto fu esposto nella Sala 29 con l’indirizzo del pittore (“Via Toscana 177 Bologna”) e il numero di negativo dello studio Giacomelli di Venezia che fotografò l’opera per conto dell’Archivio Storico della Biennale. Seguono tre cartellini di altre esposizioni più vicine nel tempo: una retrospettiva a Parma (Galleria Sant’Andrea) nel 1983 a cura dell’UCAI (Associazione Cattolica Artisti Italiani) intitolata “Garzia Fioresi dal 1930 al 1950” e due dell’Associazione Francesco Francia di Bologna rispettivamente nel 1970 (Museo Civico) e nel 1989 (“Artisti allo specchio. Mostra degli autoritratti”). Le varie trasferte del “doppio” autoritratto di Fioresi ci ricordano la vivacità dell’associazionismo culturale nella diffusione dell’arte moderna che fino a qualche anno fa sembrava una conquista civile irrinunciabile e oggi è quasi scomparso.

I cartellini delle mostre retrospettive riportano due differenti date di esecuzione del dipinto (1932 e 1933) probabilmente riprese dalla monografia di Franco Solmi che nel 1971 illustrava il dipinto con una tavola a colori. Il “1932-33” riportato nella didascalia non ha riscontri nel testo ma la data sembra corrispondere allo stesso momento della “Donna sdraiata” che presenta le stesse gamme cromatiche terrose. Inoltre scorrendo la bibliografia scopriamo con sorpresa che la preferenza dei critici per gli autoritratti dotati di una carica più ‘esistenziale’ (congeniale a una lettura tutta psicologica dell’artista) ha prodotto una bizzarra rimozione del dipinto illustrato ma mai citato nelle pubblicazioni sull’artista. Eppure si tratta di un dipinto che Fioresi - molto severo verso le proprie opere - aveva scelto di esporre all’interno della massima esposizione di arte moderna in Italia.

L’autoritratto fu esposto a Venezia nel 1940 con il mosaico della “Marcia su Roma” e altri quattordici dipinti (figure, nature morte ma nessun paesaggio come notava Solmi nel 1971). La “personale” veneziana rappresentò dunque il momento di massima integrazione dell’artista nel sistema culturale del regime fascista ormai prossimo alla fine. Accanto alle sue opere erano esposti i ritratti dell’“Ecc. Ardengo Soffici” e dell’“Ecc. Felice Carena” dello scultore Giuseppe Graziosi: i massimi esponenti dell’ufficialità artistica del momento. Difficile immaginare in un contesto del genere gli autoritratti dove l’artista si traveste da ciclista e da marinaio con sdoppiamenti pirandelliani della personalità, oppure si nasconde dietro gesti quotidiani banali come nell’“uomo che si rade”.

D’altra parte il pittore, fatto da non dimenticare, si congedò nel 1940 dall’esercito con il grado di tenente colonnello. Quindi i tormenti e le depressioni esistenziali - continuamente ricordati dai critici del secondo dopoguerra che mostrano però evidenti difficolta a capire l’artista e le sue contraddizioni - non gli impedirono una visione nazionalista e l’adesione al regime fascista (indispensabile per avere qualche incarico ufficiale e la presenza costante a Venezia e nelle Quadriennali di Roma). Anche l’autoritratto si pone in questa linea di moderato ‘ritorno all’ordine’: il pittore si rappresenta con gli strumenti di lavoro in mano seguendo una tradizione plurisecolare (l’artista nello studio), i bruni e i bianchi gessosi tendono a una sobria e “italiana” monumentalità; ricordiamo che nel 1927 Rezio Buscaroli aveva lodato nella sua opera la pittura “seria, metodica, costruttiva, italianissima” o anche come baluardo contro il “dissolvimento e la sconnessione delle forme” (Ruggeri, 1998).

Come non rimpiangere pero i delicatissimi dipinti giovanili ispirati alle Secessioni romane e alle eleganze più rarefatte della grande pittura europea?

Antonio Buitoni

Testo tratto dal catalogo della mostra "Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni", Medicina, 19 aprile - 14 giugno 2015.

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Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni
Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni

Video dedicato alla mostra "Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni", 19 aprile - 14 giugno 2015 | Comune di Medicina, Palazzo della Comunità, Museo Civico.

Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni
Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni

Video dedicato alla mostra "Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni", 19 aprile - 14 giugno 2015 | Comune di Medicina, Palazzo della Comunità, Museo Civico.

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