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Associazione di difesa sociale

8 aprile 1920

Schede

Il 5 aprile 1920 a Decima (S. Giovanni in Persiceto) i carabinieri spararono contro braccianti e coloni intervenuti ad un comizio indetto dalla Vecchia CdL per la lotta agraria in corso. Otto restarono uccisi e 45 feriti.
In segno di protesta - anche se il governo aveva riconosciuto la responsabilità dei carabinieri il 6 e 7 a Bologna si tenne lo sciopero generale. La mattina dell’8, nella sede della Camera di commercio, si riunirono i senatori, i deputati e gli ex parlamentari dei partiti di centro-destra, i dirigenti delle associazioni commercianti, industriali e agricoltori, esponenti del mondo professionale e di enti ed associazioni di destra.
Al termine della riunione fu approvato un documento - subito portato al prefetto, perché lo inoltrasse a Roma - nel quale si affermava che lo sciopero appena terminato sarebbe «stato l’ultimo che doveva passare senza che la cittadinanza avesse fatto ricorso ad un’energica azione volontaria di difesa e di tutela» e che gli intervenuti si erano dichiarati «pronti innanzi tutto, e il Governo lo sappia, a difendere le nostre famiglie e i nostri focolari, a tutelare il nostro diritto al lavoro, la nobiltà della nostra opera quotidiana, creando noi stessi, per porre fine con tutti i modi più risoluti ad un succedersi di cose intollerabili e rovinose, i mezzi di difesa che sinora, fidenti nel concetto della libertà, avevamo ceduti alle leggi dello Stato e a coloro che hanno il mandato, il più onorevole per uomini liberi, di rispettarle e farle rispettare».
Contemporaneamente fu costituita l’Associazione Ordine e Libertà, poi ribattezzata in Associazione bolognese di difesa sociale.
Il 15 aprile 1920 una delegazione dell’Associazione fu ricevuta da F.S. Nitti, presidente del Consiglio dei ministri, al quale Luigi Silvagni disse che il PSI voleva distruggere lo stato e che contro «questi propositi di distruzione la resistenza è necessaria. Se questa non sarà opposta dal governo, i cittadini finiranno per sostituirsi ad esso». Nitti approvò l’iniziativa e invitò i membri della delegazione ad organizzarsi.
A Bologna il PSI, il PPI e “il Resto del Carlino” - sia pure con motivazioni diverse -assunsero una posizione contraria all’Associazione. I due partiti - il PPI diffidò pubblicamente alcuni iscritti ad abbandonarla - e il quotidiano contestarono ai ceti commerciali, industriali e agrari il diritto di costituire organizzazioni paramilitari e il proposito di volersi sostituire allo Stato.
Il 16 settembre 1920, all’indomani dell’occupazione delle fabbriche - a Bologna l’agitazione metallurgica fu molto contenuta l’Associazione diffuse un documento nel quale «preso atto che l’acquiescenza governativa, adottata ormai come sistema, lascia il sopravvento facile ed impunito ai faziosi e ai violenti» [...] «delibera di chiamare a raccolta, nel nome della Patria, tutti coloro ai quali né attentati né violenze, per quanto ripetuti e gravi, tolsero il senso della dignità di uomini e del dovere civile». Pertanto, concludeva il documento, «si declinano da questo momento le responsabilità di quanto stia per accadere». Lo stesso giorno il questore informò il prefetto che l’Associazione di difesa sociale aveva stanziato una notevole somma per arruolare 300 uomini armati (ASB, GP, 1920, b.1.350, cat.7, fas.1).
Il finanziamento andò al Fascio di combattimento di Bologna guidato da Leandro Arpinati - incaricato di costituire squadre armate.
Il 20 settembre 1920 le prime squadre fasciste assalirono il ristorante della Borsa in via Ugo Bassi - gestito da una cooperativa e luogo di ritrovo dei socialisti - e uccisero l’operaio Guido Tibaldi. Era la prima vittima dello squadrismo fascista, organizzato e finanziato dall’Associazione di difesa civile. [O]