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Architrave (L')

1940 - 1943

Schede

Dal dicembre 1940 al giugno 1943 il GUF di Bologna pubblicò il periodico “Architrave”. Sottotitolo: “Mensile di politica letteratura e arte”.
Ha la fama di essere stato un giornale della fronda al regime. In realtà, gli studenti che vi scrissero non erano né si sentivano oppositori della dittatura. Questo inizialmente.
Molti ritenevano che le insufficienze e gli errori del regime fascista non fossero del sistema, ma nel sistema. Per questo, a loro parere, occorrevano modifiche interne, aggiustamenti di tiro e sostituzione di uomini per ricuperare - ammesso che fosse esistita - l’iniziale purezza rivoluzionaria fascista corrotta o andata perduta a causa dell’operato di taluni gerarchi incapaci o corrotti.
Fu la grande illusione, finita in tragedia, della generazione nata e cresciuta sotto il fascismo. Il giornale vide la luce l’1 dicembre 1940, sei mesi dopo l’entrata in guerra dell’Italia.
Gli studenti universitari - molti dei quali scrivevano su “L’Assalto”, il settimanale della federazione bolognese del PNF - da tempo avevano espresso il desiderio di avere un giornale autonomo.
Direttore era Tullio Pacchioni, il segretario del GUF; responsabile Romolo Vigna; condirettore Roberto Mazzetti; vice direttori Umberto Reverberi Riva e Umberto Righi; redattore capo Agostino Bignardi. Mazzetti non era studente, ma professore di scuola media, noto per la sua posizione di fascista corporativista di sinistra. Era l’unico che non vestisse la divisa militare. Per questo il giornale fu affidato a lui. Sin dal primo numero - come risulta dall’editoriale di Mazzetti “Architrave” fu decisamente fascista e sostenitore della guerra, vista come mezzo necessario per purificare il regime e trasformare l’incompiuta rivoluzione fascista in rivoluzione sociale.
Mentre Mazzetti preconizzava un’alleanza tra Italia, Germania e URSS per realizzare «la società del lavoro», Gianni Guizzardi scrisse che la guerra era una «forma di rivoluzione sociale». Queste posizioni politiche, ma soprattutto le critiche rivolte a vecchi gerarchi, rimasti a casa dopo avere predicato la guerra, non piacquero alla federazione bolognese e alla segreteria nazionale del PNF. Invano Mazzetti si difese scrivendo che parlare di simili problemi non voleva dire «frangere l’ortodossia e la disciplina».
Nell’agosto 1941 l’intera redazione meno Reverberi Riva, nominato direttore fu destituita. Gli furono affiancati Gaetano Gardini detto Nino e Vincenzo Bassoli, due universitari provenienti da “L’Assalto”. Anche se apparve subito evidente la svolta, sia pure in direzione della «rivoluzione integrale», nel giornale continuarono ad apparire articoli che invocavano «uomini nuovi, onesti e competenti» o scritti a sostegno della linea corporativa di sinistra. Per questo fu rinnovata nella primavera 1942.
Pio Marsilli divenne nuovo direttore, con Vittorio E. Chesi condirettore e Gardini vice. Filippo Stefani fu il nuovo redattore capo e Alighiero Morgagni il segretario di redazione. Nonostante le aspettative delle gerarchie del regime, la nuova redazione fu frondista. Francesco Arcangeli, membro della redazione, ha scritto che, in quel periodo, il giornale fu «modestamente ma decisamente antifascista».
Dopo una lunga serie di contestazioni e richiami, nell’autunno 1942 Marsilli e Chesi furono destituiti e sottoposti a un processo interno, condotto a Roma, nella sede del PNF, dal vice segretario nazionale. Non avendo sconfessato la linea politica, né accettato di pubblicare un numero speciale, per l’anniversario della “marcia su Roma”, furono arrestati e assegnati al confino di polizia per 3 anni.
Il provvedimento non ebbe seguito.
Volendo dare una svolta alla gestione del giornale, i gerarchi della federazione bolognese lo affidarono a due universitari reduci dal fronte russo. Eugenio Facchini, il direttore, e il vice Massimo Rendina erano stati mandati in guerra per punizione. Il primo per una serie di articoli molto critici, pubblicati durante la prima gestione del giornale; il secondo perché si era azzuffato con ufficiali tedeschi.
Redattore capo era Giovanni Tonelli. Contrariamente alle aspettative, i due reduci non scrissero a favore della guerra, ma contro. La tragica esperienza bellica vissuta nelle pianure russe - analoga a quella dei giovani che avevano combattuto su altri fronti - aveva maturato in loro la piena consapevolezza che la guerra fosse, a un tempo, ingiusta e perduta. Scrisse Rendina: «Oramai la retorica illusione di una vittoria facile e di una guerra lampo è sprofondata nell’abisso del passato».
La nostra «è sempre stata, sin dal primo colpo di cannone, una guerra difensiva», anche se «Ora soltanto il conflitto appare definitivamente difensivo nella sua intima essenza e si trasmuta in una lotta integrale, assoluta, di vita e di morte, estranea ad ogni altro pensiero che non sia sopravvivere alla distruzione di tutto il mondo».
Il giornale cessò le pubblicazioni nel luglio 1943, con la fine della dittatura. Redattori e collaboratori ebbero destini diversi. Pacchioni e Guizzardi caddero al fronte. Righi fu passato per le armi in un lager tedesco, mentre era internato, dopo essere stato fatto prigioniero in Grecia. Ferruccio Terzi e Giorgio Chierici furono fucilati dai fascisti perché partigiani. Luigi Giovannini, partigiano, cadde combattendo contro i tedeschi. Bassoli, Chesi, Paolo Fortunati, Marsilli, Rendina, Guido Rossi e Rito Valla militarono nelle file della Resistenza. Gardini e Renzo Renzi, caduti prigionieri in Grecia, finirono in un lager nazista, dopo avere rifiutato l’adesione alla RSI. Facchini aderì alla RSI. Divenuto federale di Bologna, fu giustiziato dai partigiani il 26 gennaio 1944. [O]